Comunicazione: E Se la Guardassimo Come un Ecosistema? Tra Sfide, Media e AI
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un’idea che trovo affascinante: applicare i concetti dell’ecologia – sì, quella disciplina che studia le interazioni tra gli esseri viventi e il loro ambiente – al mondo complesso e in continua evoluzione della comunicazione. Sembra strano? Forse all’inizio, ma seguitemi un attimo.
Pensateci: concetti come ecosistemi, competizione, nicchie, adattamento… non suonano familiari anche quando parliamo di come le notizie si diffondono, di come i media si trasformano o di come l’intelligenza artificiale sta cambiando il modo in cui creiamo e consumiamo contenuti?
Certo, qualcuno potrebbe storcere il naso. L’idea di applicare la “sopravvivenza del più adatto” alle civiltà umane non piace a tutti. Ma non stiamo parlando di questo in senso stretto. Piuttosto, l’approccio ecologico ci offre una lente potente per analizzare le dinamiche, le interdipendenze e le sfide nel nostro ambiente comunicativo, spesso andando oltre le teorie tradizionali.
L’ecologia, dopotutto, è già stata usata con successo in altre scienze sociali. Pensate alla Teoria dei Sistemi Ecologici di Bronfenbrenner in psicologia, che spiega come lo sviluppo umano sia influenzato da diversi “sistemi” ambientali, dalla famiglia (microsistema) alla cultura (macrosistema). O in sociologia, per studiare le dinamiche delle comunità. Perché non sfruttare appieno questo potenziale anche nella ricerca sulla comunicazione?
I Pionieri e la Nicchia Mancante
Figure come Marshall McLuhan (“il medium è il messaggio”) e Neil Postman hanno gettato le basi, parlando di “ecologia dei media”. Hanno capito che i media non sono solo strumenti, ma ambienti che modellano la nostra percezione e interazione. La Media Ecology Association (MEA) ha proseguito su questa strada, analizzando come fattori esterni (politica, cultura) influenzino l’ecosistema mediatico.
Un concetto ecologico che ha trovato terreno fertile è quello della “nicchia”. Dimmick, ad esempio, ha sviluppato una teoria per spiegare come diversi media (vecchi e nuovi) coesistano e competano occupando spazi unici che rispondono ai bisogni del pubblico. Utilissimo!
Tuttavia, spesso ci siamo concentrati sull’ambiente *esterno* ai media, trascurando un po’ le interazioni *interne* tra i diversi tipi di media o tra le diverse “issues” (temi, problemi) che competono per la nostra attenzione nello spazio pubblico. Qui entra in gioco la competizione interspecifica: come specie diverse lottano per risorse limitate, così diversi temi o media lottano per la nostra attenzione limitata. Capire queste dinamiche interne è cruciale.
Per mostrarvi come questo approccio possa davvero fare la differenza, vi racconto tre “casi studio” che abbiamo affrontato, tre dibattiti caldi nel nostro campo.
Caso 1: La Battaglia per l’Attenzione Pubblica – Competizione o Cooperazione tra Issues?
Vi siete mai chiesti se i grandi temi di cui si parla (economia, ambiente, salute, politica estera…) siano in competizione tra loro per catturare l’attenzione del pubblico e dei media? È una domanda chiave nell’ambito dell’agenda-setting.
Inizialmente, avevamo proposto una teoria un po’ drastica: quella del “gioco a somma zero” (Zhu, 1992). In pratica, l’attenzione dedicata a un tema viene sottratta a un altro, data la capacità limitata del pubblico di processare informazioni. Sembrava logico, no? Ma poi altri studi hanno mostrato che a volte le issues sembrano *cooperare*, cioè l’attenzione per una cresce insieme a quella per un’altra. Un bel rompicapo!
Potevamo continuare a dibattere portando dati a favore dell’una o dell’altra tesi. Invece, abbiamo cercato una via diversa, un quadro teorico più sfumato. E dopo quasi vent’anni di ricerca, l’illuminazione è arrivata proprio dall’ecologia (Peng e Zhu, 2022).
Abbiamo immaginato l’agenda pubblica come un ecosistema: gli individui interessati a un tema formano “pubblici” (come popolazioni di una specie), e questi pubblici competono per risorse (attenzione, partecipazione) per sostenere le loro cause. La struttura è simile a un ecosistema biologico.
Ma la struttura non basta. Servono le funzioni: *come* interagiscono queste issues? L’ecologia ci offre un vocabolario ricchissimo:
- Mutualismo: entrambe le issues beneficiano (entrambe crescono).
- Commensalismo/Amensalismo: una beneficia/soffre, l’altra resta indifferente (una cresce/cala, l’altra stabile).
- Competizione/Parassitismo/Predazione: una vince a spese dell’altra (una cresce, l’altra cala).
- Internecine: entrambe soffrono (entrambe calano).
- Coesistenza: entrambe stabili o una cresce/cala e l’altra stabile.
Semplificando, abbiamo identificato quattro esiti principali: cooperazione (win-win), competizione (win-lose), coesistenza (neutral-neutral o win/lose-neutral) e internecine (lose-lose).
Attenzione: una correlazione positiva tra due issues non significa sempre cooperazione! Potrebbero essere entrambe in declino (internecine). Questo ci ha fatto capire che studi precedenti (inclusi i nostri!) avevano probabilmente sovrastimato la cooperazione basandosi solo sulle correlazioni.
Per testare questo modello, abbiamo preso uno strumento dall’econometria (il modello GARCH-DCC, non spaventatevi!) e lo abbiamo applicato a oltre 300 serie di dati Gallup sui “problemi più importanti” dal 1958 al 2020. Risultato? Su quasi 28.000 relazioni tra issues:
- Il 9.1% era in competizione significativa.
- Solo il 5.5% era in vera cooperazione (win-win). Il resto delle correlazioni positive erano in realtà “lose-lose” o “neutral-neutral”.
Quindi, l’ecosistema delle issues americane è risultato prevalentemente competitivo (rapporto competizione/cooperazione di circa 5:3), e questo rapporto è rimasto stabile per oltre 60 anni! Abbiamo anche visto che le issues “materialistiche” (economia, benessere fisico) tendono a competere di più, mentre quelle “post-materialistiche” (auto-espressione, qualità della vita) tendono a cooperare di più, come ipotizzato integrando la teoria degli orientamenti di valore di Inglehart.
L’ecologia ci ha dato la chiave, ma ha i suoi limiti: si basa su analogie biologiche che semplificano fattori cognitivi e culturali umani, e non ha strumenti quantitativi propri (abbiamo dovuto “prenderli in prestito”). La sfida è integrare meglio questi aspetti.
Caso 2: Convergenza Mediatica – Il Sogno Infranto e il Successo Inaspettato
Ricordate quando si parlava tantissimo di “convergenza mediatica”? L’idea, resa popolare dai cerchi di Negroponte, era che le industrie dei media, dell’informatica e delle trasmissioni si sarebbero fuse in un unico grande calderone digitale entro il 2000. Beh, non è andata proprio così…
Per capire meglio, guardiamo due storie emblematiche, quasi opposte.
La Caduta dei Giganti: Time-Warner-AOL
Questa è stata forse la scommessa più ambiziosa sulla convergenza. Time (editoria) si fonde con Warner (cinema) nel 1990, poi acquisiscono CNN (news via cavo) nel 1996. Il culmine arriva nel 2000 con l’acquisizione di AOL (il re di Internet all’epoca) per la cifra astronomica di 165 miliardi di dollari. L’obiettivo era dominare sia i media tradizionali che quelli digitali.
Il risultato? Un disastro. Difficoltà di integrazione, culture aziendali diverse, performance finanziarie deludenti, fino a una svalutazione record di 99 miliardi nel 2002. Nel 2009, AOL viene scorporata. Successivamente, anche Time si separa da Warner nel 2014. Warner si fonderà poi con Discovery. CNN continua la sua strada. Una storia che insegna quanto sia complesso fondere modelli di business e culture così diverse, soprattutto sottovalutando le complessità del mercato e le differenze culturali.
L’Ecosistema Vincente (e Divergente): Apple
Dall’altra parte, abbiamo Apple. Il suo ecosistema di hardware (Mac, iPhone, iPad, Watch, AirPods…), software (macOS, iOS, app) e servizi (iCloud, iTunes, App Store…) è forse l’esempio più riuscito di convergenza oggi. Tutto funziona insieme in modo quasi magico, integrando lavoro, studio, tempo libero e vita sociale.
Ma attenzione: il successo di Apple non deriva solo dalla convergenza, ma anche da una continua divergenza e innovazione. Partita come produttrice di computer di nicchia, si è diversificata nella musica (iPod), nella telefonia (iPhone), nei wearable (Watch, AirPods), nella realtà virtuale (Vision Pro). Ha continuato a creare *nuove* categorie di prodotti e a differenziare all’interno di esse (Mini, Pro, Max, SE…). Oggi conta decine di tipi e sottotipi di dispositivi, ognuno con una sua funzione specifica, per soddisfare esigenze e tasche diverse.
Paradossalmente, l’ecosistema convergente di Apple prospera grazie alla sua costante divergenza interna. Certo, ci sono state eccezioni: l’iPod, un tempo re della musica, è stato “cannibalizzato” e integrato dall’iPhone, fino a essere dismesso.
Anche qui, l’approccio ecologico aiuta a leggere queste dinamiche di convergenza e divergenza come processi di adattamento, occupazione di nicchie, competizione e integrazione. Ma, di nuovo, l’analogia ha limiti: non cattura appieno le decisioni strategiche umane, le regolamentazioni o le resistenze dei consumatori che hanno affossato AOL-Time Warner o guidato l’innovazione di Apple.
Caso 3: L’Intelligenza Artificiale Generativa (AIGC) – Amico o Nemico dei Contenuti Umani?
Arriviamo al tema più caldo del momento: l’Intelligenza Artificiale Generativa (AIGC), quella che crea testi, immagini, musica… La domanda che tutti si pongono è: cosa succederà ai contenuti creati dagli umani (Human-Generated Content, HGC)? L’AIGC ci sostituirà?
Il dibattito è spesso polarizzato: da un lato gli entusiasti (focus sull’efficienza), dall’altro i critici (focus sui rischi etici, legali, lavorativi). L’approccio ecologico può offrire una prospettiva più neutrale, basata sulle “lezioni” imparate dalla natura.
Essendo l’AIGC basata su LLM molto recente, non abbiamo ancora dati storici solidi. Ma possiamo formulare delle ipotesi basate sui principi ecologici:
1. L’AIGC è un vero ecosistema? No. Almeno non ancora. Un ecosistema biologico è autosufficiente a breve termine e autosostenibile a lungo termine. L’AIGC, invece, dipende totalmente da risorse esterne fornite dagli umani: dati per l’addestramento (il suo “nutrimento”), potenza di calcolo (“energia metabolica”), algoritmi, elettricità, framework. Senza HGC come base dati, l’AIGC non può esistere né migliorare. C’è una dipendenza fondamentale.
2. Creatività ed Emozioni: AIGC vs HGC. L’AIGC è bravissima a riconoscere pattern e generare contenuti basati su dati esistenti, ma non può (ancora?) avere creatività originale, quella che nasce da esperienze vissute, emozioni, contesto culturale. Può *imitare* stili e toni emotivi, ma non *comprende* né *prova* emozioni. Manca quella profondità che permette una vera connessione umana. Inoltre, c’è il rischio del “collasso del modello”: se l’AI viene addestrata troppo su dati generati da altra AI, perde diversità e si appiattisce sulla media, ignorando le sfumature. L’apporto continuo di HGC “fresco” è vitale.
3. AIGC sostituirà HGC? La lezione della “Mediamorphosis”. Già 30 anni fa, Fidler parlava di “mediamorfosi” per descrivere l’interazione tra vecchi e nuovi media. I suoi principi, molto ecologici anche se non usava la parola, dicevano che:
- Vecchi e nuovi media coesistono e coevolvono.
- I nuovi media emergono dai vecchi, ereditandone tratti.
- Tutti i media devono adattarsi per sopravvivere.
- Il successo dei nuovi media dipende da opportunità e bisogni esterni.
Quando arrivarono i social media e i contenuti generati dagli utenti (UGC), si temeva la fine dei contenuti professionali (PGC). Non è successo. I PGC si sono adattati e sono sopravvissuti. Oggi, la storia potrebbe ripetersi con AIGC e HGC. Vediamo già segnali contrastanti: ChatGPT riduce l’attività su siti come Stack Overflow, ma non può sostituire la collaborazione e la discussione complessa umana.
Probabilmente, AIGC e HGC coesisteranno e coevolveranno, trovando un equilibrio variabile a seconda del tipo di contenuto (aggiornamenti sportivi vs. giornalismo investigativo), delle conoscenze richieste e di altri fattori. L’AIGC non è un predatore destinato a eliminare HGC, ma piuttosto una nuova “specie” che dipende da esso e con cui dovrà trovare un modo per interagire nell’ecosistema comunicativo.
Anche qui, l’analogia ecologica ha i suoi limiti: non coglie la velocità senza precedenti dello sviluppo AI e la mancanza di trasparenza dei suoi processi (algoritmi proprietari, dati opachi).
Perché l’Approccio Ecologico Ci Attrae?
Tirando le somme, cosa emerge da questi tre esempi?
- Interconnessione: Tutto è collegato. Issues, media, AIGC/HGC interagiscono in ecosistemi complessi.
- Competizione e Cooperazione: Queste dinamiche sono ovunque, dalla lotta per l’attenzione alla sinergia (o al fallimento) nelle fusioni, alla relazione tra AI e umani.
- Adattamento ed Evoluzione: La capacità di cambiare in risposta all’ambiente è cruciale per la sopravvivenza, che si tratti di un tema pubblico, di un formato mediatico o di un contenuto.
- Dipendenza dalle Risorse: Attenzione pubblica, infrastrutture tecnologiche, dati… le risorse sono fondamentali e la loro allocazione determina le dinamiche dell’ecosistema.
Personalmente, trovo l’approccio ecologico affascinante per la sua epistemologia induttiva. Come un biologo osserva una nuova specie senza preconcetti, questo approccio ci incoraggia a partire dall’osservazione dei fenomeni comunicativi, liberi da giudizi di valore o assunzioni rigide sulla natura umana, per poi costruire generalizzazioni e teorie. Ci aiuta a vedere le cose con occhi nuovi.
Non è una bacchetta magica, chiaro. Ma quando ci troviamo di fronte a conoscenze contrastanti (issues competitive o cooperative?) o a grandi incognite emergenti (il futuro di AIGC e HGC?), l’ecologia ci offre strumenti concettuali e una prospettiva preziosa che le teorie tradizionali della comunicazione a volte faticano a fornire.
Quindi, la prossima volta che pensate alla comunicazione, provate a immaginarla come un vibrante, complesso, a volte spietato, ma sempre affascinante ecosistema. Potreste scoprire cose sorprendenti!
Fonte: Springer