Cistiti Ricorrenti nelle Donne Anziane: Stiamo Davvero Usando Troppi Antibiotici Inutilmente?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che, dati alla mano, dovrebbe farci riflettere tutti un po’: l’uso, o meglio, l’abuso di antibiotici nelle donne anziane che soffrono di infezioni urinarie ricorrenti, le cosiddette cistiti. Sapete, quelle fastidiose infezioni che sembrano non voler mai dare tregua.
Mi sono imbattuta in uno studio recente che ha messo in luce una realtà un po’ preoccupante. Sembra che una percentuale davvero alta di antibiotici prescritti a donne over 65 per questo problema sia, in realtà, inutile. E quando dico alta, intendo davvero alta. Parliamo di numeri che dovrebbero far suonare più di un campanello d’allarme.
I Risultati dello Studio: Un Quadro Sorprendente
Lo studio in questione ha analizzato retrospettivamente i casi di 175 donne anziane con diagnosi di infezioni urinarie ricorrenti (definite come almeno due infezioni in 6 mesi o tre in un anno). Hanno esaminato ben 454 episodi in cui è stato prescritto un antibiotico. Ebbene, tenetevi forte: nel 41% di questi casi, l’antibiotico era considerato “inutile”!
Cosa significa “inutile” in questo contesto? Gli autori dello studio lo hanno definito chiaramente:
- Prescritto per batteriuria asintomatica (cioè, c’erano batteri nelle urine rilevati da un’urinocoltura, ma la paziente non aveva sintomi specifici di un’infezione urinaria).
- Prescritto in assenza di sintomi specifici dell’infezione urinaria.
- Prescritto nonostante un’urinocoltura negativa documentata o l’assenza di piuria (globuli bianchi nelle urine, un segno di infiammazione/infezione).
La cosa forse ancora più sorprendente è che questo tasso elevato di prescrizioni inappropriate non variava molto tra le diverse specialità mediche. Che si trattasse del medico di base (45%), dell’uroginecologo (41%), del ginecologo (29%), dell’urologo (28%) o del pronto soccorso/guardia medica (27%), il problema sembrava essere diffuso. Non è, quindi, un problema legato a una singola categoria di medici, ma un fenomeno più ampio.

Perché Vengono Prescritti Antibiotici Inutili? Gli Scenari Più Comuni
Ma allora, perché succede questo? Lo studio ha cercato di capirlo analizzando le situazioni cliniche specifiche. Lo scenario più comune (nel 60% dei casi di prescrizione inutile) era la mancanza di documentazione di sintomi specifici dell’infezione urinaria. Questo è un punto cruciale. Spesso, alle donne anziane vengono attribuiti all’infezione urinaria sintomi molto generici come stanchezza, confusione mentale, mal di schiena non meglio specificato. Le linee guida, però, sono chiare: questi sintomi non dovrebbero essere automaticamente collegati a un’infezione urinaria e non giustificano da soli una terapia antibiotica. I sintomi “giusti” da cercare sono quelli più specifici come bruciore a urinare (disuria), aumento della frequenza o urgenza minzionale, dolore sovrapubico, sangue nelle urine (ematuria), febbre o dolore al fianco.
Un altro scenario molto frequente (46% dei casi inutili) era proprio la batteriuria asintomatica. Nelle donne anziane, specialmente quelle con infezioni ricorrenti, è comunissimo trovare batteri nelle urine senza che ci sia una vera e propria infezione sintomatica in corso. Trattare questa condizione con antibiotici non solo è inutile, ma può essere dannoso, favorendo resistenze batteriche e alterando il microbiota intestinale, il che, paradossalmente, può aumentare il rischio di future infezioni!
Poi ci sono i casi in cui l’antibiotico è stato dato nonostante i test dicessero “no”: nel 32% delle prescrizioni inutili mancava la piuria (segno di infiammazione) e nel 18% l’urinocoltura era addirittura negativa! E, ciliegina sulla torta (amara, direi), nell’11% dei casi, l’antibiotico è stato prescritto senza documentare alcun sintomo specifico e senza nemmeno fare alcun test delle urine. Mi chiedo: quante volte capita per “stare sicuri” o magari per la pressione della paziente o dei familiari preoccupati?
Le Sfide nella Diagnosi e la Pressione Esterna
Dobbiamo ammetterlo, diagnosticare correttamente un’infezione urinaria in una donna anziana non è sempre una passeggiata. Come accennavo, la batteriuria asintomatica è molto diffusa (fino al 30% in quelle con infezioni ricorrenti). Inoltre, i sintomi possono sovrapporsi a quelli di altre condizioni comuni in età avanzata, come la vescica iperattiva o la sindrome genito-urinaria della menopausa.
Aggiungiamoci la pressione, a volte forte, da parte delle pazienti stesse o dei loro caregiver, che possono essere molto ansiosi e attribuire qualsiasi sintomo non specifico (stanchezza, confusione) a un’infezione urinaria, temendo magari complicazioni gravi come la sepsi. Questo può spingere il medico a prescrivere un test delle urine anche quando non indicato, o peggio, un antibiotico “per sicurezza”, magari anche prima di avere i risultati dei test (terapia empirica). Lo studio ha infatti rilevato un alto tasso di prescrizioni empiriche.

Il Ruolo dei Test e la “Diagnostic Stewardship”
Questo ci porta a un altro punto fondamentale: l’uso appropriato dei test diagnostici. Ordinare un’urinocoltura in assenza di sintomi specifici porta spesso alla scoperta di batteriuria asintomatica e, come abbiamo visto, a prescrizioni inutili. È quella che viene chiamata “diagnostic stewardship”, cioè l’uso oculato e appropriato dei test diagnostici. Ad esempio, si potrebbero usare strumenti di supporto decisionale che chiedano al medico di specificare il motivo della richiesta del test, oppure implementare protocolli di laboratorio (“reflex culture”) per cui l’urinocoltura viene eseguita solo se l’esame delle urine al microscopio mostra segni di infiammazione (come la piuria).
Curiosamente, lo studio non ha trovato un legame forte tra fattori socio-economici (valutati con un indice di vulnerabilità sociale) e la probabilità di ricevere un antibiotico inutile. Anzi, un dato un po’ controintuitivo è emerso: le pazienti la cui lingua madre era l’inglese (presumibilmente con miglior accesso alle cure nel contesto dello studio USA) avevano una probabilità maggiore di ricevere una prescrizione inappropriata. Forse una maggiore facilità nel comunicare preoccupazioni o sintomi non specifici? È un’ipotesi.
Cosa Possiamo Fare? Verso un Uso Più Consapevole
Allora, cosa ci portiamo a casa da tutto questo? Sicuramente la consapevolezza che c’è un problema significativo di sovraprescrizione di antibiotici nelle infezioni urinarie ricorrenti delle donne anziane. Un problema che ha conseguenze importanti: aumento delle resistenze batteriche (un’emergenza sanitaria globale!), effetti collaterali dei farmaci, alterazione del microbiota e costi sanitari.
Le soluzioni proposte dallo studio vanno in direzioni precise:
- Migliorare la documentazione dei sintomi: Utilizzare magari dei template che guidino il medico a registrare i sintomi specifici e a non attribuire automaticamente quelli non specifici all’infezione urinaria. Questo aiuta anche a rendere “giustificabile” la prescrizione.
- Supporto decisionale clinico: Strumenti informatici o protocolli che aiutino i medici a seguire le linee guida sia per la diagnosi (quando fare i test?) sia per la terapia (quando prescrivere l’antibiotico?).
- Educazione e comunicazione: Informare meglio le pazienti e i loro familiari su quali sintomi sono davvero suggestivi di un’infezione urinaria, sui rischi della batteriuria asintomatica e sull’importanza di usare gli antibiotici solo quando servono davvero.
- Diagnostic stewardship: Usare i test delle urine in modo più mirato e interpretarne correttamente i risultati.

In conclusione, credo sia fondamentale che tutti noi – medici, pazienti, caregiver – diventiamo più consapevoli di questo problema. Prescrivere un antibiotico “per sicurezza” o perché “non si sa mai” può sembrare la scelta più facile nel breve termine, ma a lungo andare contribuisce a un problema molto più grande. Serve un impegno collettivo per promuovere un uso più razionale e appropriato di queste preziose risorse farmacologiche, soprattutto in una popolazione vulnerabile come quella delle donne anziane.
Fonte: Springer
