Parlare Inglese Senza Paura: Sfide e Soluzioni per i Futuri Insegnanti in Vietnam
Sapete, l’inglese oggi è una specie di passaporto per il mondo, fondamentale per comunicare e fare affari a livello globale. Non sorprende che tantissimi paesi, incluso il Vietnam, stiano spingendo sull’acceleratore per migliorare l’insegnamento dell’inglese. L’obiettivo? Sfornare laureati che sappiano cavarsela alla grande con la lingua, sia all’università che nel mondo reale. Il governo vietnamita ha lanciato un ambizioso “Progetto Nazionale Lingue Straniere” (NFLP) proprio per questo, puntando molto sulla formazione iniziale degli insegnanti di inglese.
E qui casca l’asino, come si suol dire. Nonostante le buone intenzioni, sembra ci sia un bel divario tra gli obiettivi del progetto e i risultati effettivi. Pare che raggiungere il traguardo del 100% di insegnanti laureati con competenze linguistiche adeguate entro il 2025 sia un’impresa ardua. Uno degli scogli più grandi? La capacità di parlare inglese dei futuri insegnanti. Molti si sentono insicuri, hanno difficoltà con l’orale e temono di non essere all’altezza di insegnare a parlare efficacemente.
Questa mancanza di fiducia non solo li frena in classe, ma spesso affonda le radici proprio nel percorso di formazione iniziale. Parlare inglese in situazioni sociali durante l’università è descritto da molti futuri insegnanti (che chiameremo PSETs, Pre-Service English Teachers) come una delle esperienze più temute e sgradevoli. Una cosa che già più di trent’anni fa Young (1990) aveva notato: “parlare in una lingua straniera è spesso citato dagli studenti come la loro esperienza più ansiogena”.
Ma cos’è esattamente quest’ansia da conversazione?
Tra tutti i fattori che possono rallentare l’apprendimento di una lingua, l’ansia legata al parlato (quella che Horwitz e colleghi nel 1986 definirono come “apprensione associata alla comunicazione orale”) è da tempo riconosciuta come la bestia nera, il freno più potente allo sviluppo delle competenze. Nel contesto di cui parliamo, quest’ansia si manifesta prepotentemente quando gli studenti devono partecipare ad attività di conversazione e ascolto durante la loro formazione.
Il problema è che quest’ansia non si limita a bloccarli quando parlano, ma può insinuarsi anche nella lettura e nella scrittura, minando il loro impegno generale nello studio dell’inglese come lingua straniera. Se non viene affrontata, rischia di compromettere seriamente la loro preparazione professionale e, di conseguenza, la loro efficacia come futuri insegnanti.
È importante capire che l’ansia da lingua straniera (FLA) e, più specificamente, l’ansia da parlato in lingua straniera (FLSA), non è un blocco monolitico uguale per tutti. Si manifesta in modi diversi a seconda delle culture e dei contesti didattici. Non è un’esclusiva del Vietnam, né è identica in tutto il mondo. Dipende da differenze personali, tradizioni pedagogiche diverse e, ovviamente, fattori culturali.
Mentre esistono studi sull’ansia da inglese in Vietnam tra studenti che *non* si specializzano in inglese, mancava una ricerca approfondita proprio sui PSETs, quelli che l’inglese dovranno insegnarlo. E questo è un vuoto importante, perché loro hanno un doppio ruolo: sono studenti che imparano e futuri educatori che dovranno padroneggiare l’arte di insegnare a parlare. Una sfida unica che meritava di essere esplorata.
Le radici linguistiche del blocco
Parlando con cinque PSETs vietnamiti di un’università di Hanoi, sono emerse chiaramente alcune cause linguistiche della loro ansia. La prima, e forse la più ovvia, è la mancanza di vocabolario. Sentirsi a corto di parole è frustrante. Come ha detto Huyen: “Un altro problema è il mio scarso vocabolario. È difficile avere pensieri ma non le parole per esprimerli in inglese. Mi impedisce di partecipare alle attività in classe.” Duong le ha fatto eco: “La maggior parte delle volte, la mia mente è piena di idee, ma rimangono bloccate a causa del mio vocabolario limitato.”
L’ansia stessa, poi, sembra giocare brutti scherzi alla memoria. Hien ha raccontato: “Prima della presentazione, ho tutte le parole in mente, ma scompaiono durante la presentazione e non riesco a ricordarle.” Un fenomeno confermato da Linh: “Le parole mi tornano in mente appena esco dalla classe.” Insomma, quando l’argomento è familiare e si sentono preparati, gli studenti sono più propensi a parlare. Ma la mancanza di parole li porta spesso a ritirarsi, generando delusione e apprensione.
Un altro tasto dolente è la pronuncia. La preoccupazione di sbagliare l’accento o la dizione è fortissima. Hai ha confessato: “Mi arrabbio se pronuncio male le parole durante la lezione di inglese.” Hien ha aggiunto dettagli sulla complessità della pronuncia inglese, citando le lettere mute come fonte di confusione. Ma c’è anche un aspetto sociale pesante: il ricordo delle risate dei compagni di liceo. “Ricordo ancora la fitta quando ho provato a dire la parola ‘thought’ e sono stata accolta dalle risate,” ha condiviso Huyen. Linh ha aggiunto: “È come se le parole si bloccassero perché hai paura che ridano di nuovo.” Queste esperienze di scherno non solo imbarazzano, ma intensificano la riluttanza a parlare.
La radice di queste difficoltà di pronuncia sembra affondare nell’istruzione pre-universitaria, dove, come confermato da tutti i partecipanti, si dà molta enfasi a lettura, ascolto e scrittura, ma pochissimo alla pratica orale. Questo squilibrio, dovuto anche alla struttura degli esami di ammissione all’università che spesso ignorano l’orale, crea un circolo vizioso di ansia ed evitamento che si trascina fino all’università.
Infine, c’è l’abitudine di tradurre mentalmente dalla propria lingua madre (L1). Duong ha descritto la fatica cognitiva: “Quando parlo inglese, prima penso in vietnamita, poi traduco. Questo processo mi rallenta e aumenta la mia ansia nel parlare.” Questo sforzo aggiuntivo porta a risposte ritardate e amplifica l’ansia, un po’ come sentirsi intellettualmente pronti ma linguisticamente incatenati. Hai ha aggiunto: “È disorientante quando non riesco a tradurre direttamente un concetto vietnamita in inglese. Sento come se la mia mente si svuotasse.” Sebbene usare la L1 possa a volte ridurre l’ansia, la difficoltà di trovare espressioni equivalenti sembra superare i benefici, ostacolando la fluidità e diventando un’ulteriore fonte di stress.
Quando la classe e la cultura pesano
L’ansia non dipende solo da quanto bene si conosce la lingua. Il contesto sociale e culturale dell’aula gioca un ruolo enorme. Quella che potremmo chiamare la ‘cultura della classe’ – il modo in cui studenti e insegnanti interagiscono, il rispetto reciproco, il supporto – può fare la differenza.
Purtroppo, alcuni fattori socioculturali possono peggiorare l’ansia. Attività come presentazioni orali o domande a bruciapelo sono spesso citate come fonti di stress. Ma è soprattutto la paura del giudizio negativo, specialmente da parte dei compagni, a pesare come un macigno. Hai lo ha descritto perfettamente: “Il pensiero che i miei amici mi prendano in giro fuori dalla classe se inciampo sulle parole mi rende nervosa. Sarebbe il caso peggiore se l’insegnante pensasse che sono una studentessa incompetente.”
Questa paura di apparire incompetenti porta molti a evitare di partecipare. Hien ha confessato: “Quando sento il loro giudizio [dei compagni], il mio discorso si disorganizza. Preferirei stare seduta in silenzio piuttosto che arrabbiarmi per essere presa in giro.” Questo timore è amplificato dalla cultura vietnamita, dove il concetto di ‘faccia’ (l’immagine pubblica, la dignità) è molto importante. Sbagliare pubblicamente può significare perdere la faccia, perdere il rispetto degli altri.
Anche le interazioni con l’insegnante, specialmente riguardo alla correzione degli errori, sono cruciali. Un modo troppo severo di correggere può aumentare l’ansia, mentre un approccio empatico può ridurla. L’errore fa parte dell’apprendimento, ma come viene gestito in classe può fare una grande differenza.
Il fardello personale
Oltre ai fattori linguistici e sociali, ci sono aspetti più personali che contribuiscono all’ansia.
- Bassa autostima: La fiducia in se stessi è fondamentale. Chi si sente sicuro è più propenso a partecipare, anche rischiando di sbagliare. Chi ha poca autostima, invece, tende a evitare per paura del giudizio e del senso di inadeguatezza. Linh ha ammesso: “Sento sempre di non poter mai fare giusto, il che mi impedisce di parlare in classe.” Questa mancanza di fiducia spesso deriva dalle difficoltà linguistiche percepite (vocabolario, grammatica, pronuncia), ma anche dalla scarsa abitudine a praticare l’inglese parlato in contesti a bassa pressione.
- Aspettative irrealistiche: La ricerca della fluidità perfetta, dell’accento “ideale” (spesso quello nativo) e della correttezza grammaticale assoluta è un’altra fonte di ansia. Queste aspettative, alimentate a volte dalla bassa autostima e dalla pressione esterna a conformarsi a standard “native-speaker”, sono spesso irraggiungibili. Duong ha espresso questo perfezionismo: “Non mi considererò pronta a insegnare inglese finché non potrò parlarlo senza errori.” Hien si preoccupava del suo accento: “Il mio accento non nativo mi preoccupa. Potrebbe ostacolare la mia carriera di insegnante.” Queste convinzioni irrealistiche sul dover raggiungere una perfezione linguistica quasi mitica aumentano lo stress.
- Ansia da test: Gli esami orali sono un classico generatore di ansia. La pressione di performare bene, la paura di non soddisfare le aspettative (proprie, degli insegnanti, dei genitori) è palpabile. Linh ha detto: “Se mi ricordo che ho un test di speaking il giorno dopo, non riesco a dormire bene.” Huyen era preoccupata per i voti: “Il problema più preoccupante è che non riesco a prendere un buon voto,” legando questo alla sua aspirazione di studiare all’estero.
- Pressioni familiari e culturali: In Vietnam, come in molte culture asiatiche, c’è una forte enfasi sull’eccellenza accademica e alte aspettative da parte dei genitori. Hai sentiva la pressione del padre: “Mi sento ansiosa di non ottenere voti alti perché mi preoccupo di non soddisfare le aspettative di mio padre. Ha grandi speranze per me… e non voglio deluderlo.” Questa pressione, unita alla competitività del mercato del lavoro, spinge ulteriormente verso la ricerca di una padronanza linguistica impeccabile, esacerbando l’ansia.
Strategie di sopravvivenza: cosa fanno gli studenti?
Nonostante tutte queste difficoltà, i futuri insegnanti vietnamiti non restano passivi. Mettono in campo diverse strategie per gestire la loro ansia. Le più comuni emerse dalle interviste sono:
- Cercare supporto tra pari: Chiedere aiuto ai compagni, specialmente per domande difficili o argomenti sconosciuti, è una strategia molto usata. Come ha spiegato Hien: “Chiedo sempre ai miei compagni prima di fare una domanda in classe… I commenti positivi che ricevo dai miei compagni mi danno molta più fiducia.” Questa collaborazione non serve solo a trovare la risposta giusta, ma crea una comunità di supporto reciproco. Tuttavia, come ha notato Hai, l’efficacia dipende dalla familiarità: interagire con persone che non si conoscono bene può essere più stressante che confortante.
- Preparazione approfondita: Prepararsi meticolosamente prima di parlare è un’altra tattica potente. Huyen ha raccontato: “Preparo le possibili domande e mi esercito a rispondere prima dei workshop.” Essere preparati aumenta la fluidità, l’accuratezza e dà un senso di controllo. Però, c’è un rovescio della medaglia. Duong ha sollevato un punto critico: “L’insegnante potrebbe chiedermi cose che non ho preparato… Penso che le risposte preparate a volte possano limitare il mio pensiero.” Un’eccessiva dipendenza dalla preparazione può rendere difficile adattarsi a domande impreviste, aumentando potenzialmente l’ansia nelle interazioni spontanee. Serve un equilibrio tra preparazione e flessibilità.
- Pensiero positivo: Adottare una mentalità positiva, vedendo gli errori come opportunità di apprendimento, aiuta molto. Linh ha descritto la sua evoluzione: “All’inizio era spaventoso fare errori. Ho imparato a vedere gli errori come opportunità di apprendimento che migliorano le mie competenze linguistiche, piuttosto che come ostacoli.” Huyen concordava: “Va bene fare errori. Fa parte dell’imparare.” Questo approccio positivo, che implica una continua riflessione e rivalutazione delle sfide, aiuta a sostenere gli sforzi e a ridurre le auto-percezioni negative.
Guardare oltre: cosa possiamo fare davvero?
Questa esplorazione dell’ansia da inglese parlato tra i futuri insegnanti vietnamiti ci dice molto. Conferma che l’ansia è diffusa, anche tra chi ha buone competenze, e che le cause sono un mix complesso di fattori linguistici, personali e socioculturali. Le strategie di coping individuali sono importanti, ma non bastano.
Cosa serve allora? Dobbiamo andare oltre le semplici strategie di coping e pensare a cambiamenti più strutturali.
- Adattare le teorie: I modelli teorici sull’ansia linguistica sono utili, ma devono essere adattati per tenere conto delle pressioni culturali e sociali specifiche di contesti come quello vietnamita (l’enfasi sulla perfezione, la ‘faccia’, la competizione).
- Rivedere la formazione iniziale degli insegnanti: I programmi universitari devono integrare esplicitamente strategie per affrontare l’ansia da parlato. Non basta insegnare la lingua e la pedagogia; bisogna fornire strumenti per gestire le emozioni, costruire fiducia, affrontare le sfide linguistiche e creare ambienti di classe supportivi. Bisogna anche bilanciare meglio l’insegnamento del vocabolario e della grammatica all’interno di contesti comunicativi reali.
- Cambiare le pratiche in classe: Gli insegnanti (sia quelli universitari che i futuri insegnanti stessi) devono coltivare ambienti di apprendimento dove l’errore è visto come un’opportunità, non una vergogna. Feedback positivi, empatia, validazione delle emozioni degli studenti sono cruciali. Normalizzare l’ansia come parte del processo aiuta gli studenti a sentirsi meno soli e più resilienti.
- Politiche educative: A livello più ampio, si potrebbe considerare di integrare prove orali negli esami di ammissione all’università per dare più peso alla comunicazione parlata fin dalle scuole superiori.
- Ricerca futura: Servono studi più ampi, con più partecipanti e in diverse istituzioni, per generalizzare i risultati. Sarebbe interessante esplorare più a fondo l’equilibrio tra preparazione e spontaneità nelle strategie di coping e indagare come l’ansia da parlato influenzi anche altre abilità linguistiche (lettura, scrittura, ascolto).
In conclusione, affrontare l’ansia da inglese parlato nei futuri insegnanti non è solo una questione di benessere individuale, ma è fondamentale per migliorare la qualità dell’insegnamento dell’inglese in Vietnam e, potenzialmente, in molti altri contesti simili. Creare insegnanti più sicuri e consapevoli significa creare studenti più sicuri e competenti. È una sfida complessa, ma assolutamente necessaria.
Fonte: Springer