Alzheimer e Intestino: Una Connessione Inaspettata Rivela Nuovi Indizi?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di veramente affascinante che sta emergendo nel campo della ricerca medica, qualcosa che potrebbe cambiare il modo in cui pensiamo a malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. E se vi dicessi che il nostro intestino potrebbe avere un ruolo più importante di quanto immaginassimo nella salute del nostro cervello? Sembra fantascienza, ma seguitemi in questo viaggio alla scoperta di uno studio esplorativo davvero intrigante.
Alzheimer: Non Solo una Questione di Cervello?
Sappiamo tutti che l’Alzheimer è caratterizzato principalmente da problemi nel cervello: l’accumulo di placche di proteina beta-amiloide (Aβ), grovigli di proteina tau iperfosforilata e neurodegenerazione. Ma c’è di più. Sempre più spesso sentiamo parlare di sintomi gastrointestinali associati a questa malattia, e alcuni studi suggeriscono addirittura che potrebbero essere dei campanelli d’allarme precoci. Inoltre, ormai è quasi un dato di fatto: il microbiota intestinale (l’insieme dei batteri che popolano il nostro intestino) dei pazienti con Alzheimer è diverso da quello delle persone sane, spesso più ricco di batteri pro-infiammatori. Addirittura, sembra che questo profilo batterico sia collegato ai marcatori di amiloide nel cervello rilevati tramite liquido cerebrospinale e PET (Tomografia a Emissione di Positroni).
Ma la domanda sorge spontanea: se l’amiloide si accumula nel cervello, potrebbe farlo anche altrove? Sorprendentemente, la proteina precursore dell’amiloide è presente anche nei neuroni e nelle cellule gliali dell’intestino, e depositi di Aβ sono stati trovati nel colon di pazienti con Alzheimer confermato post-mortem e anche in alcuni anziani sani. Questo ci fa pensare: e se il processo patologico dell’Alzheimer iniziasse o si sviluppasse anche fuori dal cervello? Finora, però, mancavano dati in vivo, cioè su persone viventi, che confermassero questa ipotesi per il colon.
Lo Studio: Scannerizzare Cervello e… Colon!
Ed è qui che entra in gioco lo studio di cui vi parlo oggi, pubblicato su Springer. Un gruppo di ricercatori ha avuto un’idea audace: utilizzare un tracciante specifico per l’amiloide, il [18F]flutemetamol (FMM), normalmente usato per le scansioni PET cerebrali, per vedere se si accumulasse anche nel colon di persone seguite in una clinica della memoria. L’obiettivo era duplice: quantificare questo accumulo nel colon e vedere se fosse collegato all’amiloidosi cerebrale e alla composizione del microbiota intestinale.
Hanno coinvolto 45 partecipanti (tra i 55 e gli 80 anni, con diversi livelli di funzione cognitiva, dai sani ai pazienti con demenza) che si sono sottoposti a:
- Scansioni PET cerebrali e addominali con FMM (una fase “precoce” a 40 minuti e una “tardiva” a 120 minuti dall’iniezione del tracciante).
- Tomografia computerizzata (TC) addominale.
- Risonanza magnetica (MRI) cerebrale.
- Analisi del microbiota intestinale da campioni di feci.
I partecipanti sono stati poi divisi in due gruppi: amiloide-positivi (A+) e amiloide-negativi (A-), in base alla quantità di FMM rilevata nel loro cervello.
I Risultati: Cosa Abbiamo Scoperto?
E qui arriva il bello! I risultati sono stati davvero interessanti.
Primo: è emerso che i soggetti A+ (quelli con più amiloide nel cervello) mostravano un maggiore accumulo di FMM nel colon rispetto ai soggetti A-, specialmente nella fase precoce della scansione (a 40 minuti). Questo risultato è stato confermato sia usando un metodo di misurazione manuale (tracciando specificamente la parete del sigma, una parte del colon) sia con un metodo automatico che analizzava l’intero colon. Nella fase tardiva (a 120 minuti), invece, non si sono viste differenze significative. Perché proprio nella fase precoce? L’ipotesi è che la barriera tra sangue e intestino sia meno “rigida” di quella tra sangue e cervello, permettendo al tracciante di raggiungere il suo “bersaglio” (qualunque esso sia) più rapidamente nel colon. Ma servono altri studi per confermarlo.
Secondo: come previsto, il microbiota intestinale dei soggetti A+ era diverso. In particolare, avevano una minore “uniformità” nella distribuzione delle specie batteriche (indice di Pielou più basso), una riduzione significativa del genere Eubacterium halii group (noto per le sue proprietà anti-infiammatorie e per la produzione di acidi grassi a catena corta, importanti per la salute intestinale) e un aumento di altri generi come Coprobacillus, Eisenbergiella, UC5-1-2E3, Turicibacter, Hungatella. Alcuni di questi batteri sono stati associati in altri studi a problemi cognitivi, a malattie come il Parkinson (che condivide alcune caratteristiche con l’Alzheimer) o ad alterazioni metaboliche.
Il Collegamento: Tracciante nel Colon e Batteri Intestinali
Ma la cosa forse più intrigante è stata trovare una correlazione tra l’accumulo del tracciante nel colon e la composizione del microbiota. In particolare, un’alta abbondanza del genere UC5-1-2E3 era associata a un maggiore accumulo di FMM nel colon (misurato con entrambi i metodi), soprattutto nel gruppo A+. Anche se lo studio non può dimostrare con certezza che l’accumulo di FMM nel colon sia dovuto specificamente a depositi di amiloide “umano”, suggerisce una possibile associazione tra questo fenomeno e i batteri intestinali.
Come si spiega? Ci sono diverse ipotesi affascinanti. Alcuni batteri producono essi stessi delle proteine amiloidi che hanno una struttura simile a quelle umane e potrebbero favorire l’aggregazione delle nostre proteine o scatenare risposte infiammatorie. Inoltre, il nostro sistema immunitario produce fisiologicamente amiloide in risposta a invasioni microbiche. Se la barriera intestinale è compromessa (cosa che accade in diverse malattie neurologiche, incluso l’Alzheimer), i batteri potrebbero “attraversare” e attivare il sistema immunitario locale, promuovendo la produzione di amiloide proprio lì, nell’intestino. È interessante notare che UC5-1-2E3 è stato associato in un modello animale a una ridotta protezione della mucosa intestinale.
Cosa Significa Tutto Questo? Cautela ed Entusiasmo
Questo studio è il primo, a nostra conoscenza, ad usare un tracciante PET per l’amiloide per indagare il coinvolgimento di un organo periferico come il colon nella fisiopatologia dell’Alzheimer nell’uomo. È un passo avanti importante perché rafforza l’idea dell’asse intestino-cervello, un concetto già esplorato per altre malattie come il Parkinson, dove si ipotizza che la patologia possa addirittura iniziare nell’intestino e “risalire” al cervello tramite il nervo vago.
Certo, siamo ancora in una fase esplorativa. Lo studio ha dei limiti: il campione è piccolo, soprattutto il gruppo A+, e non abbiamo la prova definitiva (come una biopsia) che l’accumulo di FMM nel colon sia effettivamente dovuto ad amiloide. Inoltre, il protocollo PET era ottimizzato per il cervello, non per l’addome. Serviranno studi più ampi e specifici per confermare questi risultati e capire la natura esatta di questo accumulo nel colon. Bisognerà anche considerare meglio fattori come l’età e il genotipo APOE ε4 (un noto fattore di rischio per l’Alzheimer), che non erano perfettamente bilanciati tra i gruppi A+ e A- e potrebbero influenzare sia le immagini PET che il microbiota.
Nonostante queste cautele, i risultati sono estremamente promettenti. Ci forniscono una prima evidenza in vivo di un possibile legame tra ciò che accade nel cervello (amiloidosi) e ciò che accade nell’intestino (accumulo di tracciante e alterazioni del microbiota) in persone a rischio o con problemi di memoria. Capire meglio come il microbiota intestinale influenzi la salute dell’intestino e del cervello potrebbe aprire la strada a nuove strategie terapeutiche e preventive per l’Alzheimer, magari proprio agendo sull’intestino. Il viaggio è appena iniziato, ma la direzione è senza dubbio affascinante!
Fonte: Springer