Un ritratto intimo e riflessivo di una giovane donna che simboleggia la lotta interiore e la ricerca di supporto durante l'anoressia. Illuminazione soffusa, obiettivo da 35mm, bianco e nero con un leggero viraggio seppia, profondità di campo per enfatizzare l'espressione.

Anoressia e Giovani Adulti: Quel Bisogno Vitale di Supporto (Ma Non Troppo!)

Parliamoci chiaro, ragazzi e ragazze: attraversare la fase dei 18-25 anni, quella che gli esperti chiamano “emerging adulthood” (o età adulta emergente, se preferite un termine più nostrano), è un po’ come stare sulle montagne russe. Un sacco di emozioni, cambiamenti, scoperte, ma anche un bel po’ di pressione. E se in questo frullatore ci si mette di mezzo un disturbo alimentare come l’anoressia nervosa, la faccenda si complica parecchio. Ecco, proprio di questo voglio chiacchierare con voi oggi, prendendo spunto da uno studio super interessante che ha provato a capire come i giovani adulti vivono il supporto di famiglia e amici durante questa battaglia.

Lo studio, intitolato “‘I thought if my parents got involved, then they’d make me get better’: emerging adults’ experiences of support from family and friends during anorexia nervosa”, ci apre una finestra su un mondo interiore complesso. E credetemi, le testimonianze raccolte sono oro colato per capire meglio.

L’Isolamento: Quando l’Anoressia Ti Allontana da Tutti

Una delle prime cose che salta all’occhio è un profondo senso di solitudine. Molti dei ragazzi e delle ragazze intervistati hanno raccontato di sentirsi isolati, con pochi amici intimi proprio nel momento in cui ne avrebbero avuto più bisogno. Immaginatevi: magari vi trasferite per l’università, gli amici storici sono lontani, e fare nuove amicizie diventa difficile, soprattutto se l’anoressia vi sussurra all’orecchio di nascondervi, di non farvi vedere mentre mangiate “strano” o non mangiate affatto. Alcuni hanno ammesso che questo isolamento era quasi una scelta, un modo per proteggere i propri comportamenti legati al disturbo. È un paradosso crudele: hai bisogno di aiuto, ma la malattia ti spinge a respingerlo.

Famiglia: Croce e Delizia nel Percorso di Guarigione

E la famiglia? Beh, qui la situazione si fa ancora più intricata. Molti partecipanti hanno espresso una sorta di resistenza al coinvolgimento dei genitori, percepiti, a volte, come parte del problema. Questo non significa che i genitori siano “cattivi”, assolutamente no! Spesso, le dinamiche familiari possono, involontariamente, alimentare il disturbo.

Ad esempio, alcuni giovani hanno raccontato di sentirsi iperprotetti, con poca autonomia. In questo contesto, l’anoressia può diventare, quasi inconsciamente, un modo per riprendere il controllo sulla propria vita, per sentirsi finalmente padroni di qualcosa. “Se non posso decidere della mia carriera o di dove andare, almeno decido cosa e quanto mangiare”, sembra essere il messaggio sottinteso. Altri, al contrario, hanno vissuto una sorta di distacco emotivo in famiglia, sentendosi trascurati. In questi casi, l’anoressia può trasformarsi in un grido disperato di aiuto, un modo per attirare l’attenzione e ricevere quelle cure che sentivano mancare. Pensate a quella frase emblematica che dà il titolo allo studio: “Pensavo che se i miei genitori si fossero coinvolti, allora mi avrebbero fatto stare meglio”. C’è un desiderio di intervento, ma anche una paura profonda di perdere quel poco controllo conquistato.

Una giovane donna, vista di spalle, guarda fuori da una finestra di un dormitorio universitario al tramonto, trasmettendo un senso di solitudine e riflessione. Luce soffusa, stile cinematografico, obiettivo da 35mm, profondità di campo.

Sentire le Emozioni Altrui: Un Carico Pesante o una Risorsa?

Un altro aspetto emerso con forza è la capacità, quasi una spugna, di assorbire le emozioni di familiari e amici. Questo può essere un macigno. Sentire la mamma piangere di notte per la preoccupazione, vedere la frustrazione o la rabbia negli occhi di un nonno che non capisce e magari giudica (“lo fai per attirare l’attenzione”, “sei solo strana”), può generare sensi di colpa devastanti e, paradossalmente, spingere ancora di più verso i comportamenti anoressici come meccanismo di coping.

D’altra parte, c’è un desiderio fortissimo di essere capiti, che la propria sofferenza venga riconosciuta come una malattia reale. “Volevo solo che qualcuno mi dicesse: ‘So che stai male, che sei malata’”, ha confidato una ragazza. Questo riconoscimento è fondamentale, perché legittima il percorso di cura, il bisogno di mangiare di più e riprendere peso non come un capriccio, ma come una necessità. E quando in famiglia c’è qualcuno capace di mantenere la calma, di regolare le proprie emozioni, diventa un faro nella tempesta. Una madre descritta come “calma e stabile” è stata una risorsa immensa per la figlia, un punto fermo in un mondo che sembrava crollare.

Confini Flessibili: Il Desiderio Inespresso di Regole e Libertà

Qui entriamo in un terreno minato: il controllo. I partecipanti hanno raccontato di come i tentativi dei genitori di controllare in modo rigido il cibo, il peso, gli spostamenti, fossero spesso controproducenti. Immaginatevi vostra madre che tira fuori la bilancia a sorpresa: “Sali!”. L’effetto? Spesso una reazione di sfida, un ulteriore ritiro nell’anoressia come forma di autoaffermazione. “Se mi controlli, io mi controllo ancora di più non mangiando”.

Ma attenzione, questo non significa che volessero essere lasciati completamente a sé stessi. Anzi, emerge un bisogno di confini, ma flessibili. Una sorta di “guida non invadente”. Alcuni hanno criticato la troppa accondiscendenza, il permettere troppo, quasi un “abilitare” il disturbo. “Mia zia era più autoritaria, e il mio disturbo alimentare la odiava… era più utile”, ha detto una partecipante, sottolineando come una figura più ferma, ma non oppressiva, potesse essere d’aiuto.

La transizione all’università, l’andare a vivere da soli, è stato per molti un momento chiave. Questa distanza fisica dai genitori, se da un lato poteva inizialmente peggiorare i sintomi (più libertà = più spazio per i comportamenti anoressici), dall’altro ha permesso a molti di sperimentare le conseguenze delle proprie azioni, di capire il proprio potere e la propria responsabilità. È come se dicessero: “Ok, ora sono solo io. Voglio davvero vivere così?”. E anche in questa fase, un monitoraggio discreto da parte dei genitori, un interesse genuino ma non pressante (“Hai comprato qualcosa di buono ultimamente?”), è stato percepito come positivo, un “contenimento” rassicurante.

Un primo piano teso sul volto di una giovane donna seduta a un tavolo da pranzo con la famiglia, l'atmosfera è carica di tensione non detta. Illuminazione drammatica, quasi film noir, duotone seppia e grigio, obiettivo da 50mm.

L’Esperienza Vissuta dagli Altri: Un’Arma a Doppio Taglio

Un aspetto molto interessante riguarda l’esperienza di avere familiari o amici che hanno vissuto o vivono disturbi alimentari. A volte, questo è stato deleterio. Ad esempio, una madre con problematiche alimentari che, implicitamente o esplicitamente, entrava in competizione con la figlia sul peso o sulle quantità di cibo, era vissuta come profondamente inutile, se non dannosa.

Altre volte, invece, l’esperienza vissuta da un familiare o da un amico è stata una risorsa preziosa. Un padre che aveva sofferto di anoressia da giovane “capiva al volo”, sapeva come rispondere, come far sentire la figlia compresa senza bisogno di troppe parole. Lo stesso vale per le amicizie nate all’interno dei percorsi di cura: la condivisione di un’esperienza simile crea un legame fortissimo, un senso di comprensione reciproca che può essere fondamentale per la guarigione.

Cosa Ci Portiamo a Casa da Tutto Questo?

Questo studio ci dice che l’anoressia nervosa in età adulta emergente è un groviglio complesso, dove la malattia si intreccia indissolubilmente con il processo, naturalissimo, di individuazione dai genitori. Non è solo una questione di cibo e peso, ma di identità, autonomia, relazioni.

Per chi sta accanto a una persona in questa situazione, il messaggio sembra essere:

  • Ascoltate, senza giudicare.
  • Cercate di regolare le vostre emozioni: la vostra ansia, seppur comprensibile, può essere un peso.
  • Offrite supporto emotivo e pratico, ma senza sostituirvi o controllare eccessivamente.
  • Incoraggiate l’autonomia e la responsabilità, pur mantenendo una “rete di sicurezza”.
  • Riconoscete che è una malattia, non un capriccio.

E per chi ci sta passando, sappiate che non siete soli. Chiedere aiuto è un atto di coraggio, non di debolezza. E trovare il giusto equilibrio tra il bisogno di supporto e la spinta verso l’indipendenza è una sfida, ma è parte del viaggio verso la guarigione.

Lo studio sottolinea come i clinici possano aiutare i giovani adulti a sviluppare la loro indipendenza e, contemporaneamente, supportare i genitori ad adottare atteggiamenti emotivi e comportamentali utili, che rompano il ciclo di mantenimento dell’anoressia. Ad esempio, lavorando sulle capacità di regolazione emotiva dei genitori e aiutandoli a facilitare livelli di indipendenza e responsabilità appropriati all’età.

Insomma, un tema tosto, ma parlarne è il primo passo. E voi, cosa ne pensate?

Fonte: Springer

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