Un dipinto ad olio astratto intitolato 'Aura', che raffigura l'esperienza soggettiva di un'aura epilettica attraverso colori vibranti, forme frammentate e un senso di dissolvimento e compressione. Obiettivo macro 100mm, alta definizione, illuminazione da galleria d'arte per enfatizzare i dettagli e la texture della pittura.

L’Arte che Svela l’Epilessia: Quando un Dipinto Racconta l’Indicibile Aura

Amici, vi è mai capitato di voler descrivere una sensazione così profonda, così strana, da non trovare le parole giuste? Immaginate di dover spiegare qualcosa che accade dentro di voi, un turbine di percezioni che sfugge a ogni definizione. Ecco, oggi voglio parlarvi di come l’arte possa diventare una voce per l’indicibile, in particolare quando si tratta di esperienze complesse come quelle legate all’epilessia.

Un’artista e la sua battaglia: Martina Schiele

Ho scoperto la storia di Martina Schiele, un’artista di 64 anni che vive a Erlangen, in Germania. Martina non è solo una pittrice e scultrice di talento, con opere esposte in tutta Europa, ma è anche una persona che convive con l’epilessia del lobo temporale (TLE) da quando aveva 18 anni. Per molto tempo, la sua condizione è stata difficile da trattare, ma fortunatamente, con le cure giuste, è riuscita a raggiungere un periodo libero da crisi.

La domanda che più la metteva in crisi, però, non riguardava le medicine o le terapie, ma qualcosa di apparentemente più semplice: “Può descrivere cosa prova quando sta per avere un attacco?”. Come si fa a tradurre in parole un’esperienza così multiforme, così personale, che a volte sembra quasi un sogno o un’allucinazione? Martina stessa dice: “Come posso descrivere a parole ciò che è quasi indicibile? È complesso… e non sempre uguale… vivo l’evento e il ricordo in modo diverso, anche a seconda di quanto si spinge oltre…”

Quando le parole non bastano: nasce “Aura”

Nel 2013, frustrata dal tentativo di spiegare le sue aure (le sensazioni che precedono una crisi epilettica), le venne un’idea: perché non provare a dipingerle? Lei, con la sua abilità artistica, poteva forse dare forma e colore a quelle impressioni fugaci. Il risultato è un’opera potente, un olio su tela di 117 x 74 cm intitolato semplicemente “Aura”, completato nel 2018.

A prima vista, il quadro potrebbe sembrare caotico, persino disturbante. Ma, come spiega Martina, “questo è il mio stato… soprattutto lo stato del mio cervello sotto l’influenza dell’aura…”. Cerchiamo di decifrarlo insieme, seguendo le sue parole:

  • La figura centrale, l’Io: È rappresentata con contorni multipli, a simboleggiare le diverse sfaccettature della percezione.
  • Espansione e calore: I colori più esterni, l’arancione e il rosa, esprimono questa sensazione.
  • Dissoluzione nel nulla: Il blu, le “bolle di sapone” (blubberblasen), rappresentano questo aspetto.
  • Compressione e indurimento: Qui entrano in gioco i colori complementari: verde, giallo, bianco.
  • Perdita di contatto con la realtà: Non ci sono piedi, la figura è sospesa. Il suolo scompare, rappresentato da strisce strappate e uno sfondo giallo pallido. La situazione reale sfuma, diventa buio, l’ambiente circostante con le case svanisce.
  • Sensazioni fisiche: Martina descrive la sensazione di precipitare in un ascensore, un formicolio che sale lungo la schiena, il corpo che diventa “spugnoso” (di nuovo, le bolle).
  • L’annuncio della crisi maggiore: Flash di luce, impressioni colorate, suoni… come quella volta che, seduta con la figlia nel suo atelier, sentì una “banda musicale, simile a una parata di strada”, per poi risvegliarsi tra le braccia della figlia, a terra.

Per Martina, questo dipinto rende il caos dell’aura più comprensibile delle parole. È il momento della resa, della separazione tra mente e corpo, qualcosa che lei immagina simile al momento della morte. Un’esperienza profonda, quasi mistica, che l’arte è riuscita a catturare.

Primo piano di una tela ad olio astratta e dai colori intensi, con una figura centrale frammentata tra tonalità calde come l'arancione e il rosa e fredde come il blu e il verde, che simboleggia l'esperienza di un'aura epilettica. Obiettivo macro 80mm, illuminazione da studio controllata per esaltare la texture della pittura, alta definizione dei dettagli.

L’arte come mediatrice dell’inesprimibile

C’è una citazione di Goethe che calza a pennello: “L’arte è una mediatrice dell’inesprimibile; perciò sembra una follia volerla di nuovo mediare con le parole. Ma sforzandoci in tal senso, l’intelletto trova qualche guadagno che torna utile anche alla capacità creativa”. Ed è proprio quello che è successo qui. L’atto artistico è stato utile sia per Martina, che ha trovato un modo per rendere tangibile un’esperienza opprimente, sia per il suo neurologo, che ha potuto comprendere più a fondo il vissuto della sua paziente.

Non è un caso isolato. La difficoltà nel descrivere le aure è comune nell’epilessia. Pensateci: come spieghereste una “crisi sensoriale” o una “crisi vissuta consciamente” in modo che un altro possa davvero capire? Le parole spesso non bastano a cogliere la multidimensionalità di queste esperienze, specialmente nella TLE.

Il potenziale dell’arte nella comprensione dell’epilessia

La storia di Martina ci mostra quanto possa essere preziosa la rappresentazione artistica. Steven C. Schachter, un importante epileptologo, riuscì a raccogliere centinaia di opere d’arte da pazienti con epilessia, creando una mostra di grande impatto. Per anni, molte di queste opere sono apparse sulla copertina della rivista “Epilepsy e Behavior”.

Mentre le rappresentazioni dell’epilessia da parte di artisti non affetti dalla malattia sono state studiate a lungo, l’analisi scientifica delle opere create da chi vive l’epilessia in prima persona è ancora agli inizi. Eppure, c’è un mondo da scoprire. Così come si analizza il linguaggio dei pazienti per cogliere sfumature diagnostiche (ad esempio, per distinguere crisi epilettiche da quelle non epilettiche), si potrebbe fare lo stesso con le loro creazioni artistiche.

Gli approcci di arteterapia, specialmente con bambini e adolescenti, si sono già dimostrati utili. Ma c’è di più: si ipotizza che dalle rappresentazioni artistiche si possano trarre informazioni sistematiche sull’epilessia sottostante, sulla persona e sulla sua situazione. Persino quando si chiede a specialisti in epileptologia di rappresentare artisticamente l’epilessia, emergono aspetti interessantissimi, non solo nelle opere ma anche nella riflessione che ne scaturisce.

Le opere di chi vive l’epilessia hanno una dimensione diversa, più profonda, rispetto a quelle di chi la osserva dall’esterno. Sembra indubbio che la neurologia e le neuroscienze abbiano molto da imparare da questo affascinante connubio tra arte e malattia.

Quindi, la prossima volta che vi imbattete in un’opera d’arte, magari una di quelle create da persone con epilessia, prendetevi un momento. Osservatela con calma. Potrebbe aprirvi una finestra su un mondo interiore altrimenti inaccessibile, un modo diverso e profondamente umano di avvicinarsi al fenomeno dell’epilessia.

Un neurologo e una paziente discutono amichevolmente davanti a un dipinto astratto in uno studio medico luminoso. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo, luce naturale filtrata da una finestra, per un'atmosfera di comprensione e dialogo.

Fonte: Springer

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