Visualizzazione 3D ad alta risoluzione di sinapsi neuronali umane, con placche di amiloide-beta patologica (magenta) che interagiscono con strutture pre-sinaptiche (ciano) e post-sinaptiche (giallo), illuminazione drammatica, stile scientifico fotorealistico, obiettivo 63x olio.

Amiloide-Beta: Angelo Custode o Demone? La Sorprendente Verità dal Cervello Umano Vivo

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel cuore del cervello umano, per parlare di qualcosa che sta al centro di una delle malattie più temute del nostro tempo: l’Alzheimer. Parleremo di amiloide-beta (Aβ) e tau, due proteine che, quando le cose vanno storte, sono considerate le principali responsabili della perdita di sinapsi, quelle connessioni preziose tra i nostri neuroni che ci permettono di pensare, ricordare, sentire.

Ma c’è un “ma”. Sappiamo davvero tutto su come queste proteine si comportano nel nostro cervello, specialmente quando è ancora sano, o nelle primissime fasi della malattia? E cosa succede se giochiamo un po’ con i livelli “normali”, fisiologici, di Aβ nel cervello umano vivo? Le risposte sono state finora elusive, in parte perché studiare il cervello umano in tempo reale è incredibilmente complesso. Modelli animali e cellule in coltura ci hanno insegnato molto, ma non sono la stessa cosa del nostro cervello.

Ecco dove entra in gioco la nostra ricerca, utilizzando uno strumento che trovo semplicemente straordinario: le colture di fettine di cervello umano (HBSC – Human Brain Slice Cultures). Immaginate di poter prendere un minuscolo pezzetto di tessuto cerebrale umano (ottenuto eticamente da chirurgie, tessuto che altrimenti verrebbe scartato) e mantenerlo “vivo” e funzionale in laboratorio per giorni. Questo ci permette di osservare da vicino cosa succede, quasi come avere una finestra diretta sul cervello.

L’Esperimento: Cervello Umano “Vivo” in Laboratorio

Abbiamo utilizzato tessuto neocorticale proveniente da 42 pazienti (età media 58 anni, da 28 a 77) sottoposti a chirurgia per tumori cerebrali. È importante sottolineare che abbiamo usato solo tessuto sano, lontano dal tumore. Abbiamo preparato fettine sottilissime (300µm) contenenti tutti gli strati della corteccia e le abbiamo messe in coltura.

E la cosa incredibile è che funzionano! Abbiamo verificato che in queste fettine, anche dopo 7 giorni in laboratorio (7div), i neuroni (marcati con MAP2 e NeuN) sono ben conservati, ci sono microglia (le cellule immunitarie del cervello, marcate con Iba1 e P2RY12) e astrociti (cellule di supporto, marcate con GFAP), persino in contatto con quelli che sembrano vasi sanguigni. Non solo: abbiamo registrato attività elettrica spontanea dalle sinapsi e siamo riusciti a far “sparare” i neuroni stimolandoli. Certo, c’è una certa perdita di proteine sinaptiche rispetto al tessuto fresco, è inevitabile, ma la vitalità generale è buona (meno del 5% di citotossicità misurata con LDH). Questo ci dà una piattaforma unica per studiare la biologia umana da vicino.

Immagine macro ad alta definizione di una coltura di fettina di cervello umano (HBSC) in una piastra di Petri, illuminazione controllata per evidenziare neuroni e cellule gliali visibili, focus preciso sulle strutture cellulari, obiettivo macro 85mm.

Cosa Rilascia il Nostro Cervello? Biomarcatori Sotto la Lente

Una delle prime cose che abbiamo voluto esplorare è stata: cosa rilasciano queste fettine di cervello nel loro “brodo” di coltura? Abbiamo misurato i livelli di Aβ1-40, Aβ1-42, tau totale e altri potenziali biomarcatori come KLK-6, NCAM-1, Neurogranina e TDP-43, e li abbiamo correlati con le caratteristiche dei donatori (età, regione cerebrale, sesso, genotipo APOE – un noto fattore di rischio genetico per l’Alzheimer).

I risultati sono stati intriganti:

  • Abbiamo notato una tendenza alla diminuzione del rilascio di Aβ1-40 con l’aumentare dell’età del donatore. I livelli di Aβ1-42, invece, sembravano stabili.
  • Il rilascio di tau totale era significativamente più alto nelle fettine provenienti dal lobo temporale rispetto a quelle del lobo frontale. Questo è super interessante, perché la patologia tau nell’Alzheimer spesso inizia proprio nel lobo temporale mediale!
  • Anche i livelli di KLK-6, NCAM-1 e Neurogranina variavano in base alla regione cerebrale.
  • Il sesso sembrava influenzare il rilascio di NCAM-1 e TDP-43, che erano più alti nei maschi.
  • Non abbiamo visto effetti chiari del genotipo APOE sui livelli di Aβ nel mezzo di coltura, anche se c’era un effetto significativo su tau e KLK-6 (ma avevamo pochi campioni per alcuni genotipi).

Questi dati suggeriscono che il modo in cui il nostro cervello rilascia queste proteine non è uniforme, ma dipende da età, regione e sesso, e potrebbe darci indizi sui meccanismi alla base della vulnerabilità a malattie come l’Alzheimer.

Giocare con l’Amiloide: Il Lato “Buono” e Quello “Cattivo”

Ora viene il bello. Cosa succede se modifichiamo attivamente i livelli di Aβ endogeno, quello prodotto dalle cellule stesse, nelle nostre fettine di cervello umano vivo? Abbiamo usato due approcci farmacologici:
1. Un inibitore di BACE1 (LY2886721): BACE1 è un enzima chiave per produrre Aβ. Inibirlo dovrebbe ridurre i livelli di Aβ.
2. Un inibitore delle metalloproteasi (Fosforamidone): Queste proteasi aiutano a degradare l’Aβ. Inibirle dovrebbe aumentare i livelli di Aβ.

Abbiamo trattato le fettine per 7 giorni e poi abbiamo analizzato sia il mezzo di coltura che il tessuto. Come previsto, l’inibitore BACE1 ha ridotto significativamente Aβ1-40 e Aβ1-42 nel mezzo, mentre il Fosforamidone li ha aumentati. I livelli di tau non sono cambiati.

Ma l’effetto sulle sinapsi è stato sorprendente! Abbiamo usato una tecnica potentissima chiamata Array Tomography, che ci permette di visualizzare e contare le sinapsi in 3D ad altissima risoluzione. Ebbene, abbiamo scoperto che sia ridurre che aumentare i livelli fisiologici di Aβ portava a una perdita di puntini pre-sinaptici (marcati con sinaptofisina)! I puntini post-sinaptici (marcati con PSD95) non sembravano risentirne.

Questo suggerisce che l’Aβ, a livelli normali, potrebbe avere un ruolo importante, quasi “omeostatico”, per la stabilità delle sinapsi. Allontanarsi da questo equilibrio, in entrambe le direzioni, sembra essere dannoso. C’è però una sfumatura: quando aumentavamo l’Aβ con il Fosforamidone, vedevamo anche un aumento dell’espressione di alcuni geni sinaptici (SYP, SYT1, SNAP25). Potrebbe essere un tentativo di compensazione? O forse un segno di riorganizzazione sinaptica? Al contrario, la riduzione di Aβ con l’inibitore BACE1 non mostrava questa “risposta” genica, il che potrebbe avere implicazioni negative a lungo termine, come suggerito da studi precedenti sui topi.

Visualizzazione 3D tramite Array Tomography di sinapsi in una fettina di cervello umano. Puntini pre-sinaptici (sinaptofisina, ciano) e post-sinaptici (PSD95, giallo) sono visibili. L'immagine mostra la perdita di puntini ciano dopo trattamento farmacologico, obiettivo 63x olio, alta risoluzione.

L’Attacco dell’Amiloide “Malato”: Cosa Succede Davvero?

Ok, abbiamo visto cosa succede manipolando l’Aβ “normale”. Ma cosa fa l’Aβ che troviamo nel cervello dei pazienti con Alzheimer? Per scoprirlo, abbiamo preparato un estratto solubile da cervelli di pazienti AD post-mortem, ricco di specie di Aβ “patologiche” a basso peso molecolare, note per essere tossiche. Abbiamo anche creato un estratto di controllo, identico ma “ripulito” dall’Aβ (immunodepleto).

Abbiamo esposto le nostre fettine di cervello umano a questi estratti (a concentrazioni molto basse, picomolari, ma biologicamente attive) per 72 ore. Di nuovo, abbiamo usato l’Array Tomography. I risultati?

  • L’estratto contenente Aβ patologico (Aβ+ve) ha causato un aumento dell’Aβ oligomerico nel tessuto delle fettine.
  • Questo Aβ patologico si legava preferenzialmente alle strutture post-sinaptiche (quelle con PSD95).
  • Nonostante si legasse alle post-sinapsi, causava una perdita significativa di puntini pre-sinaptici (sinaptofisina), proprio come la manipolazione dell’Aβ fisiologico!
  • MA, a differenza dell’aumento di Aβ fisiologico, l’esposizione all’Aβ patologico non induceva alcun cambiamento compensatorio nell’espressione dei geni sinaptici.

Questo ci dice che l’Aβ fisiologico e quello patologico agiscono in modo diverso sulle sinapsi umane. L’Aβ patologico sembra sferrare un attacco più “subdolo”, causando danni senza innescare (almeno a breve termine e a livello trascrizionale) meccanismi di difesa o riparazione evidenti a livello genico sinaptico. È anche la prima prova diretta, nel tessuto cerebrale umano vivo, che l’Aβ derivato da pazienti AD si lega preferenzialmente alle post-sinapsi ma danneggia le pre-sinapsi.

Immagine ad alta risoluzione da Array Tomography che mostra Aβ oligomerico patologico (magenta) colocalizzato con strutture post-sinaptiche (PSD95, giallo) in una fettina di cervello umano trattata con estratto AD, mentre i puntini pre-sinaptici (sinaptofisina, ciano) appaiono ridotti. Obiettivo 63x olio, dettaglio microscopico.

Patologia Spontanea: L’Alzheimer Inizia Prima di Quanto Pensiamo?

Un’ultima scoperta affascinante: abbiamo esaminato le fettine “fresche” (appena preparate) di 35 dei nostri donatori per cercare segni spontanei di patologia tipo Alzheimer, anche se nessuno di loro aveva una diagnosi di demenza. Sorprendentemente, abbiamo trovato:

  • Placche di Aβ extracellulari (marcate con OC) nel 17% dei campioni.
  • Segni di patologia tau (aggregati neurofibrillari o filamenti nel neuropilo, marcati con AT8) in quasi un terzo dei campioni (20% con aggregati veri e propri).

Queste patologie erano significativamente più comuni nei donatori più anziani (nessuna trovata sotto i 50 anni). E la cosa ancora più interessante è che queste strutture patologiche (come le placche di Aβ) rimanevano stabili nelle fettine in coltura per almeno 7 giorni e potevamo persino visualizzarle “live” usando coloranti specifici come il Thioflavin-S o il Methoxy-X04.

Inoltre, la presenza di placche tendeva a correlare con un rapporto Aβ1-42/Aβ1-40 più alto nel mezzo di coltura, mentre la presenza di patologia tau correlava significativamente con un rapporto Aβ1-42/Aβ1-40 più alto e con i livelli di KLK-6 rilasciati. Questo apre la porta alla possibilità di studiare le fasi pre-cliniche, silenziose, dell’Alzheimer direttamente nel tessuto umano vivo.

Immagine di immunofluorescenza di una fettina di cervello umano che mostra placche di amiloide-beta (verdi, marcate con MOAB-2) e aggregati neurofibrillari di tau fosforilata (rossi, marcati con AT8) tra i neuroni (blu, marcati con NeuN), evidenziando la patologia spontanea. Obiettivo 25x, campo ampio.

Cosa Ci Portiamo a Casa?

Questa ricerca, per me, è stata un’avventura incredibile. Usando le HBSC, abbiamo potuto osservare da vicino il comportamento dell’Aβ nel contesto più rilevante: il cervello umano adulto vivo. Abbiamo scoperto che l’Aβ ha probabilmente un doppio volto: un ruolo fisiologico, forse protettivo o di mantenimento, a livelli normali, la cui alterazione (sia in più che in meno) danneggia le sinapsi; e un ruolo chiaramente patologico, quando assume forme “malate” come quelle presenti nel cervello AD, che attaccano le sinapsi in modo diverso, legandosi alle post-sinapsi ma distruggendo le pre-sinapsi senza apparenti segnali di allarme genetico immediato.

Questi risultati sottolineano quanto sia complesso il quadro dell’Alzheimer e perché le terapie che puntano semplicemente a eliminare tutto l’Aβ potrebbero non essere la soluzione ideale, o potrebbero avere effetti collaterali inaspettati. Capire le differenze tra Aβ fisiologico e patologico è cruciale.

Le HBSC si confermano uno strumento potentissimo, un ponte tra la ricerca di base e la clinica, che ci permette di fare scoperte impossibili con altri modelli. Certo, ci sono limitazioni (il tessuto proviene da pazienti con tumore, anche se usiamo aree sane), ma la possibilità di studiare risposte umane reali a manipolazioni farmacologiche o all’esposizione a fattori patologici, correlandole con età, sesso, genetica del donatore, è un passo avanti enorme. Spero che questo tipo di approccio ci aiuti a sviluppare terapie più mirate ed efficaci contro l’Alzheimer e altre malattie neurodegenerative.

Fonte: Springer Nature

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