Pandemia e Lavoro: Assenze per Malattia alle Stelle tra i ‘Colletti Blu’ del Commercio?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che ci ha toccato da vicino negli ultimi anni: la pandemia di COVID-19 e il suo impatto sul mondo del lavoro. In particolare, ci concentreremo su una categoria di lavoratori spesso in prima linea ma di cui si parla forse troppo poco: i cosiddetti “colletti blu” del settore commercio al dettaglio e all’ingrosso. Commessi, magazzinieri, cassieri… persone che, diciamocelo, non hanno quasi mai potuto rifugiarsi nello smart working.
Vi siete mai chiesti come se la siano cavata con le assenze per malattia durante quel periodo così turbolento? Beh, uno studio longitudinale svedese ha cercato di fare luce proprio su questo, e i risultati sono davvero interessanti. Preparatevi, perché stiamo per tuffarci nei dati!
Lo Studio Svedese: Uno Sguardo Approfondito
Immaginate di poter seguire quasi 300.000 lavoratori svedesi del settore commercio (quelli con contratti da “blue-collar”, per intenderci) per ben sei anni, dal 2016 al 2021. È esattamente quello che hanno fatto i ricercatori, usando dati provenienti da registri nazionali – una miniera d’oro di informazioni anonime su età, sesso, istruzione, tipo di lavoro, reddito e, ovviamente, sulle assenze per malattia superiori ai 14 giorni.
L’obiettivo? Capire se e come le assenze per malattia siano cambiate durante gli anni clou della pandemia (2020 e 2021) rispetto agli anni precedenti. Non solo le assenze generiche (“all-cause”), ma anche quelle specificamente legate al COVID-19 o a diagnosi simili (sintomi respiratori, infettivi, ecc., che all’inizio venivano usate quando i test non erano diffusi). Volevano anche vedere quali fattori (età, sesso, tipo di lavoro, ecc.) fossero associati a un rischio maggiore di assentarsi.
Cosa Abbiamo Scoperto? L’Aumento delle Assenze
Allora, tenetevi forte: i numeri parlano chiaro. Negli anni pre-pandemia (2016-2018), la percentuale di questi lavoratori con almeno un periodo di assenza per malattia superiore a 14 giorni si aggirava intorno al 7.5-8%. Una cifra già di per sé non trascurabile.
Ma poi è arrivato il 2020. E cosa è successo? Boom! La percentuale è schizzata al 10%. Un aumento di ben 2 punti percentuali, che in termini relativi significa un +25%! Nel 2021 c’è stato un leggero calo, attestandosi al 9%, ma comunque superiore ai livelli pre-pandemici.
E le assenze specifiche per COVID-19 o sintomi simili? Nel 2020 hanno riguardato il 2.1% dei lavoratori, scendendo all’1.6% nel 2021. Questo calo potrebbe essere legato a diversi fattori: l’arrivo dei vaccini, che hanno ridotto la gravità della malattia, la diffusione di varianti forse meno aggressive come Omicron, e una maggiore capacità di diagnosticare correttamente il COVID-19 man mano che i test diventavano più disponibili.
È importante sottolineare una cosa: questo studio considera solo le assenze superiori ai 14 giorni. La stragrande maggioranza delle persone con COVID-19, per fortuna, o riusciva a lavorare (magari da casa, ma non era il caso di molti di questi lavoratori) o tornava in servizio entro due settimane. Quindi, i dati che vediamo qui rappresentano probabilmente i casi più seri e duraturi. Non misurano l’incidenza dell’infezione, ma la ridotta capacità lavorativa dovuta alla malattia.
Chi Si È Assentato di Più? Fattori di Rischio
Qui le cose si fanno ancora più interessanti. Chi erano i lavoratori più a rischio di doversi assentare per malattia, sia in generale che a causa del COVID? Lo studio ha usato modelli statistici (regressione logistica, per i più tecnici) per calcolare gli “odds ratio” (OR), che ci danno un’idea del rischio relativo associato a diverse caratteristiche.
Ecco cosa è emerso, tenendo conto di tutti i fattori contemporaneamente:
- Età: Il rischio aumentava con l’età. I lavoratori tra i 55 e i 64 anni avevano un rischio più che doppio (OR 2.38) rispetto alla fascia 25-34 anni. Curiosamente, il gruppo più anziano (65-67 anni) aveva un rischio leggermente inferiore per le assenze legate al COVID, forse perché più vicini alla pensione o con modalità lavorative diverse.
- Sesso: Le donne avevano un rischio maggiore di assentarsi rispetto agli uomini (OR 0.77 per gli uomini rispetto alle donne, sia per tutte le cause che per COVID). Questo riflette un pattern già noto prima della pandemia.
- Istruzione: Chi aveva un livello di istruzione più basso (scuola dell’obbligo o superiore) mostrava un rischio più elevato rispetto ai laureati.
- Origine: I lavoratori nati fuori dall’Unione Europea avevano un rischio significativamente maggiore (OR 1.47 per COVID).
- Situazione Familiare: I single con figli a carico avevano un rischio leggermente aumentato.
- Area Geografica: Vivere in città di medie dimensioni o grandi città (come Stoccolma, Göteborg, Malmö) era associato a un rischio maggiore di assenza per COVID rispetto alle piccole città o aree rurali. Questo è interessante, perché solitamente le aree rurali mostrano tassi di assenza più alti. La maggiore densità, l’uso dei trasporti pubblici e la concentrazione di attività commerciali potrebbero aver giocato un ruolo nella diffusione del virus nelle città durante la pandemia.
- Reddito: Qui il quadro è un po’ complesso. In generale, quasi tutte le fasce di reddito avevano un rischio maggiore rispetto a quella più alta. Tuttavia, per le assenze COVID, chi aveva il reddito più basso in assoluto aveva un rischio inferiore. Questo potrebbe dipendere da contratti part-time o lavori stagionali, che espongono meno al rischio continuativo, ma è un dato da approfondire. La fascia di reddito medio-bassa (186.000-348.749 corone svedesi) mostrava il rischio più alto.
Il Focus sulle Occupazioni: Magazzinieri Sotto i Riflettori
E veniamo ai tipi specifici di lavoro. C’erano differenze significative? Sì, soprattutto per un gruppo: il personale di magazzino e terminal. Questi lavoratori avevano un rischio decisamente più alto sia per le assenze generiche (OR 1.44) sia per quelle legate al COVID (OR 1.37) rispetto alla categoria di riferimento (commessi di beni di prima necessità).
Perché proprio loro? Lo studio non dà una risposta definitiva, ma possiamo ipotizzare. Il lavoro in magazzino spesso implica vicinanza fisica tra colleghi, attività fisica intensa (che porta a respirare più affannosamente) e forse condizioni ambientali che favoriscono la persistenza di agenti patogeni. Altri studi, anche precedenti alla pandemia, avevano già indicato per questi lavoratori un rischio maggiore di problemi respiratori. La pandemia potrebbe aver esacerbato una vulnerabilità preesistente.
Al contrario, addetti alla sicurezza, portieri, addetti alle pulizie e altre categorie “altre” mostravano un rischio inferiore per le assenze COVID. Per le assenze generiche, anche trasportatori, meccanici e tecnici mostravano un rischio più elevato rispetto ai commessi.
La Pandemia ha Cambiato le Carte in Tavola?
Una delle conclusioni più importanti dello studio è che, nonostante l’aumento generale delle assenze, la distribuzione di queste assenze tra i vari gruppi socio-demografici e occupazionali non è cambiata in modo radicale rispetto al periodo pre-pandemico. In pratica, i gruppi che erano già più a rischio di assentarsi per malattia prima del COVID (donne, persone con istruzione più bassa, lavoratori più anziani, alcune occupazioni specifiche) lo sono rimasti anche durante la pandemia, e anzi, hanno visto questo rischio concretizzarsi anche per il COVID stesso.
Questo ci dice una cosa fondamentale: la pandemia, come spesso accade con le crisi sanitarie, ha teso a seguire e talvolta ad amplificare le disuguaglianze di salute già esistenti nella società. Non ha creato dal nulla nuove vulnerabilità, ma ha messo sotto pressione quelle già presenti.
Punti di Forza e Limiti dello Studio
Ogni ricerca ha i suoi pro e contro, ed è giusto menzionarli per trasparenza. Il grande punto di forza di questo studio è la sua dimensione (quasi 300.000 persone!) e l’uso di dati amministrativi affidabili, che eliminano problemi di memoria o dichiarazioni imprecise. Inoltre, ha seguito le stesse persone nel tempo.
Tra i limiti, c’è il fatto di considerare solo le assenze superiori ai 14 giorni, perdendo così quelle più brevi, che per il COVID sono state molte. La classificazione delle diagnosi “simili al COVID” all’inizio della pandemia potrebbe non essere stata perfetta. Inoltre, i risultati sono specifici per i lavoratori “colletti blu” del commercio in Svezia e non sono automaticamente generalizzabili ad altri settori, paesi o tipi di lavoratori (es. impiegati). Infine, lo studio si concentra sulle assenze, ma non può dirci tutto sulle condizioni di lavoro specifiche o su altri fattori (come cambiamenti normativi o economici) che potrebbero aver influenzato i tassi di assenza.
Cosa Portiamo a Casa?
Questo studio ci offre uno spaccato prezioso sulla realtà dei lavoratori del commercio durante la pandemia. Ci conferma che le assenze per malattia sono aumentate, ma soprattutto ci ricorda che le crisi sanitarie non colpiscono tutti allo stesso modo. Le disuguaglianze preesistenti in termini di salute e condizioni lavorative hanno giocato un ruolo cruciale nel determinare chi fosse più a rischio.
Il dato sul personale di magazzino e terminal, in particolare, merita attenzione: un gruppo che già prima mostrava tassi di assenza più alti e che durante la pandemia ha confermato questa vulnerabilità anche rispetto al COVID. È un segnale che ci invita a indagare più a fondo le condizioni di lavoro in specifici settori e occupazioni, specialmente quelle che non possono beneficiare del lavoro a distanza.
Insomma, la pandemia ci ha lasciato molte lezioni, e una di queste è sicuramente la necessità di non dimenticare i lavoratori più esposti e di affrontare le disuguaglianze strutturali che influenzano la salute e il benessere sul posto di lavoro.
Fonte: Springer