Scimpanzé Selvatici: Legami Forti Sì, Ma Niente ‘Drammi’ da Attaccamento Disorganizzato!
Ciao a tutti, amanti della natura e delle meraviglie del mondo animale! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel cuore della foresta pluviale, per sbirciare nella vita intima di uno dei nostri parenti più stretti: lo scimpanzé dell’Africa occidentale (Pan troglodytes verus). Parleremo di un tema che tocca tutti noi da vicino, fin dalla culla: l’attaccamento. Sì, quel legame speciale, quasi magico, tra una mamma e il suo piccolo, quel filo invisibile che garantisce protezione, conforto e una base sicura da cui esplorare il mondo. Ma come funziona negli scimpanzé selvatici? È simile al nostro? E soprattutto, esistono anche tra loro quei pattern un po’ più “complicati” che a volte vediamo nei cuccioli d’uomo?
Ma cos’è esattamente l’Attaccamento? Un Mini Ripasso
Prima di addentrarci nella giungla, rinfreschiamoci la memoria. La teoria dell’attaccamento, sviluppata inizialmente studiando i bambini, ci dice che esistono principalmente tre tipi di attaccamento “organizzato”, cioè coerente e funzionale:
- Sicuro: il piccolo si fida della disponibilità della mamma, la usa come base per esplorare e sa che troverà conforto in caso di bisogno.
- Insicuro-evitante: il piccolo, forse a causa di una mamma meno responsiva, tende a mostrarsi più indipendente, quasi a evitare il contatto durante momenti di stress.
- Insicuro-resistente/ambivalente: il piccolo è “appiccicoso”, ansioso, perché la mamma a volte c’è e a volte no, quindi non sa bene cosa aspettarsi.
Tutti e tre, per quanto diversi, sono considerati strategie adattive, modi in cui il cucciolo si “organizza” per massimizzare le sue chance di sopravvivenza in base al tipo di cure che riceve. Poi, però, c’è un quarto tipo, introdotto successivamente: l’attaccamento disorganizzato/disorientato. Qui la faccenda si complica: comportamenti contraddittori, paura del caregiver, assenza di una strategia chiara. Si pensa che questo tipo di attaccamento sia spesso legato a esperienze difficili, a cure genitoriali problematiche, e c’è un gran dibattito se sia adattivo o, come sospettano in molti, decisamente maladattivo, cioè svantaggioso.
La Grande Domanda: E gli Scimpanzé Selvatici?
Ed eccoci al dunque! Per anni ci siamo chiesti: questa teoria vale solo per noi umani e magari per qualche scimmia in cattività, o ha radici evolutive più profonde? E l’attaccamento disorganizzato, così problematico per noi, si ritrova anche in natura, dove la selezione naturale dovrebbe favorire solo ciò che aiuta a sopravvivere? Per rispondere, un team di ricercatori (e modestamente, ho avuto il piacere di seguire da vicino questo tipo di studi!) si è armato di pazienza e binocoli e ha passato ben 3.795 ore a osservare 50 coppie mamma-figlio di scimpanzé selvatici nel Parco Nazionale di Taï, in Costa d’Avorio. Un lavoraccio, ve lo assicuro, ma ne è valsa la pena!
L’idea era semplice ma ambiziosa: vedere se nei piccoli scimpanzé (da 0 a 10 anni) si potessero identificare questi diversi stili di attaccamento, osservando come reagivano a eventi naturalmente minacciosi (come aggressioni tra altri membri del gruppo non dirette a loro, o rumori forti e improvvisi – le cosiddette UTE, Undirected Threatening Events).
Caccia al Disorganizzato: Missione (Im)possibile?
La prima ipotesi era che l’attaccamento disorganizzato, se davvero è maladattivo, dovesse essere raro o assente in un ambiente selvatico. Immaginate un piccolo scimpanzé che, invece di cercare la mamma quando è spaventato, si immobilizza o, peggio, la teme. In un ambiente pieno di pericoli, dalla predazione alla competizione, un comportamento del genere sarebbe una condanna, no? Ebbene, tenetevi forte: nel nostro studio sugli scimpanzé selvatici, di questo attaccamento ‘disorganizzato’ non abbiamo trovato traccia! Zero. Nada. Nisba.
Abbiamo analizzato ore e ore di filmati e appunti: i piccoli, quando erano in difficoltà (ad esempio, emettendo vocalizzi di stress come gemiti o urla), si avvicinavano alla madre o venivano avvicinati da lei nella stragrande maggioranza dei casi. Non abbiamo osservato comportamenti aggressivi dei piccoli verso la madre, né comportamenti stereotipati o anormali (come dondolarsi, tirarsi i peli, ecc.), né tentativi di fuga dalla madre se non quando era la madre stessa a mostrare una lieve aggressività (eventi comunque rarissimi!). Questo è un punto cruciale: sembra proprio che in natura, dove ogni errore può costare caro, l’attaccamento disorganizzato non trovi spazio. Se mai dovesse comparire in un cucciolo, probabilmente quel cucciolo avrebbe poche chance di farcela.

Questo contrasta con quanto si osserva a volte negli umani (dove l’attaccamento disorganizzato può riguardare una percentuale non trascurabile di bambini, specialmente in contesti difficili) e persino negli scimpanzé in cattività cresciuti dall’uomo o in condizioni non ottimali. Lì, forse perché le pressioni selettive sono diverse (cibo assicurato, niente predatori), questi pattern possono emergere e persistere. Ma in natura, la regola sembra essere: o ti organizzi, o rischi grosso.
Ordine nella Giungla: L’Attaccamento Organizzato C’è Eccome!
Se il disorganizzato latita, che dire degli stili organizzati? Qui le cose si fanno super interessanti! Analizzando le reazioni di un sottogruppo di 18 scimpanzé immaturi a 309 eventi minacciosi, abbiamo visto chiaramente dei pattern di attaccamento ‘organizzato’.
Come ce ne siamo accorti? Studiando le loro reazioni: alcuni piccoli, di fronte a un pericolo, cercavano subito la mamma, si avvicinavano, la guardavano (un po’ come i bimbi con attaccamento sicuro, no?). Altri, invece, mostravano una maggiore indipendenza, non reagivano o addirittura si allontanavano dalla fonte della minaccia senza necessariamente cercare la madre (ricordate l’attaccamento insicuro-evitante?).
Utilizzando tecniche statistiche piuttosto sofisticate (come l’analisi UMAP e la PCA, per i più tecnici tra voi), siamo riusciti a raggruppare i piccoli in base a queste diverse strategie comportamentali, tenendo ovviamente conto dell’età (è chiaro che un cucciolo di un anno reagisce diversamente da uno di cinque!). E i risultati sono stati chiari: emergevano profili comportamentali distinti.
- Un gruppo (che abbiamo chiamato Tipo 1) mostrava reazioni appropriate all’età, cercando la madre in modo equilibrato: il nostro candidato per l’attaccamento sicuro.
- Un altro gruppo (Tipo 2) tendeva a fare meno affidamento sulla madre di quanto ci si aspetterebbe per la sua età, mostrando più indipendenza: molto simile all’insicuro-evitante.
- C’era poi un terzo gruppo (Tipo 3) che sembrava cercare la madre più del previsto. Inizialmente abbiamo pensato potesse assomigliare all’insicuro-resistente.
Per dare ancora più solidità a queste scoperte, abbiamo controllato se questi “tipi” di attaccamento influenzassero anche altri comportamenti, come la distanza mantenuta dalla madre durante l’esplorazione sociale (quando giocano con altri piccoli, per intenderci). E sì! I piccoli di Tipo 2 (gli “evitanti”) tendevano a esplorare più lontano dalla mamma rispetto a quelli di Tipo 1 (i “sicuri”). Questo ha molto senso: se non consideri tua madre la tua “base sicura” principale in caso di pericolo, è logico che ti avventuri di più per conto tuo.
E l’Insicuro-Resistente? Un Piccolo Giallo
Riguardo al Tipo 3, quello che inizialmente sembrava “insicuro-resistente”, le cose sono un po’ più sfumate. Una caratteristica chiave dell’attaccamento insicuro-resistente negli umani è che il bambino continua a essere angosciato e inconsolabile anche quando la madre cerca di confortarlo. Nei nostri scimpanzé, questo non l’abbiamo visto. Quando la mamma si avvicinava o toccava il piccolo dopo un evento minaccioso, il piccolo si calmava. Le rare volte in cui il piccolo continuava a lamentarsi era perché la mamma, per qualche motivo, non era intervenuta.
Inoltre, non c’erano differenze significative nella distanza di esplorazione sociale tra i piccoli di Tipo 1 (sicuri) e Tipo 3. Questo ci ha fatto pensare che forse il Tipo 3 non rappresenti un vero e proprio attaccamento insicuro-resistente come lo intendiamo negli umani, ma piuttosto una variante del sicuro, magari con piccoli dal temperamento un po’ più ansioso o che reagiscono in modo più plateale alle minacce, ma che comunque trovano conforto efficace nella madre. Insomma, la giuria è ancora un po’ fuori su questo specifico punto, ma l’assenza di un chiaro pattern insicuro-resistente è di per sé un dato interessante.

Perché Tutto Questo è Importante? Echi Evolutivi
Ok, direte voi, affascinante, ma che significa tutto ciò? Beh, significa parecchio! Innanzitutto, supporta l’idea che l’attaccamento organizzato, con le sue varianti sicura e insicuro-evitante, non sia un’invenzione umana, ma abbia radici evolutive profonde, condivise con i nostri cugini primati. Queste strategie si sono probabilmente evolute perché offrono un vantaggio reale in termini di sopravvivenza e sviluppo.
In secondo luogo, la quasi totale assenza di attaccamento disorganizzato negli scimpanzé selvatici rafforza l’ipotesi che sia una forma maladattiva, almeno in contesti dove le pressioni ambientali sono forti. Potrebbe essere che l’attaccamento disorganizzato emerga più facilmente in ambienti (come le nostre società moderne o certi contesti di cattività) dove la sopravvivenza fisica immediata del piccolo è meno dipendente dalla perfezione del legame con la madre, grazie a reti di supporto sociale o cure mediche. Questo non lo rende meno problematico per lo sviluppo psicologico, sia chiaro!
Certo, il nostro studio ha i suoi limiti, come ogni ricerca. Ad esempio, il campione di scimpanzé analizzato per i tipi di attaccamento organizzato non era enorme, e l’età dei piccoli variava. Tuttavia, la forza di osservare questi comportamenti nel loro ambiente naturale, in situazioni reali e ripetute nel tempo, è impagabile e ci dà una finestra unica su come queste dinamiche si plasmano sotto le pressioni della selezione naturale.
Uno Sguardo al Futuro
Cosa ci aspetta ora? Sicuramente, continuare a studiare! Sarebbe fantastico capire meglio come la responsività materna influenzi il tipo di attaccamento sviluppato dal piccolo scimpanzé, proprio come accade negli umani. E poi, seguire questi piccoli nel tempo, per vedere come il loro stile di attaccamento da cuccioli influenzi le loro relazioni sociali e il loro successo riproduttivo da adulti. Immaginate scoprire che uno scimpanzé “sicuro” da piccolo diventa un leader più equilibrato o una madre più competente! Sarebbe una conferma incredibile della potenza di questo legame primordiale.
In conclusione, amici, sembra proprio che il bisogno di un legame forte e affidabile con chi si prende cura di noi sia qualcosa di profondamente radicato nella nostra storia evolutiva di primati. Gli scimpanzé selvatici ci mostrano che l’organizzazione e la coerenza in questo legame sono la norma, perché in natura, semplicemente, non c’è molto spazio per il “caos” emotivo quando si tratta di sopravvivenza. E questa, se ci pensate, è una lezione potentissima che ci arriva direttamente dalla giungla.
Fonte: Springer
