Fotografia realistica di una donna etiope incinta che riceve consulenza da un'ostetrica sorridente in una clinica luminosa. La donna ascolta attentamente. Obiettivo da ritratto 35mm, duotone seppia e crema, profondità di campo.

Etiopia: Boom di Visite Prenatali, Ma la Qualità Dov’è? Un’Occasione Spesso Mancata

Amici, oggi vi porto con me in un viaggio che tocca un tema importantissimo: la salute delle mamme e dei loro bimbi prima della nascita. Parliamo di assistenza prenatale, quel pacchetto di cure e controlli che ogni donna in gravidanza dovrebbe ricevere. E lo facciamo guardando a una realtà specifica, quella dell’Etiopia, grazie a uno studio recente che ci apre gli occhi su luci e ombre di un percorso fondamentale.

Sapete, negli ultimi vent’anni in Etiopia c’è stata una vera e propria impennata nel numero di donne che si sottopongono ad almeno una visita prenatale. Pensate, siamo passati da un misero 27% nel 2000 a un incoraggiante 74% nel 2019! Un balzo notevole, che fa ben sperare. Ma, come spesso accade, non è tutto oro quello che luccica. Avere più donne che frequentano le cliniche è un primo, grande passo, ma la domanda cruciale è: che tipo di assistenza ricevono una volta lì? È qui che casca l’asino, o meglio, è qui che lo studio ci mostra un’opportunità spesso mancata.

Cosa ci dice lo studio nel dettaglio?

I ricercatori hanno spulciato i dati del 2019 Ethiopian Demographic and Health Survey (EDHS), concentrandosi su un gruppo di 1573 donne che avevano partorito un bimbo vivo nei due anni precedenti e che avevano fatto almeno una visita prenatale. L’obiettivo era capire quante di loro avessero effettivamente ricevuto quattro servizi raccomandati fondamentali. E quali sono questi servizi “salvavita”?

  • Misurazione della pressione sanguigna (cruciale per individuare ipertensione e pre-eclampsia)
  • Esame del sangue
  • Esame delle urine (entrambi per scovare infezioni, carenze nutrizionali, ecc.)
  • Consulenza sui segnali di pericolo e complicazioni della gravidanza (per sapere quando correre ai ripari!)

Ebbene, tenetevi forte: solo circa una donna su due (il 49,7% per la precisione) ha dichiarato di aver ricevuto tutti e quattro questi componenti essenziali dell’assistenza prenatale durante la sua gravidanza. Avete capito bene? Nonostante l’accesso alle visite sia aumentato, la completezza delle cure raccomandate latita per metà delle future mamme. Un’occasione d’oro per screening e consulenza che, purtroppo, viene persa troppo spesso.

Chi riceve cure migliori e chi resta indietro?

Lo studio non si è fermato qui, ma ha cercato di capire se ci fossero dei fattori legati alle donne stesse che influenzassero la ricezione di queste cure complete. E, ahimè, le disuguaglianze emergono chiare e tonde.

Le donne con un livello di istruzione più alto hanno mostrato una probabilità quasi tre volte maggiore di ricevere il pacchetto completo rispetto a quelle senza istruzione. Sembra quasi un “più studi, più sai cosa chiedere e cosa ti spetta”, o forse una maggiore capacità di interfacciarsi con il sistema sanitario.

Anche il portafoglio fa la sua parte. Le donne appartenenti ai quintili di ricchezza media, ricca e ricchissima avevano probabilità significativamente maggiori (da quasi due a oltre quattro volte!) di ricevere tutte e quattro le componenti rispetto alle donne nel quintile più povero. Questo ci fa riflettere amaramente su come le disparità economiche si traducano direttamente in disparità di salute.

Infine, un dato che sembra logico ma che va sottolineato: il numero di visite prenatali. Chi ne ha fatte da due a tre, o quattro e più, ha avuto una probabilità enormemente più alta (rispettivamente 5 e 13 volte!) di ricevere tutti i servizi rispetto a chi si è fermata a una sola visita. Questo suggerisce che più contatti ci sono, più opportunità si creano per “recuperare” eventuali mancanze, anche se idealmente questi quattro servizi base dovrebbero essere erogati fin dalla prima visita.

Fotografia realistica di una donna etiope incinta durante una visita prenatale in una clinica rurale. L'operatore sanitario le misura la pressione. Obiettivo da ritratto 35mm, luce naturale, toni caldi e terrosi, profondità di campo accentuata.

È un po’ come andare al ristorante con un menù fisso e scoprire che ti portano solo metà delle portate. La fame magari te la calmi lo stesso, ma non hai goduto dell’esperienza completa e, nel caso della salute, potresti aver perso informazioni vitali.

Perché questa discrepanza? Non basta presentarsi?

Avere tante donne che varcano la soglia dell’ambulatorio è fantastico, ma se poi escono senza aver fatto esami cruciali o ricevuto consigli salvavita, capite bene che il lavoro è a metà. Le linee guida esistono proprio per standardizzare la qualità, per assicurare che ogni donna riceva quel minimo essenziale che può fare la differenza tra una gravidanza serena e una complicata, a volte persino tra la vita e la morte.

Pensiamo ai benefici: gli integratori di ferro e calcio riducono il rischio di anemia materna e pre-eclampsia; il vaccino antitetanico protegge il neonato; lo screening per la sifilide previene la trasmissione al bambino e le sue conseguenze devastanti. E la consulenza? Aiuta a smettere di fumare, a evitare l’alcol, a pianificare la famiglia dopo il parto e a scegliere un parto assistito da personale qualificato.

Lo studio evidenzia che, tra i quattro servizi, la misurazione della pressione sanguigna è quella fornita più di frequente (all’89% delle donne), seguita dall’esame del sangue, poi quello delle urine e, fanalino di coda, la consulenza sui segnali di complicazione. Questa “gerarchia” potrebbe riflettere problemi come la mancanza di reagenti per i test, di kit per la raccolta dei campioni, o forse una minore enfasi sulla parte di dialogo e informazione, che invece è cruciale.

Variazioni regionali: un quadro a macchia di leopardo

Un altro aspetto interessante è la variazione geografica all’interno dell’Etiopia. Ad Addis Abeba, la capitale, la situazione è decisamente migliore: il 98% delle donne fa almeno una visita e ben il 90% riceve il pacchetto completo dei quattro servizi. Un divario minimo, che fa ben sperare.

Ma spostiamoci nella regione di Benishangul-Gumuz: qui, nonostante un’alta copertura della prima visita (85,6%), solo il 40,6% delle donne riceve i quattro servizi. Un gap enorme! Al contrario, nella regione Somali, pur avendo la più bassa copertura di prime visite (32%), il divario con chi riceve i servizi completi è minore (17,4% riceve tutto). Questo ci dice che alta copertura non significa automaticamente alta qualità o completezza del servizio offerto.

Cosa si può fare? Le raccomandazioni degli esperti

Di fronte a questi dati, è chiaro che non basta dire “aumentiamo le visite”. L’Etiopia ha recentemente rivisto le sue linee guida, passando da un minimo di quattro visite a un minimo di otto contatti durante la gravidanza. Ma se questi contatti rimangono “vuoti” o incompleti, i benefici sperati potrebbero non materializzarsi.

Il Ministero della Salute etiope e i suoi partner dovrebbero quindi concentrarsi su strategie mirate per garantire che le donne che accedono ai servizi sanitari ricevano tutto ciò che è previsto. Come?

  • Integrando più componenti dell’assistenza prenatale nel sistema di monitoraggio informativo sanitario (HMIS), non solo i test per sifilide, HIV ed epatite B.
  • Conducendo indagini nelle strutture sanitarie per identificare le lacune nella fornitura dei servizi.
  • Analizzando il contenuto effettivo dei contatti prenatali e capendo perché alcuni servizi non vengono erogati: mancanza di competenze del personale? Carenza di attrezzature o kit?

È fondamentale che tutte le donne, indipendentemente dal loro livello di istruzione o dalla loro situazione economica, ricevano cure complete e di qualità. Perché ogni gravidanza conta, e ogni mamma e bambino meritano il miglior inizio possibile.

La strada è ancora lunga, ma studi come questo sono fari che illuminano il cammino, mostrandoci dove intervenire con più urgenza ed efficacia. Speriamo che queste “occasioni mancate” diventino sempre più rare, trasformandosi in opportunità colte per la salute di tutti.

Un primo piano macro di una goccia di sangue su un vetrino da laboratorio e una provetta di urina accanto, su un tavolo sterile in un contesto di clinica. Illuminazione controllata e precisa, obiettivo macro 100mm, alta definizione dei dettagli, sfondo leggermente sfocato per enfatizzare i campioni.

La ricerca, insomma, ci sbatte in faccia una realtà complessa: l’accesso è migliorato, e questa è una vittoria. Ma ora la sfida si sposta sulla qualità e l’equità. Non possiamo accontentarci di numeri che nascondono disparità profonde. Le donne più istruite e più abbienti riescono ad ottenere di più dal sistema, forse perché più consapevoli, più esigenti, o perché accedono a strutture meglio equipaggiate. Questo non è accettabile. L’assistenza prenatale deve essere un diritto universale, non un privilegio.

E pensiamo anche al ruolo degli operatori sanitari. Sono loro la prima linea. Hanno gli strumenti, le conoscenze, il tempo per erogare tutti i servizi raccomandati? Spesso lavorano in condizioni difficili, con risorse limitate. Quindi, migliorare la qualità dell’assistenza prenatale significa anche supportare e formare adeguatamente chi lavora sul campo.

In conclusione, il messaggio che mi porto a casa da questa lettura è che non dobbiamo mai dare per scontato che “più” significhi automaticamente “meglio”. L’aumento della copertura dell’assistenza prenatale in Etiopia è un successo da celebrare, ma ora è il momento di rimboccarsi le maniche per garantire che ogni visita sia un’occasione piena, ricca di cure, informazioni e supporto. Solo così potremo davvero dire di aver fatto un passo avanti decisivo per la salute materno-infantile.

Fonte: Springer

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