ATG4B nell’Osteosarcoma: Un Nuovo Bersaglio Contro il Tumore Osseo?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di una ricerca affascinante che tocca un tema delicato ma cruciale: l’osteosarcoma. Si tratta del tumore osseo primario più comune nei bambini e negli adolescenti, un nemico subdolo caratterizzato da crescita rapida, aggressività locale e una fastidiosa tendenza a dare metastasi precoci, soprattutto ai polmoni.
La sfida dell’osteosarcoma e la chemioresistenza
Purtroppo, le notizie non sono sempre buone. Per i pazienti che presentano già metastasi alla diagnosi, la prognosi è decisamente peggiore. Uno dei motivi principali è la resistenza ai farmaci chemioterapici. Pensate che una fetta consistente di pazienti, tra il 35% e il 45%, non risponde alle terapie standard, e questo porta la sopravvivenza a 5 anni a un drammatico 5-20%. La chemioresistenza è un ostacolo enorme che spesso porta al fallimento delle cure. Capite bene, quindi, quanto sia urgente trovare nuovi bersagli terapeutici e sviluppare strategie innovative per combattere questo tumore.
Entra in gioco l’autofagia: amica o nemica?
Qui entra in scena un processo cellulare fondamentale chiamato autofagia. Immaginatela come una sorta di sistema di “pulizia e riciclo” interno alla cellula: elimina componenti danneggiati o inutili e ne ricicla i materiali. Questo meccanismo è vitale, ma nel contesto dei tumori il suo ruolo è ambiguo, un po’ Giano Bifronte. A volte agisce da soppressore tumorale, eliminando cellule potenzialmente pericolose all’inizio. Altre volte, però, può diventare un promotore tumorale, aiutando le cellule cancerose a sopravvivere in condizioni difficili, come la carenza di nutrienti o l’attacco della chemioterapia. Molti studi, infatti, hanno dimostrato che l’autofagia può contribuire alla chemioresistenza durante il trattamento oncologico.
ATG4B: un attore chiave nell’autofagia
All’interno della complessa macchina dell’autofagia, ci sono diversi ingranaggi. Uno di questi è una famiglia di proteine chiamate ATG4 (Autophagy-related gene 4). Sono delle proteasi, cioè enzimi che tagliano altre proteine. Tra queste, ATG4B sembra avere un ruolo particolarmente importante nella formazione degli autofagosomi, le “sacche” che raccolgono il materiale da degradare.
Studi precedenti hanno già acceso i riflettori su ATG4B, trovandola sovraespressa (cioè presente in quantità eccessive) e associata a una prognosi peggiore in diverse forme di cancro, come la leucemia mieloide cronica, il cancro al seno, allo stomaco e orale. Altre ricerche suggeriscono che ATG4B giochi un ruolo oncogenico (cioè che favorisca il cancro) nel carcinoma del colon-retto e nel glioblastoma. Cosa succede se proviamo a bloccarla? Ebbene, inibire l’attività di ATG4B ha dimostrato di ridurre la vitalità delle cellule tumorali e di renderle più sensibili ai farmaci chemioterapici, sia in provetta (in vitro) che in modelli animali (in vivo).
ATG4B e l’osteosarcoma: cosa sappiamo?
Finora, però, si sapeva poco sul ruolo specifico di ATG4B nell’osteosarcoma. Qualche indizio c’era: cellule di osteosarcoma (la linea Saos-2) a cui era stato tolto ATG4B non riuscivano a formare tumori nei topi. Inoltre, la resistenza delle cellule di osteosarcoma a farmaci comuni come doxorubicina, cisplatino e metotrexato sembrava legata proprio all’induzione dell’autofagia.
Visto il potenziale delle terapie basate sull’autofagia e l’importanza di capire il significato clinico di ATG4B nei pazienti con osteosarcoma, abbiamo deciso di indagare più a fondo. Abbiamo analizzato i livelli della proteina ATG4B tramite immunoistochimica (una tecnica che colora specificamente le proteine nei tessuti) in campioni di osteosarcoma e abbiamo correlato questi dati con l’andamento clinico dei pazienti.

Non solo autofagia: il legame con l’angiogenesi (VEGF)
Ma non ci siamo fermati qui. Un altro processo cruciale per la crescita e la diffusione dei tumori è l’angiogenesi, cioè la formazione di nuovi vasi sanguigni che portano nutrimento al tumore. Questo processo è regolato da un equilibrio delicato tra fattori pro-angiogenici (che lo stimolano) e anti-angiogenici (che lo frenano). Uno dei principali attori pro-angiogenici è il VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor), una proteina che stimola specificamente la crescita delle cellule endoteliali (quelle che rivestono i vasi sanguigni). Il VEGF è spesso sovraespresso nei tumori e influenza pesantemente il cosiddetto microambiente tumorale (TME), cioè tutto ciò che circonda le cellule cancerose.
Recenti scoperte hanno evidenziato che anche l’autofagia gioca un ruolo nelle cellule endoteliali e può regolare l’angiogenesi patologica, quella tipica dei tumori. Nel TME, spesso ipossico (con poco ossigeno) e povero di nutrienti, un aumento dell’autofagia nei vasi sanguigni sembra aiutare le cellule endoteliali a sopravvivere. Tuttavia, la relazione diretta tra l’espressione di ATG4B nelle cellule tumorali e l’angiogenesi non era ancora stata chiarita.
Per questo, nel nostro studio, abbiamo voluto indagare anche i livelli di VEGF e vedere se ci fosse una correlazione con ATG4B e con le caratteristiche clinico-patologiche dei pazienti.
I nostri risultati: cosa abbiamo scoperto?
Abbiamo analizzato campioni di 67 pazienti con osteosarcoma primario. Prima di tutto, abbiamo confermato, analizzando database genetici pubblici (Gene Expression Omnibus – GEO), che il gene ATG4B è significativamente più espresso nel tessuto dell’osteosarcoma rispetto al tessuto osseo normale adiacente. Questo è già un primo segnale importante.
Poi, passando all’analisi immunoistochimica sui nostri campioni:
- Abbiamo trovato alti livelli di proteina ATG4B nel citoplasma delle cellule tumorali nella maggioranza dei casi (ben 53 su 67, il 79.1%).
- Cosa ancora più rilevante, alti livelli di ATG4B erano associati in modo significativo a:
- Dimensioni maggiori del tumore
- Stadio più avanzato della malattia
- Scarsa risposta istologica alla chemioterapia neoadiuvante (cioè quella fatta prima dell’intervento chirurgico). Questo suggerisce un legame con la chemioresistenza.
- Anche l’analisi della sopravvivenza (con il metodo di Kaplan-Meier) ha mostrato un’associazione significativa tra alta espressione di ATG4B e una sopravvivenza globale più breve.
Passando al VEGF:
- Anche il VEGF era positivo nella maggior parte dei tumori (50 su 67, il 74.6%).
- Alti livelli di VEGF erano significativamente associati a:
- Dimensioni maggiori del tumore
- Stadio più avanzato
- Presenza di metastasi al momento della diagnosi.
- Anche per il VEGF, un’alta espressione era legata a una sopravvivenza globale più breve.

La correlazione chiave: ATG4B e VEGF vanno a braccetto?
E qui arriva uno dei punti più intriganti: abbiamo trovato una correlazione positiva statisticamente significativa tra l’espressione di ATG4B e quella di VEGF (P=0.002). In pratica, molti dei tumori con alti livelli di VEGF avevano anche alti livelli di ATG4B. Sembra quasi che questi due fattori lavorino insieme.
Perché? Come accennato, il TME è un ambiente stressante. L’ipossia stabilizza fattori (come gli HIF) che a loro volta inducono il VEGF e quindi l’angiogenesi. Questa angiogenesi “patologica”, però, crea vasi sanguigni anomali, portando a zone con scarso nutrimento e ancora ipossia. Questo stress metabolico può indurre l’autofagia (e quindi aumentare ATG4B) come meccanismo di sopravvivenza per le cellule tumorali (e forse anche per quelle endoteliali). È un circolo vizioso.
Indipendentemente da chi influenzi chi, questa struttura vascolare anomala ostacola anche l’arrivo dei farmaci chemioterapici al tumore, limitandone l’efficacia.
Un barlume di speranza: bassi livelli, buona risposta
Un dato particolarmente interessante emerso dalla nostra analisi è che i tumori che mostravano bassi livelli sia di ATG4B che di VEGF erano associati a una buona risposta istologica alla chemioterapia (P=0.02). Anzi, *tutti* i tumori con bassa espressione di entrambi i marcatori hanno mostrato una buona risposta! Questo suggerisce che la combinazione di questi due fattori potrebbe essere un buon predittore della risposta alla terapia e, forse, che inibire entrambe le vie contemporaneamente potrebbe essere una strategia terapeutica efficace.
Conclusioni e prospettive future
Riassumendo, il nostro studio, il primo a indagare l’espressione immunoistochimica di ATG4B nell’osteosarcoma e la sua relazione con i parametri clinici e con VEGF, ha portato a galla diversi punti chiave:
- ATG4B è sovraespresso nell’osteosarcoma.
- Alti livelli di ATG4B sono un segnale d’allarme: si associano a prognosi peggiore e a resistenza alla chemioterapia.
- Anche VEGF è sovraespresso e legato a fattori prognostici sfavorevoli.
- Esiste una correlazione positiva tra ATG4B e VEGF, suggerendo un’interazione nel TME.
- La bassa espressione di entrambi potrebbe predire una buona risposta alla chemio.
Questi risultati rafforzano l’idea che ATG4B giochi un ruolo importante nella crescita e progressione dell’osteosarcoma, probabilmente favorendo la sopravvivenza cellulare tramite l’autofagia e interagendo con i meccanismi dell’angiogenesi. Questo rende ATG4B un potenziale e promettente bersaglio terapeutico.
Certo, il nostro studio ha dei limiti, come il disegno retrospettivo e il numero non enorme di pazienti. Serviranno studi futuri su coorti più ampie per confermare questi risultati ed esplorare i meccanismi molecolari precisi dietro l’asse ATG4B-VEGF. Saranno necessari anche studi preclinici per valutare l’efficacia di un’inibizione combinata di ATG4B e VEGF in modelli di osteosarcoma. Ma la strada è tracciata, e la speranza è quella di poter offrire, un giorno, terapie più mirate ed efficaci per i giovani pazienti che lottano contro questo tumore.
Fonte: Springer
