Immagine simbolica e realistica di due mani, una giovane e una adulta, che cercano di toccarsi ma sono separate da una distanza, su uno sfondo rurale sfocato al tramonto, rappresentando le difficoltà nella continuità delle cure per i giovani con autismo. Obiettivo 50mm, profondità di campo ridotta.

Autismo in Canada Rurale: Un Viaggio a Ostacoli Verso l’Età Adulta

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio un po’ particolare, un viaggio che esplora le sfide e le speranze dei giovani con disturbo dello spettro autistico (ASD) mentre si affacciano all’età adulta. Ma non è tutto: ci concentreremo su un contesto specifico, quello delle aree rurali del Canada Atlantico. Perché, vedete, crescere e diventare grandi è già un’avventura complessa per chiunque, ma per chi vive con l’autismo, e magari lontano dai grandi centri urbani, le cose possono diventare decisamente più complicate.

Immaginatevi la scena: siete adolescenti, state per finire la scuola, il mondo degli adulti vi aspetta con tutte le sue incognite. Ora aggiungete le caratteristiche uniche dell’autismo – magari difficoltà nella comunicazione sociale, comportamenti ripetitivi, sensibilità particolari. E poi, metteteci sopra il fatto di vivere in un posto dove i servizi specializzati sono pochi e lontani, i trasporti pubblici un miraggio e le opportunità sembrano concentrate altrove. Ecco, questo è un po’ il quadro che emerge da uno studio recente che ha voluto dare voce proprio a loro: ai giovani con ASD, ai loro genitori e agli operatori che li supportano in queste zone rurali.

Ascoltare le Voci dei Protagonisti

Per capire davvero cosa significhi questa transizione in un contesto rurale, i ricercatori hanno parlato con 26 persone: 16 giovani con diagnosi di ASD (tra i 16 e i 23 anni), 6 genitori e 4 operatori sanitari (terapisti comportamentali, psicologi, logopedisti) che lavorano con loro da tempo. Tutti vivevano nelle province atlantiche del Canada (Nuova Scozia, Terranova e Labrador, Isola del Principe Edoardo, Nuovo Brunswick), in aree considerate rurali o remote.

Attraverso interviste semi-strutturate, condotte virtualmente per raggiungere anche chi abitava più lontano, si è cercato di far emergere le barriere, le difficoltà, ma anche le strategie messe in atto. Le domande erano aperte, del tipo: “Raccontami di una volta in cui hai cercato di accedere a un servizio…”, “Cosa ha reso le cose più facili o difficili?”, “Come si potrebbe navigare meglio il sistema sanitario durante questa transizione?”. L’obiettivo non era solo raccogliere dati, ma comprendere le esperienze vissute, le storie personali, le emozioni legate a questo passaggio delicato.

E sapete cosa è emerso con forza da queste chiacchierate? Tre temi principali, tre grossi nodi che rendono questo percorso un vero e proprio percorso a ostacoli.

1. Il Labirinto dei Trasporti: Arrivare alle Cure

Il primo grande scoglio è proprio quello fisico: raggiungere i luoghi dove si trovano i servizi. Sembra banale, ma non lo è affatto quando vivi in campagna. Molti partecipanti hanno sottolineato le distanze enormi da coprire. Una mamma ha raccontato: “A volte qui nelle aree rurali bisogna guidare anche 4 ore per accedere ai servizi”. Quattro ore! Pensateci: significa perdere un’intera giornata, organizzarsi con il lavoro, sostenere costi non indifferenti per la benzina e l’usura dell’auto. Un giovane ha condiviso la storia della sua ex ragazza, costretta a fare lo stesso tragitto interminabile per andare in clinica.

Ma non è solo la distanza. Il problema è anche la mancanza cronica di trasporti pubblici. Gli autobus metropolitani, ovviamente, non arrivano fin lì. E anche quando esiste qualche forma di trasporto accessibile, come i bus su chiamata (“access-a-bus”), spesso non copre tutte le zone. Una mamma ha spiegato: “L’access-a-bus non arriva fino a casa mia”, e un’altra ha aggiunto: “Nemmeno l’autobus di linea arriva qui, quindi mio figlio [con ASD] non potrebbe prenderlo”. Questo isola ulteriormente le famiglie e limita l’autonomia dei ragazzi.

E se anche ci fosse un mezzo pubblico? Spesso l’infrastruttura stessa non è “amica”. Un giovane con ASD ha confidato: “Il trasporto pubblico è molto difficile per me, non mi piace stare in mezzo alla folla”. Un altro ha aggiunto: “I rumori mi mettono ansia, quindi evito i mezzi pubblici”. Queste sensibilità sensoriali, comuni nell’autismo, rendono l’esperienza del viaggio stressante e a volte impraticabile. A questo si aggiunge la mancanza di marciapiedi o percorsi pedonali sicuri, come ha fatto notare un papà: “Mio figlio non può andare a piedi nei posti, perché la strada è trafficata e non c’è il marciapiede”. Insomma, muoversi diventa un’impresa.

Fotografia realistica di una strada rurale isolata nelle province atlantiche del Canada, che simboleggia le lunghe distanze per accedere ai servizi sanitari per giovani con autismo. Obiettivo 24mm, luce naturale, messa a fuoco nitida.

2. Risorse Limitate: Un Deserto di Servizi?

Il secondo tema caldo riguarda la disponibilità e l’accessibilità delle risorse. Qui la disparità tra città e campagna è lampante. I partecipanti hanno denunciato come la maggior parte dei programmi e dei servizi specializzati siano concentrati nelle aree metropolitane. “I servizi comunitari sono… nelle città, credo quasi ovunque”, ha osservato un genitore. Questo significa che per accedere a terapie specifiche, programmi innovativi (come l’intervento comportamentale intensivo precoce, EIBI) o anche solo a personale formato, bisogna spostarsi, spesso con tutte le difficoltà di trasporto che abbiamo visto.

Una mamma ha espresso la frustrazione per i progetti pilota che nascono e rimangono confinati nelle città: “Quando ci sono nuovi servizi, partono sempre in città, vengono creati lì, stabiliti lì e spesso rimangono lì. Non fanno progetti pilota da nessun’altra parte, così molti dei nostri ragazzi non possono accedere a quelle cose belle e meravigliose che succedono per l’autismo in città”. Questa centralizzazione crea un’ingiustizia geografica.

La mancanza di servizi specializzati in loco è un’altra fonte di preoccupazione enorme. I genitori si chiedono se i bisogni specifici dei loro figli potranno essere soddisfatti rimanendo nel loro piccolo paese. Una mamma ha confessato: “Non mi vedo lasciare [il nostro piccolo paese], e voglio [mio figlio con ASD] vicino a me, ma non so se qui potrà avere i supporti di cui ha bisogno… Mi chiedo, dovrò trasferirmi in una grande città quando compirà 20 anni, così che possa accedere a programmi e cose del genere? Non voglio farlo”. Questo dilemma mette le famiglie di fronte a scelte difficilissime.

Un’altra mamma ha raccontato l’esperienza traumatica di un’emergenza medica: “Le persone al pronto soccorso [qui] non sanno come lavorare con persone con autismo. Non lo capiscono”. Questo evidenzia un gap formativo pericoloso nel personale sanitario locale.

Infine, c’è il nodo dei costi. I servizi privati, spesso l’unica alternativa quando quelli pubblici mancano o hanno liste d’attesa infinite, sono carissimi. Una giovane con ASD ha spiegato: “L’ABA [Analisi Comportamentale Applicata] non è coperta dall’assicurazione… e sono 800 dollari al mese. È un sacco di soldi per chiunque”. I genitori confermano: “Non siamo in una situazione economica in cui possiamo continuare a usare il privato, purtroppo dobbiamo dipendere dai supporti finanziati pubblicamente”. A peggiorare le cose, spesso i supporti finanziari provinciali cessano al compimento dei 18 anni, proprio nel bel mezzo della transizione. E chi vive in aree rurali, spesso con redditi più bassi e magari costretto a fare più lavori, si trova ancora più in difficoltà a sostenere queste spese e a trovare il tempo per le terapie. “Tutto si riduce ai finanziamenti e alla possibilità di accedervi”, ha concluso una mamma.

3. Continuità delle Cure: Un Filo Spezzato

E arriviamo al terzo punto cruciale: la continuità delle cure. Cosa succede quando un giovane con ASD compie 18 anni? Spesso, il nulla. Molti genitori hanno espresso shock e delusione per l’interruzione improvvisa dei servizi pediatrici, senza un piano di transizione strutturato verso i servizi per adulti. “A 18 anni, non mi aspettavo che il team per l’autismo chiudesse bottega”, ha detto una mamma. Un’altra ha raccontato: “[La clinica] ha smesso di rispondere alle mie chiamate, hanno smesso di fissare appuntamenti, hanno semplicemente smesso”. Questo abbandono, proprio in un momento così delicato, lascia i ragazzi e le famiglie in balia di sé stessi.

Parte del problema è la formazione inadeguata degli operatori nei servizi per adulti, specialmente nelle aree rurali dove spesso ci si deve accontentare di servizi generici. Una mamma ha descritto la frustrazione di sentirsi dare consigli banali da un operatore che chiaramente non aveva esperienza specifica con l’autismo: “Mi guardava o diceva cose davvero basilari, e io pensavo ‘Sì, ovvio che ci ho provato'”. Un’altra ha sottolineato come il personale dell’ufficio dipendenze non avesse “alcuna formazione sull’autismo”. Questa mancanza di competenze specifiche può non solo rendere l’aiuto inefficace, ma addirittura causare ulteriore stress e ansia, come ha testimoniato una mamma: “Parte dell’ansia [di mio figlio] è stata causata negli anni da adulti nel campo professionale, che non sono formati per trattare con ragazzi nello spettro”.

Infine, manca un supporto completo alla navigazione del sistema. Genitori e ragazzi si sentono persi, senza informazioni chiare su quali servizi siano disponibili per gli adulti, come accedervi, come prepararsi al cambiamento. “I genitori sono frustrati perché non riescono ad avere informazioni sulla transizione”, ha riportato un operatore. Una giovane con ASD ha suggerito che sarebbe utile ricevere informazioni sui servizi disponibili già dalle scuole superiori, per potersi preparare per tempo. I genitori si sentono esausti, sovraccarichi. “Abbiamo bisogno di life coach per i ragazzi con autismo, abbiamo bisogno di persone che facciano da tramite, [perché] i genitori sono sfiniti”, ha detto una mamma. Questa mancanza di preparazione e di guida rende il compito, già arduo, quasi insormontabile.

Ritratto fotografico in bianco e nero di un giovane pensieroso seduto su una panchina in un contesto rurale, simboleggiando l'incertezza e la mancanza di supporto nella transizione all'età adulta per i giovani con autismo. Obiettivo 35mm, profondità di campo.

Cosa Ci Dice Tutto Questo?

Questi risultati non sono solo numeri o temi astratti, dipingono un quadro vivido delle difficoltà quotidiane affrontate da questi giovani e dalle loro famiglie. Vivere in un’area rurale amplifica sfide già esistenti: l’isolamento geografico si somma alla scarsità di risorse specializzate e a un sistema che sembra “dimenticarsi” di loro una volta superata la soglia dell’età adulta.

Le difficoltà nei trasporti non sono solo un fastidio logistico, ma limitano l’accesso a cure essenziali e l’indipendenza personale. La carenza di servizi specializzati e informati sull’autismo costringe a viaggi estenuanti o, peggio, a rinunciare alle cure o a ricevere interventi inadeguati. I costi proibitivi e la perdita di supporto finanziario creano un’ulteriore barriera, soprattutto per le famiglie a basso reddito. E l’assenza di un percorso di transizione chiaro e supportato lascia tutti – ragazzi, genitori, e a volte anche gli operatori – disorientati e ansiosi.

È chiaro che c’è un bisogno urgente di cambiare rotta. Servono politiche che tengano conto specificamente delle esigenze delle aree rurali, garantendo una distribuzione più equa delle risorse. Servono investimenti nei trasporti accessibili e nella formazione del personale sanitario che lavora nei servizi per adulti, affinché siano preparati ad accogliere e supportare adeguatamente le persone con ASD. Servono piani di transizione individualizzati, che inizino presto e coinvolgano attivamente i giovani e le loro famiglie, fornendo loro le informazioni e gli strumenti per navigare questo passaggio. E serve un sostegno finanziario continuativo per coprire i costi delle terapie necessarie.

Guardando al Futuro

Certo, come ogni ricerca, anche questa ha i suoi limiti. Il campione di partecipanti non era grandissimo e forse non rappresentativo di tutte le diverse realtà rurali o identità culturali. Sarebbe interessante approfondire con studi più ampi, magari seguendo i ragazzi nel tempo per vedere come evolvono le loro esperienze, o intervistando specificamente figure come i “navigatori” dei servizi, se esistono.

Ma il messaggio fondamentale resta forte e chiaro: la transizione all’età adulta per i giovani con autismo nelle aree rurali è disseminata di ostacoli che richiedono attenzione e azione. Non possiamo permetterci di lasciare indietro questi ragazzi e le loro famiglie.

Insomma, la strada è ancora lunga, ma conoscere queste storie, queste sfide, è il primo passo fondamentale. La speranza è che, parlandone e portando alla luce queste difficoltà, si possa stimolare un cambiamento reale, per costruire un futuro in cui ogni giovane, indipendentemente da dove viva o dalle sue caratteristiche, possa avere accesso alle cure e al supporto di cui ha bisogno per diventare un adulto sereno e realizzato.

Fonte: Springer

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