Disegnare è bello, ma fa imparare l’ortografia? Insegnanti e ricercatori a confronto sull’attivazione cognitiva
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta molto a cuore e che, scommetto, interessa a tanti: come far imparare al meglio i nostri bambini a scuola, specialmente quelle cose un po’ ostiche come l’ortografia. Mi sono imbattuto in uno studio tedesco affascinante (il titolo originale è un po’ tecnico: „Malen aktiviert die Schüler:innen mehr.“ – Einschätzung des kognitiven Aktivierungspotenzials von Rechtschreibaufgaben durch (angehende) Grundschullehrkräfte und Forschende im Vergleich) che mette a confronto come gli insegnanti della scuola primaria (sia quelli navigati che i futuri maestri) e i ricercatori vedono il “potenziale di attivazione cognitiva” dei compiti di ortografia. Aspettate, “attivazione cognitiva”? Sembra complicato, ma in realtà è un concetto chiave. Vediamo di capirci qualcosa insieme!
Perché le Attività Contano (Davvero!)
Pensateci un attimo: gran parte del tempo a scuola si passa a fare “compiti” o “attività”. Che siano scritti, orali, individuali o di gruppo, sono il modo principale con cui noi insegnanti cerchiamo di far passare concetti e abilità. Come dice il modello “Offerta-Utilizzo” (un classico della pedagogia, citato anche nello studio con Helmke, 2022), i compiti sono l’offerta didattica. La loro qualità determina se e come gli studenti “utilizzano” questa offerta per imparare davvero.
Ecco dove entra in gioco l’attivazione cognitiva. Non basta che un compito sia “attivo” nel senso che i bambini fanno qualcosa (tagliano, incollano, colorano…). Un compito è cognitivamente attivante quando spinge gli alunni a pensare profondamente, a usare quello che sanno già (il famoso “Vorwissen”), a elaborare nuove informazioni, a fare collegamenti, a spiegare il perché delle cose, a riflettere su come stanno imparando (metacognizione). Insomma, deve accendere il cervello, non solo le mani!
Questo è super importante per l’ortografia. I dati recenti (come quelli citati nello studio, Stanat et al. 2022) mostrano che le competenze ortografiche degli alunni della primaria stanno calando. Urge migliorare la qualità dell’insegnamento! E compiti che stimolano davvero il ragionamento sulle regole ortografiche, sull’analisi degli errori, sulla ricerca di strategie sembrano essere una chiave vincente, specialmente per chi fa più fatica (Hanisch 2018; Hofmann 2008).
L’Occhio dell’Insegnante vs. L’Occhio del Ricercatore
Lo studio che vi racconto ha fatto proprio questo: ha preso 280 insegnanti di scuola primaria (alcuni con esperienza, altri ancora in formazione – i tirocinanti, o “Lehramtsanwärter:innen”) e 25 ricercatori esperti di didattica e/o ortografia. Ha mostrato loro quattro diversi compiti di ortografia, presi da materiali didattici reali, e ha chiesto: “Quanto pensate che questo compito attivi cognitivamente i bambini, su una scala da 1 (pochissimo) a 4 (moltissimo)?”. E poi: “Perché?”.
I risultati? Sorprendenti, in parte.
- La buona notizia: gli insegnanti sono stati bravissimi a riconoscere il compito che, secondo gli esperti, era davvero molto attivante (un compito che chiedeva di analizzare errori, scoprire regolarità e discuterne in gruppo). Qui, insegnanti e ricercatori erano praticamente d’accordo (valutazione media intorno a 3.1 su 4). E le motivazioni date dagli insegnanti erano spesso pertinenti: hanno capito che il confronto, la spiegazione, la ricerca autonoma erano il punto di forza.
- La notizia… interessante: per i compiti considerati dai ricercatori poco o per niente attivanti, gli insegnanti tendevano a sovrastimarne il potenziale. In media, davano voti significativamente più alti rispetto agli esperti.
Questo ci dice che, mentre l’eccellenza viene riconosciuta, c’è più incertezza nel valutare compiti apparentemente più semplici o diversi.

Il Caso del “Disegnare Attiva di Più”
Il titolo dello studio originale menziona una frase emblematica: “Malen aktiviert die Schüler:innen mehr” (“Disegnare attiva di più gli studenti”). Questo si riferisce probabilmente a uno dei compiti usati nell’indagine (il “Compito 2”). Immaginate un esercizio dove i bambini devono disegnare oggetti il cui nome inizia con una certa lettera o che richiede la maiuscola. Carino, no? Molti insegnanti (secondo lo studio) l’hanno valutato come abbastanza attivante.
I ricercatori, invece, l’hanno stroncato (media 1.4 su 4!). Perché? Perché, dicono, l’attività principale qui è disegnare (hands-on-activities), non ragionare sull’ortografia (cognitive activities, come direbbe Mayer, 2004). Il focus si sposta dal contenuto (la regola ortografica) all’azione del disegnare. Si impara poco sull’ortografia, anche se i bambini sembrano impegnati.
Questo esempio è perfetto per capire la differenza chiave: un’attività può essere coinvolgente e far fare cose ai bambini, ma non necessariamente stimolare quel tipo di pensiero profondo che porta a un apprendimento solido e duraturo delle regole ortografiche. È facile confondere l’attività visibile con l’attivazione cognitiva.
Esperienza vs. Formazione Recente
Un altro aspetto intrigante indagato è se l’esperienza faccia la differenza. Ci si aspetterebbe che un insegnante con anni di cattedra alle spalle sia più bravo a scegliere i compiti giusti, no? Beh, non proprio, o almeno non in questo studio specifico sulla valutazione del potenziale cognitivo.
I risultati mostrano che:
- Non ci sono state differenze significative tra insegnanti esperti e tirocinanti nel valutare la maggior parte dei compiti (tranne uno, dove i tirocinanti erano più vicini ai ricercatori!).
- Anche la qualità delle giustificazioni date per le valutazioni era simile tra i due gruppi. L’esperienza non sembrava tradursi in una capacità significativamente maggiore di identificare e spiegare le caratteristiche che rendono un compito cognitivamente attivante.
- MA… quando si è chiesto agli insegnanti quanto si sentissero sicuri nel scegliere compiti di qualità, gli insegnanti esperti si sono dichiarati molto più sicuri dei tirocinanti su tutti i fronti (capire se un compito è attivante, se è corretto, se è di bassa qualità).
Cosa significa? Forse che l’esperienza aumenta la fiducia in sé stessi (il che è normale e positivo!), ma non necessariamente affina questa specifica competenza di analisi del potenziale cognitivo dei compiti, almeno non automaticamente. Anzi, a volte i tirocinanti, freschi di studi universitari dove magari si è parlato di più di “attivazione cognitiva”, potrebbero avere strumenti concettuali più aggiornati su questo specifico aspetto. Altri studi citati (es. Riegler et al. 2022) suggeriscono addirittura che a volte insegnanti più giovani mostrano conoscenze didattiche (sull’ortografia) più elevate.

Cosa Ci Dice Tutto Questo?
Questo studio, secondo me, è uno spunto di riflessione potentissimo per tutti noi che lavoriamo nella scuola.
Primo: saper scegliere o creare compiti davvero efficaci è un’arte e una scienza. Richiede competenze specifiche, che vanno oltre il contenuto disciplinare. Bisogna saper “leggere” un compito e capire che tipo di pensiero stimolerà nei nostri alunni.
Secondo: non dobbiamo confondere l’impegno apparente o il divertimento con l’apprendimento profondo. Certo, motivazione e coinvolgimento sono fondamentali, ma devono essere al servizio di un obiettivo cognitivo chiaro.
Terzo: l’esperienza è preziosa, ma va integrata con la formazione continua e la riflessione critica. Sentirsi sicuri è importante, ma è altrettanto importante verificare se le nostre convinzioni (ad esempio, su cosa funziona meglio) sono supportate dall’evidenza e dalla ricerca. I tirocinanti si sentono meno sicuri, ma non sono necessariamente meno capaci in questa specifica valutazione. C’è bisogno di supporto per tutti.
Quarto: anche tra gli esperti (i ricercatori) c’è stata qualche differenza di vedute su alcuni compiti. Questo ci ricorda che valutare il potenziale cognitivo non è sempre bianco o nero, dipende da tanti fattori, incluso il contesto specifico della classe e le caratteristiche degli alunni. La discussione su cosa sia esattamente l’attivazione cognitiva, sia in generale che nelle singole discipline, è ancora aperta e viva.
In conclusione, la qualità dei compiti che proponiamo è una leva potentissima per migliorare l’apprendimento, soprattutto in aree complesse come l’ortografia. Questo studio ci suggerisce che c’è spazio per crescere, per tutti noi insegnanti, nel diventare ancora più abili nell’analizzare e scegliere le attività che non solo impegnano, ma che davvero fanno… pensare! E forse, la prossima volta che vedremo un compito basato principalmente sul colorare, ci chiederemo: bello è bello, ma attiva davvero la mente nel modo giusto?
Fonte: Springer
