La Pelle Respira e Ci Parla: Vi Svelo i Segreti dei Gas Corporei Indossabili!
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, al confine tra fantascienza e realtà, per esplorare come la nostra pelle possa diventare una miniera d’oro di informazioni sulla nostra salute. Sì, avete capito bene: la pelle! Non parlo solo di battito cardiaco o movimento, quelli ormai li conosciamo grazie ai nostri smartwatch. Sto parlando di qualcosa di molto più sottile e, se volete, intimo: i gas che il nostro corpo emette continuamente attraverso la cute.
Perché i gas della pelle? Un mondo da scoprire
Pensateci un attimo. Siamo abituati a misurare segnali biofisici come il movimento o il flusso sanguigno con i dispositivi indossabili. Ma c’è un intero universo di potenziali biomarcatori che finora è rimasto quasi inesplorato: le emissioni gassose dal nostro corpo. Finora, analizzare questi gas era roba da laboratori super attrezzati, con macchinari ingombranti e procedure complesse. Immaginatevi cercare di capire cosa emana la vostra pelle mentre fate jogging, con un cromatografo a gas sulle spalle… non proprio comodo, vero?
Il problema principale con molti sensori attuali, specialmente quelli che raccolgono fluidi come il sudore, è che usano adesivi. E la nostra pelle, si sa, si rinnova. Questo significa che dopo circa tre giorni, zac, il sensore va cambiato. Senza contare che la capacità di raccolta del sudore è limitata e i sensori possono “sporcarsi” biologicamente.
La nostra idea: Una “finestra” sulla pelle che respira
E se potessimo creare un dispositivo indossabile, piccolo, comodo, che non ha bisogno di adesivi e che può “annusare” continuamente i gas emessi dalla pelle per settimane, senza bisogno di sostituirlo? Ecco, questa è stata la scintilla che ha acceso la nostra ricerca. Abbiamo chiamato questa tecnologia DBGS (Diffusion-Based Gas Sensors), ovvero sensori di gas basati sulla diffusione.
L’idea di base è geniale nella sua semplicità: abbiamo progettato una sorta di “cavità porosa” che si appoggia delicatamente sulla pelle. Questa cavità è speciale perché permette uno scambio di gas con l’ambiente esterno basato sulla diffusione, ma allo stesso tempo è disegnata in modo da bloccare le correnti d’aria (la convezione) che falserebbero le misurazioni. Pensatela come una finestra semiaperta che lascia passare gli odori ma non gli spifferi.
All’interno e all’esterno di questa cavità, abbiamo posizionato dei sensori di gas. Misurando la differenza di concentrazione tra l’interno (vicino alla pelle) e l’esterno (l’aria ambiente), possiamo calcolare in tempo reale cosa sta emettendo la nostra pelle. E il bello è che lo facciamo con una risoluzione temporale incredibile, nell’ordine dei secondi!
Come funziona? La magia della diffusione (e un po’ di ingegneria)
Per realizzare questa cavità, abbiamo sfruttato la flessibilità della stampa 3D con materiali morbidi e biocompatibili. Questo ci ha permesso di creare geometrie precise, con una struttura a “pilastri”, che facilitano questo scambio diffusivo controllato. Il tutto è integrato nella nostra piattaforma “biosimbiotica”, un sistema che abbiamo sviluppato e testato a lungo: è wireless, si ricarica a distanza (quindi funziona 24/7), non usa adesivi, è sicuro per la pelle e ha una meccanica simile a quella cutanea, tanto da essere quasi invisibile per chi lo indossa.
Abbiamo scelto l’avambraccio dorsale come zona di applicazione, un classico per i biosensori. È una zona che emette gas in modo consistente e non dà troppo fastidio. Certo, la testa o le ascelle emettono di più, ma provate a mettere un sensore sulla fronte tutto il giorno!
Le molecole gassose possono diffondere direttamente attraverso la pelle oppure accumularsi nel sudore delle ghiandole eccrine e nelle ghiandole sebacee, per poi evaporare. Il nostro sistema cattura proprio questi gas.

Inizialmente, ci siamo concentrati sull’umidità, perché il tasso di sudorazione e la perdita d’acqua transepidermica sono biomarcatori importantissimi. Ci dicono molto sull’idratazione, sullo stato psicologico e possono aiutare a monitorare condizioni dermatologiche. E poi, diciamocelo, i sensori di umidità piccoli, a basso consumo e precisi sono facilmente reperibili.
Prima prova: Il sudore sotto la lente d’ingrandimento
Per testare la nostra cavità a diffusione, abbiamo costruito un banco di prova che simulava la pelle umana: una piastra riscaldata alla temperatura cutanea con un piccolo tubicino che “sudava” a comando. Abbiamo variato i flussi di sudore simulato e le condizioni di umidità ambientale.
I risultati sono stati entusiasmanti! Il nostro sistema ha catturato le variazioni di sudore, anche quelle invisibili, in pochi secondi. Una risoluzione temporale e una fedeltà che superano di gran lunga i metodi attuali che raccolgono il sudore liquido in canali microfluidici. Per darvi un’idea, una gocciolina di 0.5 microlitri faceva schizzare la lettura di umidità interna del 24.58% in soli 5 secondi! E la cosa interessante è che, grazie alle leggi di Fick sulla diffusione, la sensibilità è maggiore quando l’umidità ambientale è bassa, ma anche in condizioni estreme il sistema funziona alla grande.
Sfidare il vento: Il nostro design a prova di tempesta (o quasi!)
Una potenziale criticità era: cosa succede se c’è vento? Se vado in bici o corro all’aperto, le correnti d’aria potrebbero “svuotare” la nostra cavità, falsando tutto. Qui entra in gioco l’ingegneria aerodinamica. Abbiamo modellato la cavità per deviare le correnti d’aria esterne. Le simulazioni fluidodinamiche, anche con venti simulati fino a quasi 50 km/h (30 mph), hanno mostrato che l’aria all’interno della cavità rimane calma, con una riduzione della velocità del vento interno fino al 96%! Questo significa che lo scambio di gas rimane dominato dalla diffusione, come volevamo.
Per validare il tutto, abbiamo fatto dei test “sul campo”, o meglio, su una cyclette. Abbiamo confrontato i dati del nostro DBGS con il metodo “gold standard”: dei tamponi assorbenti applicati sulla pelle e pesati a intervalli regolari per misurare il sudore. I risultati? Una corrispondenza eccellente! Ma con un vantaggio enorme per il DBGS: una risoluzione temporale altissima. I tamponi ti danno un valore ogni tot minuti, il nostro sensore ti dà un flusso continuo di dati. Abbiamo anche provato a mettere dei ventilatori per simulare il vento: il DBGS ha continuato a fornire dati affidabili, correlando bene con i tamponi.
Dal laboratorio alla vita reale: Sport, stress e… cibo piccante!
Una volta sicuri delle prestazioni, abbiamo iniziato a esplorare le applicazioni nella vita di tutti i giorni. Immaginate di monitorare il tasso di sudorazione durante una sessione di sollevamento pesi. Abbiamo visto dinamiche interessanti: il sudore non fluttua molto durante lo sforzo intenso, ma ci sono picchi e cali subito prima o subito dopo le serie. Dettagli che prima erano impossibili da cogliere.
O ancora, abbiamo fatto un esperimento curioso: stessa sessione di cyclette, prima al chiuso e poi all’aperto in un ambiente desertico. Il tasso di sudorazione all’aperto era significativamente più basso. Questo può dipendere da tanti fattori: maggiore evaporazione, disidratazione, fatica, temperatura corporea. Il nostro DBGS ha catturato queste differenze.
E che dire di uno sport dinamico come il tennis? Abbiamo monitorato un match di 80 minuti, identificando le diverse fasi: riscaldamento intenso con picco di sudore, lavoro tecnico a bassa intensità con sudorazione ridotta, e poi di nuovo un aumento durante il gioco vero e proprio. È affascinante vedere come il corpo risponde!

La vera forza, però, è il monitoraggio cronico. Grazie all’elettronica biosimbiotica a bassissimo consumo, abbiamo raccolto dati per 135 ore consecutive (5 giorni e mezzo!). Abbiamo visto le variazioni di sudore durante le normali attività lavorative, a casa, durante il sonno (la cosiddetta “perdita insensibile di fluidi”) e durante vari allenamenti (pesi, corsa, bici, tennis), tutto con lo stesso dispositivo, senza ricariche o sostituzioni. Piccoli picchi di sudore durante la giornata? Magari lo stress del traffico mattutino o una riunione impegnativa.
E non finisce qui. Poiché il sistema non ha bisogno di sudore liquido visibile, possiamo catturare eventi fisiologici sottili. Abbiamo fatto un esperimento divertente: far mangiare a un soggetto del cibo “condito” con una salsa piccantissima (1 milione di Scoville!). Un minuto dopo l’ingestione, abbiamo registrato un picco rapidissimo di sudorazione sull’avambraccio, un punto dove di solito il sudore da cibo piccante non si vede! Abbiamo anche osservato la cessazione del sudore dopo un’intensa corsa all’aperto: un calo rapido nei primi 4 minuti, poi più graduale. Questo potrebbe darci indizi su quanto velocemente si disattiva la risposta del sistema nervoso simpatico e torna a posto la temperatura corporea. Addirittura, abbiamo correlato l’aumento del sudore al momento del risveglio con l’aumento della temperatura cutanea, un classico del ritmo circadiano.
Non solo sudore: Spazio a CO2 e VOC!
Ma perché fermarsi all’umidità? Il principio del DBGS si estende a qualsiasi emissione gassosa dalla pelle. E così, abbiamo integrato sensori per il diossido di carbonio (CO2) e per i composti organici volatili (VOC).
La CO2, insieme all’acqua, è uno dei principali prodotti di scarto del nostro metabolismo. Le sue emissioni transcutanee sono già usate in clinica, ad esempio per monitorare la ventilazione nei neonati. I VOC, invece, sono un gruppo eterogeneo di sostanze (etanolo, ammoniaca, acetone, toluene e molte altre) legate al metabolismo di varie sostanze. Possono indicare diabete, stress, disturbi metabolici o epatici. L’acetone, ad esempio, è spesso uno dei VOC più abbondanti emessi dalla pelle.
Abbiamo calibrato i nostri sensori di CO2 e VOC con setup da banco, creando miscele gassose a concentrazioni fisiologiche. Anche qui, tempi di risposta rapidissimi, nell’ordine dei secondi.
Cosa ci dicono questi gas? Esempi concreti
Armati di questi nuovi sensori, abbiamo ripetuto alcuni test. Durante la cyclette, non solo il sudore, ma anche CO2 e VOC aumentavano con l’esercizio aerobico, come ci si aspetta dal metabolismo.
Poi, l’ingestione di alcol. La letteratura descrive un piccolo picco di sudore 10-15 minuti dopo aver bevuto. Ebbene, l’abbiamo visto! Ma non solo: anche i VOC hanno mostrato un aumento ritardato, segno del metabolismo dell’alcol e della sua diffusione attraverso la pelle. E la CO2? Anche quella è aumentata, forse a causa di una leggera soppressione della funzione polmonare indotta dall’alcol, che porta a maggiori concentrazioni nel sangue e quindi sulla pelle. È incredibile come picchi di diverse sostanze, temporalmente correlati, dipingano un quadro così dettagliato di ciò che avviene nel corpo!

Infine, abbiamo sottoposto i soggetti a un test di fatica mentale (l’AX-CPT), che richiede attenzione sostenuta, memoria di lavoro e inibizione della risposta. Anche se di solito si pensa alle ghiandole apocrine per il sudore da stress, anche quelle eccrine (come quelle sull’avambraccio) rispondono agli ormoni dello stress. E infatti, abbiamo visto risposte complesse e affascinanti: in un caso, il sudore è diminuito costantemente durante il test per poi risalire subito dopo. La CO2 ha mostrato un picco iniziale per poi calare. I VOC hanno avuto un andamento simile, con un picco iniziale forse da stress e poi un calo. Questi dati, che mostrano come sudore, CO2 e VOC rispondano in modo diverso ma coordinato allo stress mentale, aprono scenari di studio completamente nuovi.
Cosa ci riserva il futuro?
Credo che i sensori DBGS rappresentino un passo avanti significativo per la medicina digitale. La capacità di monitorare in continuo, con alta risoluzione temporale e in modo multimodale i gas emessi dalla pelle, ci offre una finestra senza precedenti sui nostri processi fisiologici, direttamente nella vita di tutti i giorni. Pensate alle applicazioni: dall’ottimizzazione delle prestazioni sportive alla gestione dello stress, fino al monitoraggio di malattie croniche.
Certo, ci sono delle limitazioni. La dinamica della diffusione può essere influenzata da ambienti estremamente umidi, e c’è sempre un compromesso tra range dinamico e sensibilità quando si progetta l’area di “fuga” della cavità. Ma il potenziale è enorme.
Il lavoro futuro si concentrerà sul testare i dispositivi in una varietà ancora più ampia di condizioni metaboliche, sull’influenza della dieta sulla produzione di VOC e, chissà, magari sul monitoraggio della progressione di malattie come la chetoacidosi diabetica.
Insomma, stiamo solo grattando la superficie (è il caso di dirlo!) di quello che la nostra pelle ha da raccontarci. E sono entusiasta di continuare ad ascoltare!
Fonte: Springer
