Amazzonia: Non Solo Foresta, Ma un Intreccio Vitale di Popoli, Campagne e Città
L’Amazzonia Sotto i Riflettori: Oltre le Immagini da Cartolina
Parliamoci chiaro: quando pensiamo all’Amazzonia, cosa ci viene in mente? Probabilmente una distesa infinita di verde incontaminato, magari qualche immagine di comunità indigene che vivono in armonia con la natura. Visioni potenti, certo, ma che rischiano di nascondere una realtà molto più complessa e, per certi versi, preoccupante. Nel novembre 2025, con il vertice sul clima COP30 che si terrà a Belém, proprio nel cuore dell’Amazzonia brasiliana, gli occhi del mondo saranno puntati su questa regione cruciale. Ma l’Amazzonia non può aspettare le decisioni della comunità internazionale. Qui, ora, si sta giocando una partita decisiva contro il tempo, per evitare un punto di non ritorno ecologico.
Il problema è che la crisi climatica globale si intreccia in modo inestricabile con problemi locali urgenti: degrado ambientale, disuguaglianze sociali abissali, precarietà urbana dilagante e una violenza spesso silenziosa. Queste realtà, che io e tanti altri vediamo e studiamo ogni giorno, sono profondamente connesse. Non possiamo pensare di salvare la foresta ignorando le persone che la abitano, le loro difficoltà, le loro storie. Dobbiamo superare quelle immagini un po’ romantiche o, al contrario, puramente utilitaristiche (l’Amazzonia come miniera a cielo aperto o campo sterminato per monocolture) che ci portiamo dietro da secoli, figlie di un’eredità coloniale. È ora di fare i conti con la complessità.
Un Mosaico di Vite: Indigeni, Rurali e Urbani Connessi
Pensateci: le immagini classiche dell’Amazzonia spesso ignorano due cose fondamentali. Primo, che quelle foreste “incontaminate” sono in realtà il risultato di millenni di gestione e domesticazione da parte delle popolazioni indigene. Secondo, l’impatto umano oggi è profondo ed esteso. Allo stesso modo, isolare le comunità indigene dal contesto socio-economico più ampio significa non vedere le minacce quotidiane che affrontano, ma anche i contributi enormi che danno, ben oltre i loro territori.
E poi c’è l’elemento che scardina ogni vecchia narrazione: l’Amazzonia oggi è sorprendentemente urbana. Circa l’80% della popolazione vive in città, compreso quasi il 40% della popolazione indigena regionale! Sì, avete letto bene. Manaus, Belém, ma anche centinaia di centri più piccoli. Questa realtà urbana è legata a doppio filo con quella rurale e indigena. Siccità e inondazioni estreme, deforestazione e incendi, inquinamento da miniere, pesticidi, fumo, scarichi fognari… tutto si muove, si diffonde, collega questi mondi. I territori protetti diventano isole assediate da economie legali e illegali. E in questo paesaggio frammentato, prospera la criminalità organizzata. Non possiamo più separare la crisi ambientale da quella sociale. L’Amazzonia è un sistema socio-ambientale complesso, e il suo futuro dipende dal riconoscere questi intrecci.
Tesori Nascosti: Le Sociobioeconomie e la Loro Fragilità
Negli ultimi trent’anni, una delle azioni più importanti per proteggere l’Amazzonia è stata il riconoscimento dei diritti territoriali per le popolazioni indigene e le comunità tradizionali, insieme alla creazione di aree protette. Questi territori, che coprono circa metà del bacino amazzonico, non sono solo cruciali per la conservazione della biodiversità, la riduzione della deforestazione e la regolazione del clima. Sono anche culle di innovazione.
Parlo delle cosiddette sociobioeconomie: sistemi produttivi basati sulla biodiversità, radicati nelle conoscenze e nelle pratiche di gestione delle comunità locali. Pensate all’açaí: da frutto raccolto dalle famiglie rivierasche è diventato un fenomeno economico globale, dando lavoro a centinaia di migliaia di persone. O al cacao amazzonico, con produttori rurali e indigeni che oggi creano cioccolato di classe mondiale. O ancora, alla gestione comunitaria della pesca che ha salvato dall’estinzione il Pirarucu, pesce gigante simbolo dell’Amazzonia, migliorando sicurezza alimentare e reddito per le comunità. Questi sono solo alcuni esempi di un’economia amazzonica più inclusiva e sostenibile.
Tuttavia, anche queste storie di successo affrontano sfide enormi:
- Prezzi ingiusti imposti dagli intermediari.
- Accesso precario o inesistente a infrastrutture logistiche adeguate.
- Costi elevati per monitorare e proteggere i territori dalle attività illegali.
- Pressione crescente da parte dei mercati illegali e della criminalità organizzata.
- Una generale “invisibilità” statistica ed economica rispetto alle grandi commodity come soia e carne bovina, che limita l’accesso a credito e investimenti.
Queste difficoltà non sono semplici “inefficienze di mercato”, ma riflettono disuguaglianze strutturali profonde. E stanno scoraggiando le nuove generazioni dal continuare su questa strada.
Le Città Dimenticate: Cuore Pulsante e Nodo Critico
Torniamo alle città. Come mai, nonostante la loro importanza demografica ed economica, sono quasi assenti dalle discussioni sullo sviluppo e sui problemi ambientali dell’Amazzonia? È un paradosso che ha radici storiche. Molti dei 770 comuni dell’Amazzonia brasiliana sono nati dopo il 1980, spesso piccoli e con enormi difficoltà economiche e di servizi. La precarietà urbana è la norma: pensate che a Belém e Manaus oltre la metà dei residenti vive in insediamenti “subnormali” (favelas).
Questa precarietà urbana alimenta le economie illegali nelle aree rurali e indigene, e viceversa. La criminalità organizzata è in crescita esponenziale, infiltrandosi nel disboscamento, nell’estrazione mineraria illegale, nel traffico di droga, cooptando o costringendo i giovani. C’è una forte connessione tra città e campagna: la gente si muove, le economie interagiscono. Le sociobioeconomie rurali sono la linfa vitale delle economie municipali, ma i comuni faticano a tassare queste attività, spesso informali, rimanendo dipendenti dai trasferimenti statali e federali.
Ci sono due disconnessioni storiche da capire:
- Tra le economie municipali e le grandi economie delle risorse naturali: miliardi di dollari fluiscono attraverso i comuni, ma poco rimane a livello locale per finanziare servizi essenziali (sanità, istruzione, sicurezza, infrastrutture).
- Tra le élite urbane (spesso legate a logiche estrattive) e le preoccupazioni socio-ambientali: questo retaggio storico rende difficile far attecchire politiche di sostenibilità e conservazione a livello locale. Anzi, spesso le tendenze politiche nazionali rafforzano questa disconnessione.
E gli impatti ambientali non risparmiano le città: inquinamento dell’acqua e del cibo da mercurio e pesticidi, aria irrespirabile a causa degli incendi, maggiore vulnerabilità a inondazioni e siccità per chi vive in aree precarie senza infrastrutture adeguate.
Una Nuova Visione: La Governance Policentrica per Unire i Puntini
Allora, che fare? Il futuro dell’Amazzonia, con le sue realtà indigene, rurali e urbane così intrecciate, richiede un cambio di paradigma. La visione coraggiosa che decenni fa ha creato un sistema ambizioso di protezione territoriale e governance ambientale deve ispirare oggi una strategia altrettanto ambiziosa per affrontare le sfide attuali. Dobbiamo salvaguardare i diritti e i territori delle comunità indigene e tradizionali, ma allo stesso tempo estendere la governance ambientale per includere le aree urbane e i paesaggi peri-urbani e rurali circostanti.
Serve un approccio che io definirei policentrico. Cosa significa? Immaginate una rete, non una piramide. Un sistema che coordina gli sforzi a livello regionale (per garantire la salute dell’intero bacino), ma che supporta anche accordi di governance sovrapposti e indipendenti a livelli intermedi (come i bacini idrografici) e locali (territori indigeni, proprietà rurali, associazioni comunitarie). Questo permette di:
- Riflettere la diversità dei contesti sociali e ambientali.
- Incoraggiare iniziative dal basso, mobilitando conoscenze locali.
- Creare “ponti” istituzionali per gestire risorse condivise (come l’acqua di un fiume) che attraversano diversi tipi di territori.
- Coinvolgere attori diversi: comunità, ONG, autorità locali, settore privato.
Ci sono già esempi di successo, come il Collettivo del Pirarucu o la Rete di Sementi dello Xingu, che mostrano come questa collaborazione possa funzionare per migliorare la gestione ambientale, l’accesso al mercato e persino esplorare pagamenti per servizi ecosistemici.
La Sfida Più Grande: Costruire Fiducia e Responsabilità Condivisa
Ma attenzione, non illudiamoci. La sfida più grande non è tecnica o finanziaria. È costruire il capitale sociale necessario per l’azione collettiva tra attori con interessi, storie e visioni del futuro spesso contrastanti. Nessuna somma di denaro decisa alla COP30 potrà risolvere questo nodo. Serve un nuovo “contratto sociale” per l’Amazzonia, che non solo connetta le diverse “immaginazioni” della regione, ma che affronti di petto le strutture di disuguaglianza storica (accesso alla terra, distribuzione delle risorse, potere decisionale) che continuano a spingere la regione verso il punto di non ritorno.
La COP30 deve essere un catalizzatore per questo cambiamento, non la soluzione finale. Deve promuovere una visione in cui la responsabilità per la salute del bacino amazzonico sia davvero condivisa da tutti, dal locale all’internazionale. È tempo di coltivare nuove narrazioni che riconoscano le interdipendenze tra foresta, fiumi, campagne e città, tra ambiente e società. Narrazioni che non nascondano le ingiustizie storiche, ma che valorizzino le soluzioni che emergono dal basso.
Affrontare le sfide sociali dell’Amazzonia non è solo un imperativo morale. È un passo necessario per smantellare quelle disuguaglianze che minano la governance ambientale e, in ultima analisi, gli sforzi per evitare il collasso ecologico di una regione da cui dipendiamo tutti. Dobbiamo agire ora, insieme, riconoscendo che la salvezza dell’Amazzonia passa attraverso il benessere e la dignità di tutte le persone che la chiamano casa.
Fonte: Springer