Primo piano di un cuore umano anatomico con focus sulla valvola aortica infiammata, illuminazione drammatica stile film noir, obiettivo prime 35mm, profondità di campo ridotta per isolare la patologia.

Mal di Schiena? Occhio al Cuore! Un Caso Incredibile di Endocardite Nascosta

Amici lettori, preparatevi perché oggi vi racconto una storia che ha dell’incredibile, una di quelle che ti fanno capire quanto il corpo umano sia una macchina complessa e, a volte, misteriosa. Immaginate un paziente che si presenta con un fastidioso mal di schiena, febbre alta… sintomi che potrebbero far pensare a mille cose, tranne forse a un’infezione al cuore, soprattutto se non ci sono problemi cardiaci noti. E invece, è proprio quello che è successo!

Quando il Dolore Inganne: L’Artrite Faccettaria come Falsa Pista

Il protagonista della nostra storia è un uomo giapponese di 58 anni. Nessun problema cardiaco conosciuto, ma da cinque giorni febbre alta, brividi e un dolore lancinante alla parte bassa della schiena. I primi esami del sangue mostrano globuli bianchi alle stelle (leucocitosi) e valori del fegato un po’ sballati (transaminite), tanto da far sospettare un danno epatico acuto. Viene ricoverato, ma la situazione non è chiara.

La sua storia medica include ipertensione, dislipidemia e un precedente ictus, ma, ripeto, nessuna malattia cardiovascolare nota. Niente interventi dentistici recenti, niente farmaci immunosoppressori, niente contatti strani con animali o insetti. All’esame fisico, però, oltre a un po’ di ittero e a qualche problema dentale, si sente un soffio al cuore, un rumore anomalo che i medici non si aspettavano. La schiena, in particolare la zona lombare destra, è dolente alla palpazione, e il test di Patrick (una manovra specifica) è positivo, suggerendo un problema muscoloscheletrico.

Per indagare su questo mal di schiena persistente, si decide di fare una risonanza magnetica (MRI). E qui, sorpresa: la risonanza mostra aree di segnale intenso nel muscolo ileopsoas destro e nell’articolazione faccettaria L4/L5. In parole povere, c’è un accumulo di liquido, segno di infiammazione. Si pensa a lesioni disseminate, forse un’artrite delle faccette articolari. Ma da cosa dipende?

Il Mistero si Infittisce: Emocolture Negative e un Cuore Sotto Attacco

Nonostante la febbre continui a salire, le emocolture, cioè i test per cercare batteri nel sangue, risultano ripetutamente negative. Questo è un bel grattacapo, perché se c’è un’infezione, dovremmo trovare il colpevole! Visti il soffio al cuore e le lesioni “a distanza” sulla schiena, si inizia a sospettare un’endocardite infettiva (EI), un’infezione del rivestimento interno del cuore, spesso delle valvole.

Si procede con un’ecocardiografia transtoracica (un’ecografia del cuore fatta appoggiando la sonda sul torace). Bingo! Si vede una “vegetazione” (un accumulo di materiale infetto) di 9.0 x 3.0 mm sulla cuspide non coronarica della valvola aortica, con un rigurgito aortico moderato. Questo, insieme alle lesioni alla schiena e alla positività del fattore reumatoide (un altro marcatore infiammatorio), conferma la diagnosi di endocardite infettiva secondo i criteri di Duke modificati. Si inizia subito una terapia antibiotica empirica ad ampio spettro, con ampicillina/sulbactam e vancomicina.

Ma il batterio responsabile? Ancora un mistero. Nonostante sette set di emocolture, nessuna crescita batterica. Si tenta allora con una tecnica più sofisticata, la PCR ad ampio spettro (br-PCR) per l’RNA ribosomiale 16S, sia sul sangue che su un campione di tessuto epatico (preso con una biopsia, data la sofferenza del fegato). Questa tecnica cerca direttamente il DNA batterico. Niente da fare, anche qui risultato negativo. Si prova anche ad aspirare liquido dall’ileopsoas e dall’articolazione infiammata, ma ce n’è troppo poco per un’analisi.

Immagine macro di una valvola cardiaca umana con vegetazioni batteriche visibili, illuminazione da studio controllata, obiettivo macro 100mm, alta definizione dei dettagli per evidenziare la patologia.

Le condizioni del paziente, purtroppo, peggiorano. Al 21° giorno di ricovero, inizia ad avere difficoltà respiratorie, la saturazione di ossigeno cala. Una nuova ecocardiografia, questa volta transesofagea (con la sonda che scende nell’esofago, per una visione più dettagliata del cuore), mostra che la vegetazione sulla valvola aortica c’è ancora, il rigurgito aortico è diventato severo e, cosa ancora più grave, si è formato un aneurisma sulla cuspide non coronarica della valvola, con tanto di perforazione! Questo spiega l’insufficienza cardiaca.

L’Intervento Chirurgico e la Scoperta Finale

A questo punto, non c’è altra scelta: bisogna operare. Al 26° giorno, il paziente viene sottoposto a sostituzione della valvola aortica. E come per magia, dopo l’intervento, la febbre e i sintomi migliorano rapidamente. Ma la caccia al batterio non è finita.

Le colture fatte sulla valvola rimossa chirurgicamente? Ancora negative! Sembra una maledizione. Ma ecco il colpo di scena finale: la br-PCR eseguita direttamente sul tessuto della valvola asportata, al 35° giorno di ricovero, finalmente dà un nome al nemico: Aggregatibacter aphrophilus.

Questo batterio è un membro del gruppo HACEK, un gruppo di batteri noti per essere cause rare ma riconosciute di endocardite, specialmente quelle “a coltura negativa”, cioè dove le emocolture tradizionali non riescono a isolare il germe. Finalmente, con un nome e un cognome, si può mirare la terapia antibiotica, passando a ceftriaxone e poi, a causa di un’eruzione cutanea, a ciprofloxacina. Dopo quattro settimane di antibiotici post-operatori, il paziente viene dimesso, senza più febbre né dolori alla schiena, e senza segni di recidiva dell’infezione.

Cosa Ci Insegna Questo Caso Straordinario?

Questa storia è eccezionale per diversi motivi. È il primo caso riportato in cui un’endocardite da Aggregatibacter aphrophilus a coltura negativa, su una valvola nativa sana (cioè non precedentemente danneggiata o protesica), si presenta con un’artrite delle faccette articolari lombari come sintomo principale, e in un paziente senza storia di malattie cardiache.

  • Sospettare l’endocardite anche in casi atipici: Questo caso ci urla che dobbiamo pensare all’endocardite anche quando i pazienti si presentano con dolori muscoloscheletrici inspiegabili, soprattutto se c’è febbre, anche se non hanno fattori di rischio cardiaci noti.
  • Il valore della PCR su tessuto valvolare: Quando le emocolture e altre analisi non invasive falliscono, la br-PCR sul tessuto valvolare asportato chirurgicamente può essere l’unica arma per identificare il patogeno nelle endocarditi a coltura negativa.
  • Limiti della terapia empirica: Gli antibiotici ad ampio spettro, in questo caso, non hanno risolto la situazione finché non si è intervenuti chirurgicamente per rimuovere la fonte dell’infezione. L’identificazione molecolare del batterio ha poi permesso di ottimizzare la terapia.
  • Origine orale? Non sempre scontata: L’Aggregatibacter aphrophilus spesso proviene dalla bocca, magari da problemi dentali o procedure recenti. Curiosamente, il nostro paziente non aveva problemi dentali significativi, il che amplia lo spettro clinico di questo batterio.

Certo, ci sono dei limiti. La prognosi dell’endocardite da A. aphrophilus è spesso favorevole, ma qui la situazione era così grave da richiedere un intervento. Inoltre, la PCR identifica il batterio ma non ci dice a quali antibiotici è sensibile, un’informazione cruciale. E non si è riusciti ad aspirare liquido dall’articolazione infiammata prima dell’intervento, il che avrebbe potuto aiutare.

Visualizzazione al microscopio elettronico a scansione del batterio Aggregatibacter aphrophilus, resa fotorealistica, obiettivo macro 60mm, illuminazione laterale per enfatizzare la struttura tridimensionale, dettagli ultra-precisi.

Nonostante tutto, il miglioramento del paziente dopo l’intervento e la terapia mirata è stato notevole. E c’è un piccolo, ma significativo, risvolto “educativo”: una volta saputo che il batterio probabilmente veniva dalla bocca, il paziente ha riconosciuto l’importanza di una buona igiene orale e si è impegnato a migliorare le sue abitudini.

In conclusione, questa è più di una semplice storia medica. È un monito a mantenere sempre alta la guardia, a pensare “fuori dagli schemi” e a utilizzare tutte le armi diagnostiche a nostra disposizione, specialmente in casi complessi come questo. E ci ricorda che, a volte, un banale mal di schiena può nascondere insidie ben più profonde, che arrivano dritte al cuore.

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *