Gruppo eterogeneo di studenti universitari che partecipano con gioia a una sessione di danza espressiva in uno studio luminoso e spazioso. Obiettivo grandangolare 24mm per catturare l'ampiezza della scena e l'interazione del gruppo, luce naturale diffusa che entra da grandi finestre, messa a fuoco nitida sul gruppo ma con leggero motion blur per suggerire il movimento. Atmosfera energica e positiva.

Ritmo, Movimento e Benessere: Come le Arti Performative Stanno Rivoluzionando la Vita degli Studenti Universitari

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta davvero a cuore e che, ne sono convinto, può fare una differenza enorme nella vita di tanti ragazzi e ragazze: l’impatto pazzesco che le arti performative possono avere sulla nostra salute mentale, sulle nostre amicizie e sulla nostra creatività, specialmente quando siamo sotto pressione all’università.

Sappiamo tutti come può essere tosta la vita da studente universitario, vero? Tra esami, lezioni, scadenze e la pressione di costruirsi un futuro, lo stress e l’ansia sono spesso dietro l’angolo. E diciamocelo, chiedere aiuto non è sempre facile. C’è ancora troppo stigma attorno ai problemi di salute mentale, e molti di noi preferiscono tenersi tutto dentro piuttosto che cercare supporto. In alcuni posti, come a Singapore dove è stato condotto lo studio di cui vi parlo, la situazione è allarmante: quasi l’80% degli adulti con una diagnosi di disturbo mentale non cerca cure per almeno un anno!

Ma se ci fosse un modo diverso? Un modo divertente, coinvolgente e… senza etichette?

Ecco l’idea geniale dietro a un programma chiamato Movin’ e Groovin’ for Wellness (MGW). Immaginatevi sessioni settimanali di gruppo dove si suonano percussioni e si balla, guidati da professionisti, ma con un focus sull’improvvisazione e sull’espressione personale. Niente giudizi, solo ritmo, movimento e connessione. L’obiettivo? Vedere se un approccio del genere potesse davvero migliorare la salute mentale, i legami sociali e la creatività degli studenti.

Per capirlo, è stato messo in piedi un vero e proprio studio scientifico, un Randomised Controlled Trial (RCT) – che è un po’ il gold standard nella ricerca. Hanno preso 76 studenti volontari e li hanno divisi a caso in due gruppi per 10 settimane (proprio durante il periodo delle lezioni, quando lo stress è alle stelle):

  • Un gruppo Sperimentale (38 studenti) che partecipava alle sessioni di MGW (un po’ di percussioni, un po’ di danza).
  • Un gruppo di Controllo (38 studenti) che continuava la sua vita universitaria “normale”, senza attività artistiche specifiche legate allo studio.

Hanno misurato un sacco di cose all’inizio, a metà e alla fine delle 10 settimane: livelli di depressione, ansia e stress (con un questionario chiamato DASS-21), qualità della vita (con il WHOQOL-BREF), capacità di far fronte alle difficoltà (resilienza), rete sociale, esperienza creativa e persino come usiamo la musica per regolare l’umore. In più, hanno raccolto feedback diretti con questionari e discussioni di gruppo per sentire dalla viva voce dei partecipanti come si erano sentiti.

I Risultati? Sorprendenti (ma forse non troppo!)

Ragazzi, i risultati sono stati incredibili. Mentre il gruppo di Controllo, poverini, vedeva peggiorare significativamente i propri livelli di ansia, depressione e stress a metà percorso (e lo stress rimaneva alto fino alla fine), e diminuire la qualità della vita percepita nel dominio fisico… il gruppo MGW andava nella direzione opposta!

Chi partecipava alle sessioni di musica e danza ha mostrato:

  • Miglioramenti significativi nella salute mentale: In particolare, una riduzione notevole dello stress alla fine delle 10 settimane. E, cosa importantissima, non hanno avuto quel peggioramento a metà percorso che ha colpito il gruppo di controllo.
  • Miglioramenti nella qualità della vita: Sia nel dominio psicologico (già dopo 5 settimane) che in quello fisico (alla fine delle 10 settimane). Si sentivano meglio, sia mentalmente che fisicamente!
  • Un boost di creatività: Si sentivano più creativi e capaci di esprimersi già a metà percorso, e questo effetto positivo è durato fino alla fine.

È pazzesco pensare che mentre un gruppo subiva il classico declino del benessere dovuto allo stress accademico, l’altro, grazie a un’ora e mezza di musica e danza a settimana, non solo evitava questo declino, ma addirittura migliorava!

Ritratto di gruppo di studenti universitari diversi che partecipano attivamente a una sessione di percussioni di gruppo in uno studio luminoso. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo media per mostrare sia i volti concentrati che gli strumenti (djembe, tamburi). Illuminazione naturale laterale che crea ombre morbide. Catturare l'energia e la concentrazione condivisa. Bianco e nero film.

Ma cosa hanno detto i partecipanti? La loro voce conta!

Al di là dei numeri, le esperienze raccontate dai ragazzi del gruppo MGW sono state illuminanti. Hanno usato parole come “miglioramento dell’umore”, “meno stressati”, “più energici”, “più positivi verso gli altri”. Moltissimi hanno detto che le sessioni erano un’opportunità fantastica per esprimersi creativamente senza sentirsi giudicati.

E la connessione sociale? Funzionava! Più della metà dei partecipanti ha dichiarato di aver fatto nuove amicizie grazie al programma. Pensateci: studenti da facoltà diverse, che magari non si sarebbero mai incrociati, si ritrovavano a suonare e ballare insieme, a condividere un’esperienza, a “fare cose sciocche” insieme, come ha detto qualcuno, creando uno spazio sicuro e aperto dove legare. Qualcuno ha parlato di “supporto spirituale” ricevuto dalle sessioni e dai nuovi amici.

È emerso anche un confronto interessante tra percussioni e danza. Sembra che entrambe le attività facessero miracoli per l’umore, ma forse le percussioni stimolassero un filo di più la creatività individuale, mentre la danza fosse leggermente più efficace nel far sentire le persone connesse socialmente e nel generare emozioni positive come felicità ed energia. Il bello del programma MGW è che li includeva entrambi!

Perché funziona così bene?

Gli scienziati hanno diverse idee sul perché queste attività siano un toccasana:

  • Effetti fisiologici: Suonare ritmicamente e muoversi a tempo di musica può abbassare gli ormoni dello stress (come il cortisolo) e rilasciare endorfine, i nostri “antidolorifici” naturali che migliorano l’umore.
  • Espressione emotiva: L’improvvisazione, sia musicale che nel movimento, permette di dare sfogo a emozioni represse, di esplorare i propri stati d’animo in un ambiente sicuro. È liberatorio!
  • Connessione sociale: Fare qualcosa insieme, in gruppo, crea un senso di appartenenza, combatte la solitudine e costruisce una rete di supporto. Ci sentiamo meno soli ad affrontare le sfide.
  • Imparare a stare meglio: I partecipanti hanno anche imparato a usare la musica e il movimento come strumenti per gestire lo stress e regolare l’umore anche fuori dalle sessioni. Hanno scoperto nuovi modi per “ricaricarsi” o distrarsi quando si sentivano giù. Qualcuno ha persino ricominciato a suonare uno strumento!

Cosa ci portiamo a casa?

Questo studio, secondo me, è una bomba. Ci dice forte e chiaro che le arti performative non sono solo un hobby carino, ma uno strumento potentissimo per il nostro benessere psicofisico e sociale, specialmente in un periodo intenso come l’università. E la cosa più bella è che è un approccio accessibile, divertente e privo di stigma. Nessuno si sente “malato” o “diverso” partecipando a un workshop di danza o percussioni!

Certo, lo studio ha avuto qualche limite (un po’ di abbandoni, più ragazze che ragazzi), ma i risultati sono così promettenti che fanno davvero riflettere. Immaginate se le nostre università iniziassero a integrare programmi simili nei loro servizi di supporto al benessere! Potrebbe essere un modo fantastico per raggiungere anche quegli studenti che non si sognerebbero mai di bussare alla porta dello psicologo del campus.

Io ne sono convinto: un po’ di ritmo e movimento potrebbero davvero fare la differenza per tantissimi di noi. E voi, cosa ne pensate? Vi piacerebbe provare un’esperienza simile?

Fonte: Springer

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