Anziani e Tecnologia Sanitaria: Stiamo Davvero Includendo Tutti?
Amici appassionati di scienza e tecnologia, oggi voglio parlarvi di un tema che mi sta particolarmente a cuore e che, ne sono convinto, toccherà le corde di molti di voi: l’assenteismo dei dati nella ricerca sulla tecnologia sanitaria digitale dedicata agli anziani. Sembra un parolone, vero? Ma fidatevi, è una questione cruciale che rischia di lasciare indietro una fetta importante della nostra popolazione proprio quando la tecnologia potrebbe offrire un aiuto preziosissimo.
Viviamo in un’epoca in cui le tecnologie per la salute digitale – pensate alle app per monitorare i farmaci, ai wearable che tracciano l’attività fisica, o persino ai giochi interattivi (i cosiddetti “exergames”) che stimolano il movimento – stanno letteralmente esplodendo. E questo è fantastico, specialmente per i nostri senior, perché questi strumenti possono aiutarli a gestire meglio la salute, a sentirsi meno soli e a migliorare il benessere mentale. Immaginate un’app come Medisafe che ricorda quando prendere le medicine, o MoodPrism che offre sessioni guidate per ridurre l’ansia. O ancora, i Fitbit e i Garmin che ci spronano a muoverci di più. Sembra un sogno, no? La tecnologia che ci aiuta a invecchiare in modo più sano e sereno.
Eppure, c’è un “ma”, un grosso “ma”. Questo “ma” si chiama assenteismo dei dati. In pratica, significa che i dati provenienti da gruppi socioeconomicamente svantaggiati sono spesso mancanti o sottorappresentati nei database sanitari. E perché questo è un problema? Perché se i dati su cui basiamo lo sviluppo e la valutazione di queste tecnologie non sono completi e rappresentativi, rischiamo di creare soluzioni che non funzionano per tutti, o peggio, che accentuano le disuguaglianze esistenti. Pensateci: se uno studio su un fitness tracker coinvolge principalmente anziani benestanti che possono permettersi il dispositivo, i risultati saranno davvero applicabili a chi ha un reddito basso e magari non ha mai usato uno smartwatch? Probabilmente no.
Ecco perché, insieme ad altri ricercatori, mi sono tuffato in una revisione sistematica per capire quanto sia diffuso questo problema. Ci siamo concentrati su app per la salute, wearable ed exergames, cercando di rispondere a tre domande fondamentali:
- Chi sono gli anziani che partecipano a questi studi?
- Come vengono implementate queste tecnologie negli interventi?
- Quali metriche si usano per valutarne l’efficacia?
Abbiamo setacciato ben dieci database scientifici, analizzando studi pubblicati fino al settembre 2022. Un lavoro immenso, ve lo assicuro, che ci ha portato a esaminare la bellezza di 14.661 articoli, per poi concentrarci su 58 studi che rispondevano esattamente ai nostri criteri.
Chi Partecipa (o Non Partecipa) agli Studi? Un Profilo Incompleto
La prima, amara, scoperta riguarda proprio i partecipanti. Sapete in quanti studi veniva riportato il livello di istruzione? Solo nel 32,8%. E il reddito, un fattore socioeconomico cruciale? Appena nel 3,4%! Anche l’appartenenza etnica era poco documentata (17,2%). Questo significa che, in molti casi, non sappiamo se le tecnologie testate siano adatte e accessibili ad anziani con diversi background culturali ed economici. È come progettare un’auto senza sapere per quali strade dovrà viaggiare o chi la guiderà. Un po’ un azzardo, non trovate?
Certo, il genere era quasi sempre bilanciato, ma la mancanza di dati su istruzione, reddito e composizione razziale è un campanello d’allarme. Se non raccogliamo queste informazioni, come possiamo essere sicuri che le nostre fantastiche innovazioni digitali non stiano, involontariamente, escludendo proprio chi ne avrebbe più bisogno? La ricerca ci dice che gli anziani con un basso status socioeconomico hanno un rischio doppio di soffrire di malattie croniche. Se le nostre soluzioni digitali non li raggiungono, o non sono pensate per loro, il divario non farà che aumentare.
Pensate all’app Health In Her HUE, nata per connettere le donne di colore con fornitori di assistenza sanitaria culturalmente competenti. Ha attirato finanziamenti significativi proprio perché rispondeva a un bisogno reale, evidenziando come le specificità culturali contino, eccome, anche nella salute digitale.
Come e Dove si Sperimenta? Luci e Ombre dell’Implementazione
Passiamo ora a come queste tecnologie vengono usate negli studi. Abbiamo notato una netta predominanza degli exergames (presenti nel 75,9% degli studi), spesso utilizzando piattaforme commerciali come Wii Fit o Xbox Kinect, originariamente pensate per un pubblico più giovane. Questo può creare qualche problema di adattamento per gli anziani, che potrebbero trovare interfacce e dinamiche di gioco poco intuitive. Immaginate un gioco di ballo super dinamico: divertente per un ventenne, ma forse un po’ troppo per chi ha qualche primavera in più e meno familiarità con controller e movimenti rapidi.
Un altro dato interessante è la distribuzione geografica: la maggior parte degli studi proviene da paesi tecnologicamente avanzati (Nord America, Asia Orientale, Europa Occidentale). Questo è un bias non da poco, perché le sfide e le risorse disponibili in contesti meno sviluppati sono molto diverse. Possiamo davvero pensare che una soluzione testata a New York funzioni allo stesso modo in un villaggio rurale africano con infrastrutture tecnologiche e livelli di alfabetizzazione digitale differenti?
Anche le dimensioni dei campioni e la durata degli interventi lasciano un po’ a desiderare: il 70,7% degli studi coinvolgeva meno di 50 partecipanti e molti interventi duravano meno di 12 settimane. È un po’ come assaggiare un piatto con un cucchiaino minuscolo e per un solo istante: difficile farsene un’idea completa e capire se ci piacerà nel lungo periodo. L’entusiasmo iniziale per una nuova tecnologia può svanire se l’uso continuativo si rivela complicato o poco gratificante.
Cosa Misuriamo Davvero? Un Puzzle di Metriche
E veniamo alle metriche usate per valutare l’efficacia. Qui il panorama è variegato: si va dai parametri fisiologici (equilibrio, BMI, pressione sanguigna – misurati nel 67,2% degli studi) al benessere mentale ed emotivo (depressione, funzioni cognitive – 51,7%), passando per lo stile di vita (attività fisica, alimentazione – 31,0%) e l’accettabilità della tecnologia (soddisfazione, facilità d’uso – 22,4%).
Tutto bene, direte voi. E in parte è così: molti studi riportano miglioramenti significativi. Ad esempio, alcuni hanno mostrato come gli exergames possano migliorare l’equilibrio o ridurre la pressione sanguigna. Altri hanno evidenziato benefici sulla funzione cognitiva o una riduzione dei sintomi depressivi. Ottimo!
Il problema, però, è che spesso ci si concentra su singoli aspetti della salute, tralasciando una visione olistica. Il benessere di una persona anziana è un complesso intreccio di salute fisica, mentale, emotiva e sociale. Focalizzarsi solo su un pezzetto del puzzle rischia di darci un’immagine incompleta. Magari un’app migliora la forma fisica, ma se l’anziano si sente ancora solo o fatica a usare la tecnologia, il beneficio complessivo è limitato.
Inoltre, c’è una forte dipendenza da metriche auto-riferite, specialmente per lo stile di vita. Se da un lato queste ci offrono spunti preziosi sull’esperienza vissuta dai partecipanti, dall’altro possono essere soggette a bias (chi non tende a presentarsi un po’ meglio di come è in realtà?). E, cosa fondamentale, manca spesso una valutazione della sostenibilità a lungo termine. Bello vedere miglioramenti dopo 6 settimane, ma cosa succede dopo 6 mesi, o un anno, quando lo studio è finito e non c’è più il ricercatore a motivare?
Cosa Portiamo a Casa da Questa Analisi?
Tirando le somme, la nostra revisione ha fatto emergere tre nodi cruciali:
- La sottorappresentazione degli anziani con basso status socioeconomico: la carenza di dati demografici dettagliati ci impedisce di capire se stiamo raggiungendo tutti.
- Limiti nell’implementazione: l’uso di tecnologie non sempre “su misura”, la concentrazione geografica degli studi in aree ricche, e la breve durata degli interventi limitano la generalizzabilità dei risultati.
- La necessità di andare oltre i successi iniziali: serve una comprensione più olistica degli esiti sulla salute, che integri aspetti fisici, mentali e sociali, e che valuti l’impegno nel tempo.
Questi risultati non vogliono demonizzare la tecnologia sanitaria digitale, anzi! Il suo potenziale è enorme. Ma ci dicono che dobbiamo essere più attenti, più inclusivi, più consapevoli delle sfide. Se le soluzioni digitali vengono sviluppate e testate principalmente su gruppi privilegiati, rischiamo di creare un circolo vizioso in cui l’innovazione, invece di ridurre le disuguaglianze, finisce per ampliarle.
Verso un Futuro Digitale più Equo: Qualche Idea
Come possiamo migliorare? Innanzitutto, è fondamentale una raccolta dati demografici più accurata e completa, con un occhio di riguardo ai fattori socioeconomici. Poi, dobbiamo sforzarci di implementare e testare queste tecnologie in contesti geografici e culturali diversi, anche in quelli con risorse limitate.
Questo significa, ad esempio, sviluppare app che funzionino anche offline o su dispositivi meno potenti, come è stato fatto con successo in alcune aree rurali. Significa pensare a modelli di condivisione dei dispositivi in centri comunitari, che oltre a ridurre i costi possono offrire supporto sociale. E, importantissimo, significa adattare le tecnologie culturalmente, non solo traducendo la lingua, ma tenendo conto delle credenze e delle pratiche locali.
Infine, dobbiamo integrare misurazioni che coprano la salute fisica, mentale e sociale, e studiare l’impegno a lungo termine. Non basta che una tecnologia sia efficace sulla carta, deve essere adottata e usata con costanza nella vita reale.
Certo, la nostra revisione ha dei limiti: ci siamo concentrati su articoli in inglese, potremmo aver perso qualche studio “nascosto” nella letteratura grigia. Ma i segnali che abbiamo colto sono forti e chiari.
Il futuro della salute digitale per gli anziani è promettente, ma la strada per renderlo davvero efficace ed equo richiede un impegno consapevole da parte di tutti noi: ricercatori, sviluppatori, decisori politici. L’obiettivo non è solo l’avanzamento tecnologico fine a sé stesso, ma assicurare che la trasformazione digitale in sanità sia al servizio di tutti gli anziani, indipendentemente dal loro portafoglio o da dove vivono. Solo così potremo dire di aver colto appieno la sfida.
Fonte: Springer