Cancro al collo dell’utero e HIV: L’auto-prelievo HPV può fare la differenza? Uno sguardo allo studio danese
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento super importante e, lasciatemelo dire, ancora troppo poco discusso: lo screening per il cancro al collo dell’utero, specialmente per noi donne che viviamo con l’HIV. Sapete, questa forma di cancro è quasi totalmente prevenibile grazie a vaccini e controlli regolari, eppure continua a essere un problema serio in tutto il mondo. E per noi donne con HIV, il rischio è ancora più alto, circa sei volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Il “colpevole”? Principalmente un’infezione persistente da Papillomavirus umano ad alto rischio, il famoso hrHPV.
Fortunatamente, abbiamo strumenti efficaci per ridurre questo rischio, come lo screening. Ma c’è un “ma”: molte donne con HIV non partecipano ai programmi di screening come dovrebbero. Ed è qui che entra in gioco uno studio pilota davvero interessante condotto in Danimarca. L’idea? Provare a migliorare la partecipazione introducendo l’auto-prelievo vaginale per il test HPV. In pratica, un modo per fare il test comodamente a casa propria. Curiosi di sapere come è andata? Continuate a leggere!
Perché questo studio è importante?
Prima di tuffarci nei dettagli dello studio, capiamo meglio il contesto. Il cancro al collo dell’utero è il quarto tumore più comune nelle donne a livello globale. Quasi tutti i casi sono legati all’infezione da hrHPV. Gli screening servono proprio a scovare le lesioni pre-cancerose e trattarle prima che diventino qualcosa di peggio.
Per le donne con HIV, lo screening è cruciale perché il nostro sistema immunitario può avere più difficoltà a eliminare l’infezione da HPV. Pensate che in Danimarca, uno studio precedente (il Danish Shade cohort study) ha trovato una prevalenza di hrHPV del 28% tra le donne con HIV. In paesi a basso reddito, le cifre sono ancora più alte!
Nonostante l’importanza, però, spesso noi donne con HIV apparteniamo a gruppi (magari immigrate o con status socio-economico più basso) che tendono a partecipare meno agli screening. Ecco perché c’è un bisogno urgente di trovare modi per coinvolgerci di più.
Le linee guida internazionali, come quelle dell’OMS, raccomandano screening regolari (ogni 3-5 anni con test HPV DNA, ogni 3 con citologia o VIA). In Danimarca, seguono le linee guida EACS che suggeriscono uno screening citologico annuale. Ma c’è una novità interessante: molti paesi stanno passando allo screening basato sul test HPV, che apre le porte all’auto-prelievo. Questo metodo si è dimostrato accurato, ben accettato e capace di aumentare la partecipazione, specialmente tra chi di solito non fa i controlli.
Come hanno fatto? Lo studio pilota danese
Lo studio si è svolto tra febbraio e maggio 2022 presso il Dipartimento di Malattie Infettive dell’Ospedale Universitario di Aarhus, in Danimarca. Hanno coinvolto donne con HIV tra i 23 e i 64 anni seguite dalla clinica. C’erano alcuni criteri di esclusione, come gravidanza, isterectomia, non parlare danese (le istruzioni erano solo in danese, un limite di cui parleremo) e non essere state sottoposte a screening nell’ultimo anno (volevano proprio raggiungere le donne “sotto-screenate”).
Le donne idonee sono state contattate telefonicamente da un consulente HIV. Se accettavano, ricevevano a casa un pacchetto contenente un kit per l’auto-prelievo (l’Evalyn®Brush, uno spazzolino specifico), istruzioni dettagliate (scritte e illustrate) e una busta pre-pagata per rispedire il campione al laboratorio di patologia. Se il campione non arrivava entro un mese, veniva inviato un promemoria via SMS.
Una volta in laboratorio, il campione veniva analizzato per cercare il DNA di 14 tipi di hrHPV (incluso HPV16 e HPV18, i più “cattivi”) usando un test specifico (COBAS®4800). Le donne risultate positive all’hrHPV venivano contattate da un medico della clinica e invitate a fare un Pap test dal proprio medico di base per valutare la necessità di ulteriori controlli (come la colposcopia).

I ricercatori hanno raccolto dati demografici, clinici e sulla storia degli screening precedenti dai registri medici e dal Danish Pathology Databank (un database nazionale super utile!). Hanno poi analizzato quanti non erano screenati secondo le linee guida OMS, quanti hanno accettato l’auto-prelievo, quanti hanno effettivamente restituito il campione, la prevalenza di hrHPV e quanti, tra i positivi, hanno poi seguito le indicazioni per i controlli successivi.
Cosa abbiamo scoperto? I risultati chiave
Allora, veniamo ai numeri! Su 199 donne seguite dalla clinica, 100 erano idonee per lo studio. Di queste 100:
- Il 41% (41 donne) non era stato screenato secondo le raccomandazioni OMS (cioè negli ultimi 3-5 anni).
- Tra queste 41, ben il 39% (16 donne) non aveva mai fatto uno screening!
- Il 50% (50 donne) ha accettato di ricevere il kit per l’auto-prelievo.
- Di queste 50, l’80% (40 donne) ha effettivamente restituito il campione per l’analisi. Un tasso di restituzione piuttosto buono!
- Tra le 40 donne che hanno restituito il campione, la prevalenza di hrHPV è stata del 25% (10 donne). Di queste, 3 avevano HPV16 e 7 altri tipi ad alto rischio.
- Qui arriva la nota dolente: la compliance al follow-up, cioè quante delle 10 donne positive hanno poi fatto i controlli successivi dal medico di base, è stata solo del 40% (4 donne).
Un dato interessante: non c’erano differenze significative (età, etnia, tempo dalla diagnosi HIV, carica virale) tra chi ha partecipato e chi no. Questo suggerisce che l’auto-prelievo è stato accettato trasversalmente. Inoltre, tra chi ha restituito il campione, il 17.5% non aveva mai fatto uno screening prima: l’auto-prelievo ha quindi raggiunto proprio alcune delle donne più difficili da coinvolgere!
È emerso anche che le donne risultate positive all’hrHPV tendevano a non fare uno screening da più tempo (mediana 7 anni) rispetto a quelle negative (mediana 3 anni). Questo conferma l’importanza di raggiungere chi salta i controlli.
L’auto-prelievo funziona, ma c’è un “ma”
Questo studio pilota ci dice chiaramente che l’auto-prelievo vaginale per il test HPV è una strategia fattibile e accettabile per noi donne con HIV. Il tasso di restituzione dei kit (80%) è incoraggiante e in linea con altri studi. È un modo per superare alcune barriere (imbarazzo, difficoltà logistiche) e raggiungere anche chi non ha mai partecipato prima.
Tuttavia, ci sono due punti critici emersi:
- Raggiungere tutte: Nonostante l’offerta, il 39% delle donne idonee non è stato raggiunto o non ha risposto all’invito. Forse offrire il kit direttamente durante le visite di controllo per l’HIV potrebbe aumentare l’adesione, specialmente per chi ha difficoltà con la lingua o appartiene a gruppi socio-economici svantaggiati.
- Il follow-up: Il vero tallone d’Achille è stato il basso tasso di follow-up (40%) tra le donne positive. A cosa serve trovare l’infezione se poi non si fanno i controlli necessari? Qui bisogna lavorare molto. Forse una comunicazione più diretta tra la clinica HIV e il medico di base, o addirittura offrire la possibilità di fare il Pap test di controllo direttamente nella clinica HIV, potrebbe aiutare.
Bisogna anche considerare i limiti dello studio: il campione era piccolo, si è svolto in un solo centro, non includeva donne non danesi (un peccato, perché spesso sono proprio loro ad avere più difficoltà di accesso) e c’era una sotto-rappresentazione delle donne più giovani.
Cosa ci portiamo a casa? Riflessioni e passi futuri
Questo studio danese, pur essendo pilota, ci dà indicazioni preziose. Conferma che c’è un problema di sotto-screening tra le donne con HIV e che l’auto-prelievo HPV può essere parte della soluzione. È un metodo che ci mette più a nostro agio e può raggiungere chi è fuori dai radar.
Però, non basta spedire un kit a casa. Bisogna pensare a strategie integrate:
- Migliorare l’offerta: Proporre l’auto-prelievo durante le visite HIV, magari con supporto linguistico se necessario.
- Potenziare il follow-up: Creare percorsi chiari e facilitati per chi risulta positiva, con una forte collaborazione tra specialisti HIV e medici di base.
- Esplorare alternative: Valutare anche altri metodi non invasivi, come il test HPV su urine, che potrebbe essere ancora più accettabile per alcune.
- Più ricerca: Servono studi più ampi, multicentrici, che includano diverse popolazioni e fasce d’età per confermare questi risultati e capire come personalizzare al meglio gli approcci.
Insomma, la strada per eliminare il cancro al collo dell’utero è ancora lunga, soprattutto per noi donne con HIV, ma strumenti come l’auto-prelievo ci danno una speranza concreta. Dobbiamo solo usarli nel modo giusto, assicurandoci che ogni donna abbia accesso non solo al test, ma a tutto il percorso di prevenzione e cura. È una sfida, ma possiamo farcela!
Fonte: Springer
