Un'immagine concettuale che mostra un cervello stilizzato con percorsi neurali luminosi che si collegano a un occhio, simboleggiando la neuroplasticità e la rieducazione visiva. Sullo sfondo, un arcobaleno sfocato. Lente prime da 50mm, profondità di campo ridotta per enfatizzare il cervello e l'occhio, illuminazione drammatica.

Vedere i Colori Mai Visti Prima? Ecco DEA, l’App che Rieduca i Tuoi Occhi!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di una cosa che mi sta davvero a cuore e che potrebbe cambiare la vita a molte persone: la discromatopsia. Magari la conoscete meglio come daltonismo, ma in sostanza si tratta di quella condizione che rende difficile, o nei casi più seri impossibile, riconoscere bene i colori e distinguere le loro sfumature. Un bel problema, vero? Pensate a quante cose diamo per scontate, dalla scelta dei vestiti al godersi un tramonto.

Recentemente, però, ho scoperto qualcosa di veramente innovativo. Si chiama DEA (Dyschromatopsia re-Education Algorithm), un algoritmo che non solo aiuta a diagnosticare questo disturbo in modo non invasivo, ma che promette addirittura di “rieducare” i nostri occhi alla visione dei colori. E la cosa più pazzesca? Tutto questo attraverso un’app per smartphone, sfruttando la straordinaria capacità del nostro cervello di adattarsi: la famosa plasticità cerebrale. Niente più bisogno, almeno per l’uso quotidiano, di un professionista sempre al fianco!

Ma cos’è esattamente la discromatopsia?

Partiamo dalle basi. La discromatopsia è una patologia oculare che, purtroppo, affligge un numero sempre crescente di persone nel mondo. Spesso, una volta diagnosticata con esami specifici, viene un po’ sottovalutata se si limita a una scarsa percezione di certi colori. Per questo, il monitoraggio non è sempre una prassi. Ma attenzione, nei casi più gravi si può arrivare all’acromatopsia, cioè l’assenza totale della visione dei colori. Brrr, solo a pensarci!

La maggior parte di chi soffre di discromatopsia ha una forma trasmessa geneticamente, quindi permanente. In altri casi, può svilupparsi più tardi nella vita. In entrambi gli scenari, il problema sta nel malfunzionamento di quelle cellule speciali nei nostri occhi che dovrebbero riconoscere specifiche lunghezze d’onda della luce. Anche se non è considerata una patologia invalidante, la discromatopsia cambia, in tutte le sue forme, la nostra percezione del mondo. E non è solo una questione di “vedere meno colori”: a volte può portare all’esclusione da alcune opportunità professionali, pensate ad esempio ai piloti d’aereo.

Per diagnosticarla, ci sono diversi metodi, tra cui le famosissime tavole di Ishihara, quelle con i numeri nascosti tra i pallini colorati. Recentemente, è stato proposto un metodo algoritmico basato proprio su queste tavole, capace di diagnosticare la discromatopsia e misurarne la gravità in modo non invasivo. Tuttavia, fino ad ora, non c’erano molti studi su come risolvere effettivamente il problema.

L’idea geniale: sfruttare la plasticità del cervello!

Ed è qui che entra in gioco la vera magia. L’idea di base di DEA è quella di sfruttare il riadattamento plastico del cervello. Avete presente quando una funzione sensoriale è compromessa? Il nostro cervello è così incredibile da riuscire a riorganizzare le sue sinapsi per superare il danno. Questo concetto si chiama neuroplasticità dipendente dall’esperienza, ed è stato dimostrato in vari domini sensoriali, anche negli adulti!

Studi specifici hanno mostrato che la corteccia visiva può riorganizzarsi in risposta a un allenamento percettivo mirato. Questo fornisce la base teorica per usare stimoli visivi strutturati per promuovere una “rimappatura” adattiva delle vie di elaborazione del colore. In pratica, si tratta di rieducare l’occhio alla visione dei colori stimolando aggiustamenti percettivi a livello corticale. Fantastico, no?

Rispetto a lavori precedenti, questo nuovo algoritmo DEA non solo diagnostica la presenza della discromatopsia e il suo livello di gravità, ma elabora anche una terapia riabilitativa personalizzata. E come vi dicevo, è stato trasformato in un’app per smartphone, rendendolo super accessibile. La semplicità d’uso porta a un utilizzo più frequente, e la costanza nella terapia è fondamentale per rafforzare la nuova mappatura neurale, un po’ come succede nei modelli di apprendimento dell’intelligenza artificiale.

Un primo piano di un occhio umano con sovrapposte delle tavole colorate simili a quelle di Ishihara, con numeri e forme nascoste tra i cerchi di colore. Illuminazione da studio, lente macro da 90mm per evidenziare i dettagli dell'iride e la complessità delle tavole. Alta definizione, focus preciso.

Questo studio è una sorta di “prova del nove”, per vedere se questo approccio funziona davvero. I primi risultati sono promettenti e dimostrano che l’idea è fattibile. Certo, serviranno studi su scala più ampia, con esperti clinici, per validare e ottimizzare tutto.

Come funziona nel dettaglio questa app DEA?

L’algoritmo DEA è stato sviluppato per costruire un modello di allenamento rieducativo che si adatti ai difetti visivi specifici del paziente. La diagnosi avviene attraverso il filtraggio successivo di tavole di distribuzione del colore (basate sul modello di Ishihara), variando le componenti della triade fondamentale dello spazio colore RGB (Red-Green-Blue).

Pensate a un’immagine digitale RGB come a tre matrici sovrapposte, una per il rosso, una per il verde e una per il blu. Ogni cellula di queste matrici può avere un valore da 0 (assenza di quel colore) a 255 (massima intensità). Combinando i pixel di ogni strato, si crea l’immagine. Definendo un parametro “a” tra 0 e 255, si può ottenere un filtraggio per aumentare il contrasto, evidenziando particolari distribuzioni di colore. Un valore “a” di 255 significa visione completa e zero discromatopsia. Il livello di contrasto (cioè il valore “a”) necessario per identificare la forma target nella distribuzione dei colori diventa un indice della gravità della discromatopsia.

Per un allenamento ancora più efficace, la diagnosi con DEA include un’analisi preliminare per capire se il paziente soffre di:

  • Protanomalia (difficoltà con il rosso)
  • Deuteranomalia (difficoltà con il verde)
  • Tritanomalia (difficoltà con il blu)

In base a questi risultati, vengono proposti percorsi diagnostici e rieducativi individualizzati.

Il percorso di rieducazione: Training, Testing e Validazione

Una volta identificato il tipo di discromatopsia e il parametro “a” che ne descrive la gravità, inizia l’allenamento per il recupero. Questo processo segue un modello tipico dell’intelligenza artificiale e si articola in tre macrofasi:

1. Training (Allenamento): Dura circa 2 mesi. Questo periodo è stato scelto per permettere un consolidamento delle abilità progressivamente acquisite. Per 10 incontri (settimanali, di circa 15 minuti), al paziente vengono proposte 12 tavole di distribuzione del colore, generate da DEA sul modello di Ishihara. Le immagini sono presentate in modo casuale per evitare correlazioni associative.
2. Testing (Verifica): Propone lo stesso set di tavole presentato solo al primo screening. I 2 mesi di pausa dovrebbero eliminare ogni correlazione mnemonica associativa, permettendo un confronto scientifico del grado di capacità visiva ripristinata.
3. Validation (Validazione): Vengono proposte anche 2 tavole mai viste prima, costruite in base al tipo di difetto discromatopsico riscontrato inizialmente.

La rieducazione tramite DEA è considerata valida se i risultati ottenuti (il parametro “a”) nella fase di testing sono superiori ai valori ottenuti prima dell’allenamento.

I risultati del primo studio pilota: una speranza concreta!

Nello studio sono stati riportati i risultati sulla rieducazione degli occhi di 4 pazienti (ID-N1, ID-N2, ID-N3 e ID-N4). Tre di loro soffrivano di una carenza nella visione della combinazione rosso-verde a causa di deuteranomalia, mentre uno per protanomalia.
Tutti i pazienti hanno mostrato un miglioramento non lineare nel tempo su tutti e tre i tipi di test proposti in ogni sessione (con difficoltà progressiva). L’apprendimento non è un processo costante, può avere fluttuazioni, ma nel complesso il parametro “a” è aumentato ad ogni sessione.

Una persona che tiene in mano uno smartphone su cui è visibile l'interfaccia dell'app DEA, con grafici colorati che indicano un progresso. Sfondo leggermente sfocato per mettere a fuoco lo smartphone. Luce naturale da finestra, lente da 35mm per un ritratto ambientale.

Confrontando i valori di “a” prima e dopo il percorso di 10 settimane, si è visto che l’algoritmo DEA sembra aver aiutato tutti i pazienti nella visualizzazione dei colori. È interessante notare che DEA non favorisce un tipo specifico di discromatopsia: che sia protanomalia, deuteranomalia o tritanomalia, i risultati mostrano che entro 10 settimane di terapia, la capacità visiva migliora.

Anche nella fase di validazione, con tavole mai viste prima, il parametro “a” è risultato, in tutti i casi, ben al di sopra dei valori registrati prima dell’allenamento, sottolineando un miglioramento nella capacità di visualizzare le distribuzioni cromatiche.

Perché DEA è così promettente?

L’obiettivo di questo studio era valutare un metodo innovativo per diagnosticare la cecità ai colori da discromatopsia, valutarne la gravità e proporre un trattamento rieducativo sfruttando la plasticità del cervello. L’app DEA, con la sua interfaccia user-friendly, fa proprio questo: studia le capacità visive del paziente e crea un programma di rieducazione personalizzato.

Un aspetto fondamentale è che l’app può essere usata in autonomia. Nello studio pilota, il supporto professionale è stato necessario solo per i primi incontri. Poi, i pazienti hanno usato DEA da soli, senza problemi. Questo facilita enormemente l’accesso a diagnosi e trattamento, non essendo legati a luoghi specifici o personale specializzato.

I miglioramenti ottenuti dal paziente ID-N1 sembrano essere permanenti (almeno entro tre mesi dopo l’allenamento), ma servirà più tempo per confermarlo. Questi risultati rendono DEA un metodo valido per testare la discromatopsia e rieducare gli occhi a vedere le distribuzioni dei colori, specialmente perché non ci sono molte linee guida per il trattamento di questa condizione.

Certo, la metodologia di allenamento ispirata all’IA applicata alla riabilitazione visiva è ancora un’ipotesi traslazionale. La validazione clinica e il dialogo con i professionisti sanitari saranno essenziali per determinarne la rilevanza terapeutica a lungo termine.

In conclusione, DEA rappresenta una speranza concreta. È una tecnica non invasiva, utilizzabile autonomamente, che si basa sulla capacità del nostro cervello di riorganizzarsi. I risultati iniziali sono entusiasmanti e aprono la strada a futuri esperimenti per ottimizzare parametri come la durata e la frequenza delle sessioni. Chissà, forse un giorno “vedere tutti i colori del mondo” non sarà più un sogno per chi soffre di discromatopsia!

Fonte: Springer

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