Ansia Giovanile: Quei Pensieri ‘Storti’ che Possono Fare la Differenza
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta molto a cuore e che, purtroppo, tocca tantissimi ragazzi e ragazze: i cosiddetti disturbi internalizzanti. Parliamo di ansia, depressione… insomma, quel groviglio di emozioni negative che possono rendere la vita davvero difficile, specialmente durante l’infanzia e l’adolescenza.
Pensate che questi problemi sono tra i disturbi psichiatrici più comuni tra i giovani e possono portare a conseguenze serie come autolesionismo, uso di sostanze, difficoltà nelle relazioni. Capire cosa li scatena o li peggiora è fondamentale, non trovate? Ecco perché mi sono imbattuto con grande interesse in uno studio recente che cerca di fare luce su alcuni fattori di rischio specifici.
Il Cuore del Problema: Emozioni e Pensieri
Sappiamo da tempo che un certo tipo di temperamento, chiamato emotività negativa, gioca un ruolo importante. Si tratta della tendenza innata a provare spesso emozioni come tristezza, irritabilità, paura. I ragazzi con alta emotività negativa tendono anche a evitare situazioni che li mettono a disagio, un po’ come chi soffre di disturbi d’ansia veri e propri.
Il punto è che il temperamento è abbastanza stabile, difficile da “modificare”. Quindi, la ricerca si sta concentrando su altri fattori, magari più “malleabili”, su cui si potrebbe intervenire. Ed è qui che entrano in gioco i nostri protagonisti: i bias cognitivi.
I Protagonisti Cognitivi: Sensibilità all’Ansia e Bias Interpretativi
Cosa sono i bias cognitivi? In parole povere, sono modi “storti” di pensare, delle distorsioni nel modo in cui interpretiamo la realtà. Lo studio di cui vi parlo si è focalizzato su due tipi specifici, molto rilevanti per ansia e depressione:
- Bias Interpretativi: È la tendenza a vedere il lato negativo in situazioni ambigue o neutre. Avete presente quando dei compagni bisbigliano e subito pensate che stiano parlando male di voi? Ecco, questo potrebbe essere un esempio. Chi ha questo bias tende a saltare a conclusioni negative.
- Sensibilità all’Ansia: Questa è un po’ diversa. È la paura delle stesse sensazioni fisiche legate all’ansia (batticuore, respiro corto, vertigini…). Chi ne soffre crede che queste sensazioni siano pericolose, che possano portare a conseguenze catastrofiche (tipo svenire, impazzire, avere un infarto). Si può avere paura per la propria salute fisica (“disease concerns”), per il giudizio sociale (“social concerns” – paura che gli altri notino l’ansia), per la propria mente (“mental incapacitation concerns” – paura di perdere il controllo) o per sensazioni di instabilità (“unsteady concerns”).
La cosa interessante è che entrambi questi bias sono considerati modificabili, ad esempio attraverso la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) o training specifici. Ma quanto pesano davvero, specialmente in ragazzi già predisposti per via del loro temperamento?

Lo Studio: Mettere i Puntini sulle ‘i’
I ricercatori hanno coinvolto un gruppo di 105 ragazzi e ragazze (età media 10 anni) con una diagnosi primaria di disturbo d’ansia. Un campione bello variegato anche dal punto di vista etnico. Hanno fatto compilare loro dei questionari per misurare l’emotività negativa, i bias interpretativi, la sensibilità all’ansia e la gravità generale dei sintomi internalizzanti (ansia e depressione insieme).
L’obiettivo era chiaro: capire se questi due bias cognitivi riuscissero a spiegare una parte della gravità dei sintomi al di là dell’influenza dell’emotività negativa e tenendo conto di fattori come età, sesso e etnia. In pratica, volevano vedere il contributo “unico” di questi modi di pensare.
I Risultati: Cosa Abbiamo Scoperto?
Ebbene sì, le ipotesi erano corrette! Come ci si poteva aspettare, tutti questi fattori (emotività negativa, i due bias e i sintomi internalizzanti) erano collegati tra loro. Ma la scoperta più importante è stata un’altra.
Anche tenendo conto dell’emotività negativa di base dei ragazzi, sia la sensibilità all’ansia che i bias interpretativi hanno aggiunto un pezzo significativo alla spiegazione della gravità dei sintomi. Insieme, questi due bias spiegavano un ulteriore 22% della varianza! Non è poco, eh?
Questo conferma quanto le teorie cognitivo-comportamentali sostengono da tempo: il modo in cui pensiamo ha un impatto enorme su come ci sentiamo, specialmente quando si tratta di ansia e depressione.
Una Sorpresa Interessante
C’era un’ipotesi specifica: si pensava che i bias interpretativi, essendo più “generali”, potessero pesare di più della sensibilità all’ansia. E invece, sorpresa! In questo campione di ragazzi clinicamente ansiosi, è stata la sensibilità all’ansia a spiegare più del doppio della varianza rispetto ai bias interpretativi (11% contro 5% di varianza unica).
Perché? Una possibile spiegazione è che per chi soffre già d’ansia in modo clinicamente rilevante, la paura delle proprie sensazioni fisiche (il cuore che batte forte, la testa che gira) è particolarmente centrale e disturbante. I bias interpretativi, che riguardano più l’interpretazione di eventi esterni, potrebbero essere magari più rilevanti in ragazzi con problemi di umore (depressione). È un’ipotesi affascinante!
È importante notare che, sebbene distinti, questi due bias non sono mondi separati: nel campione studiato condividevano circa il 31% della varianza. Questo ci dice che sono costrutti correlati ma che vale la pena studiarli entrambi perché ognuno aggiunge un pezzo unico al puzzle.

Scavando più a Fondo: Le Sfaccettature Contano
I ricercatori non si sono fermati qui. Hanno voluto vedere quali aspetti specifici di questi bias fossero più predittivi.
Per la sensibilità all’ansia, sono emerse due sfaccettature principali:
- Disease concerns: La paura che le sensazioni fisiche siano segno di una grave malattia.
- Social concerns: La paura che gli altri si accorgano dell’ansia e giudichino negativamente.
Questo ha senso, no? In un gruppo di ragazzi con disturbi d’ansia (tra cui molti con ansia sociale), queste paure sono probabilmente molto presenti.
Per i bias interpretativi, invece, la sfaccettatura chiave emersa è stata:
- Overgeneralization (Sovrageneralizzazione): La tendenza a trarre conclusioni generali negative basate su poche esperienze. Tipo: “Sono andato male in quel compito, quindi sono un fallimento totale a scuola”.
Sembra che questo specifico errore di pensiero sia particolarmente legato ai sintomi internalizzanti in generale, sia ansiosi che depressivi.
Cosa Significa Tutto Questo per Noi?
Questi risultati sono davvero incoraggianti dal punto di vista clinico. Perché? Perché ci dicono che, anche in ragazzi con una base temperamentale “difficile” (alta emotività negativa), ci sono dei meccanismi cognitivi modificabili che contribuiscono in modo significativo ai loro problemi.
La sensibilità all’ansia e i bias interpretativi possono essere bersagli specifici di interventi psicologici. Trattamenti che aiutano i ragazzi a:
- Interpretare le sensazioni fisiche in modo meno catastrofico.
- Ridurre la paura del giudizio sociale legato all’ansia.
- Mettere in discussione le generalizzazioni negative.
Potrebbero essere particolarmente efficaci. Pensiamo a terapie come la CBT o protocolli più recenti come l’Unified Protocol for Children and Adolescents, che già lavorano su questi aspetti.
Identificare precocemente i ragazzi a rischio (sia per temperamento che per questi bias) e intervenire potrebbe davvero fare la differenza, magari prevenendo l’aggravarsi dei sintomi durante l’adolescenza, un periodo notoriamente critico.
Un Occhio Critico: I Limiti dello Studio
Certo, come ogni ricerca, anche questa ha i suoi limiti. È uno studio “cross-sectional”, cioè ha scattato una fotografia in un dato momento. Non possiamo essere sicuri al 100% della direzione della freccia: sono i bias a causare i sintomi, o i sintomi a influenzare i bias? Probabilmente è un circolo vizioso, ma servirebbero studi longitudinali (che seguono i ragazzi nel tempo) per capirlo meglio.
Inoltre, molte misure erano basate sull’autovalutazione dei ragazzi. Se da un lato questo è utile per capire il loro vissuto interno, dall’altro potrebbe esserci una certa “soggettività”. Sarebbe interessante integrare questi dati con osservazioni esterne (genitori, insegnanti). Infine, alcune sottoscale dei questionari usati avevano una consistenza interna non altissima, un dettaglio tecnico da tenere presente.
In Conclusione: Un Passo Avanti
Nonostante i limiti, credo che questo studio ci dia un messaggio importante: nel complesso puzzle dell’ansia e della depressione giovanile, i bias cognitivi – in particolare la sensibilità all’ansia e i bias interpretativi (soprattutto la sovrageneralizzazione) – sono pezzi cruciali. E la buona notizia è che sono pezzi su cui possiamo lavorare!
Capire meglio questi meccanismi ci apre la strada a interventi sempre più mirati ed efficaci per aiutare i nostri ragazzi a navigare le acque, a volte turbolente, delle loro emozioni e dei loro pensieri.
Fonte: Springer
