Fotografia macro di un pilastro implantare in titanio dorato appoggiato su un piano riflettente, con focus selettivo sulla connessione interna, illuminazione da studio per esaltare la texture metallica, focale 100mm, alta definizione dei dettagli.

Pilastri Impiantari: Altezza e Tempismo Giusti per Salvare l’Osso! La Mia Analisi di Uno Studio Chiave

Ehilà, appassionati di sorrisi smaglianti e soluzioni dentali all’avanguardia! Oggi voglio portarvi con me nel cuore di una questione che, ve lo assicuro, tiene banco tra noi addetti ai lavori: la perdita ossea marginale (MBL) attorno agli impianti dentali. Sembra un dettaglio tecnico, vero? Eppure, fa una differenza enorme per la durata e il successo di un impianto. Parliamoci chiaro: quando mettiamo un impianto, vogliamo che resti lì, solido e funzionale, il più a lungo possibile. E uno dei nemici silenti è proprio questa perdita ossea iniziale, un processo di rimodellamento che avviene nel primo anno e che non è legato a infezioni, ma a un mix di fattori chirurgici e protesici.

La Domanda da Un Milione di Dollari: Come Minimizzare la Perdita Ossea?

Mi sono sempre chiesto, e con me tanti colleghi, se ci fosse una “formula magica” per ridurre al minimo questo fenomeno. Ebbene, uno studio clinico randomizzato, di cui vi parlerò oggi come se fossi stato lì a raccogliere i dati, ha cercato di fare luce proprio su questo. L’obiettivo? Capire quale fosse la combinazione ideale tra altezza del pilastro intermedio (quel componente che fa da tramite tra l’impianto vero e proprio e la corona) e il momento del suo posizionamento. Immaginatelo come un piccolo ma fondamentale ingranaggio in un meccanismo complesso.

Lo studio ha coinvolto 54 pazienti, per un totale di 60 impianti su denti posteriori. Abbiamo creato sei gruppi, un po’ come in una competizione, per vedere chi se la cavava meglio. I pilastri intermedi avevano altezze diverse (1.5 mm, 2 mm, 3 mm) e venivano messi o subito, durante l’intervento di inserimento dell’impianto (chirurgia 1, che chiameremo “immediato”), oppure in un secondo momento (chirurgia 2, o “ritardato”).
I gruppi erano quindi:

  • GruppoA3I: altezza 3 mm, posizionamento immediato
  • GruppoA2I: altezza 2 mm, posizionamento immediato
  • GruppoA15I: altezza 1.5 mm, posizionamento immediato
  • GruppoA3D: altezza 3 mm, posizionamento ritardato
  • GruppoA2D: altezza 2 mm, posizionamento ritardato
  • GruppoA15D: altezza 1.5 mm, posizionamento ritardato

Abbiamo monitorato la situazione con radiografie in cinque momenti chiave: al momento dell’inserimento dell’impianto, al posizionamento della corona (T1), e poi a 3 (T2), 6 (T3) e 12 mesi (T4) dopo il carico protesico. Volevamo vedere nero su bianco quanta perdita ossea ci fosse.

I Risultati Che Fanno la Differenza: Altezza e Tempismo Contano Eccome!

Ebbene sì, i risultati parlano chiaro! Dopo 12 mesi, i campioni indiscussi sono stati i gruppi A3I (pilastro da 3 mm immediato) con una perdita ossea di soli 0.13 ± 0.11 mm, e A2I (pilastro da 2 mm immediato) con 0.24 ± 0.11 mm. Tra questi due, nessuna differenza statisticamente significativa, il che significa che entrambi sono ottimi!
Al contrario, tutti gli altri gruppi – quelli con pilastro da 1.5 mm immediato (A15I: 0.70 ± 0.12 mm) e tutti i gruppi con posizionamento ritardato, indipendentemente dall’altezza (A3D: 0.66 ± 0.11 mm; A2D: 0.62 ± 0.12 mm; A15D: 0.78 ± 0.11 mm) – hanno mostrato una perdita ossea significativamente maggiore. E tra questi “perdenti”, non c’erano grandi differenze: andavano tutti peggio dei primi due.

Quindi, la morale della favola, almeno dopo un anno, è che posizionare immediatamente un pilastro intermedio di altezza compresa tra 2 e 3 mm sembra essere la strategia vincente per conservare al meglio l’osso attorno all’impianto. Un pilastro da 1.5 mm, anche se messo subito, non regge il confronto, e aspettare a mettere il pilastro (protocollo in due fasi) sembra proprio non pagare in termini di MBL, a prescindere dall’altezza scelta.

Primo piano macro di un modello di impianto dentale con pilastro intermedio, illuminazione controllata per evidenziare i dettagli, focale 90mm, simulando la precisione del lavoro odontoiatrico.

Perché il “One Abutment – One Time” e l’Altezza Giusta Funzionano?

Questi risultati, amici miei, non mi sorprendono del tutto. Il concetto di “one abutment – one time”, cioè mettere il pilastro definitivo subito e non toccarlo più, è una strategia che mira a stabilizzare i tessuti attorno all’impianto. Ogni volta che si svita e riavvita un pilastro di guarigione o provvisorio, si disturba la barriera mucosa, si può causare una migrazione apicale del tessuto connettivo e, di conseguenza, un rimodellamento osseo. Mantenere stabile la connessione impianto-pilastro fin dall’inizio, invece, potrebbe favorire una guarigione ottimale dei tessuti duri.

E l’altezza? Beh, pensate alla famosa ampiezza biologica. Attorno agli impianti, come attorno ai denti naturali, si forma un sigillo biologico. Se il pilastro è troppo corto (meno di 2 mm, come suggerisce la letteratura e come conferma questo studio), l’interfaccia tra pilastro e restauro protesico si trova troppo vicina all’osso. Questo può “invadere” lo spazio necessario per l’ampiezza biologica, portando l’osso a ritirarsi per ricreare tale spazio. Un pilastro più alto sposta questa interfaccia più coronalmente, più lontano dall’osso, e questo sembra fare un gran bene!

Nello studio sono stati considerati anche altri fattori, come il platform switching (quando il diametro del pilastro è inferiore a quello dell’impianto, creando uno “scalino”), il diametro dell’impianto, lo spessore dei tessuti molli e la qualità ossea. Interessante notare che, sebbene il platform switching sia generalmente considerato benefico, in questo studio la sua entità non ha mostrato un’influenza significativa sui livelli ossei marginali, né l’ha avuta il diametro dell’impianto. Anche lo spessore dei tessuti molli e la qualità dell’osso non hanno inciso significativamente sulla MBL in questo specifico contesto, forse perché il posizionamento sottocrestale dell’impianto (1.5 mm sotto il livello dell’osso) e un protocollo di fresaggio personalizzato hanno già contribuito a creare condizioni di partenza favorevoli.

Il Momento Cruciale della Perdita Ossea

Un altro dato che mi ha colpito, e che conferma quanto già sospettavamo, è che la maggior parte della perdita ossea avviene molto presto, principalmente tra l’intervento di inserimento dell’impianto e il posizionamento della corona (T1). Questo è un periodo critico! Alcuni studi definiscono una soglia di 0.5 mm di MBL accumulata entro i primi 6 mesi dal carico come un indicatore di possibile progressione verso problemi futuri. Ebbene, in questo studio, tutti i gruppi, tranne i nostri “campioni” A3I e A2I, superavano questa soglia critica a 6 mesi. Questo ci dice che la scelta di pilastri corti (1.5mm) messi subito, o di pilastri di qualsiasi altezza messi in un secondo momento, potrebbe non essere la più saggia a lungo termine.
Al contrario, l’uso immediato di pilastri da 2-3 mm riduce significativamente la MBL proprio in questa fase critica, mantenendo i valori sotto la soglia di allarme per tutto il periodo di follow-up.

Immagine radiografica digitale intraorale, stile documentaristico scientifico, che mostra impianti dentali con misurazioni del livello osseo marginale, messa a fuoco precisa sui dettagli ossei, 60mm.

Limiti dello Studio e Prospettive Future

Come ogni ricerca scientifica che si rispetti, anche questa ha i suoi limiti. Le radiografie, per quanto standardizzate, sono bidimensionali e quindi valutano la MBL solo sul piano mesio-distale. Inoltre, c’era una certa variabilità nel diametro degli impianti e nell’entità del platform switching, anche se l’analisi statistica non ha evidenziato un effetto significativo. Un altro punto è che, sebbene non statisticamente significativo, c’era una certa differenza media nello spessore dei tessuti molli tra i gruppi. Il follow-up di 12 mesi, seppur copra il periodo di maggiore MBL, potrebbe non essere sufficiente per trarre conclusioni definitive a lunghissimo termine. E, aspetto metodologico da non sottovalutare, non è stato fatto un calcolo a priori della dimensione del campione.

Quindi, cosa ci portiamo a casa? Sicuramente dati preziosi! Ma la scienza è un percorso continuo. Serviranno studi futuri, randomizzati, con follow-up più lunghi e campioni più ampi per confermare o smentire definitivamente i benefici dell’utilizzo di pilastri intermedi da 2 mm o più, posizionati immediatamente al momento dell’inserimento dell’impianto, per i restauri singoli.

In Conclusione: La Mia Dritta da “Insider”

Tirando le somme, questo studio suggerisce fortemente che, per le corone singole su impianti, la strategia migliore per minimizzare la perdita ossea perimplantare dopo un anno è quella di utilizzare un pilastro intermedio singolo da 3 mm posizionato immediatamente durante l’intervento chirurgico. Questa opzione si è dimostrata statisticamente superiore rispetto al posizionamento immediato di un pilastro da 1.5 mm, e non ha mostrato differenze significative rispetto all’uso immediato di un pilastro da 2 mm (che quindi resta un’ottima alternativa).
Inoltre, e questo è un messaggio forte e chiaro, il posizionamento immediato di un pilastro singolo da 2-3 mm ha dato risultati migliori in termini di MBL rispetto al posizionamento ritardato di pilastri di qualsiasi altezza (1.5 mm, 2 mm, o 3 mm).

Quindi, la prossima volta che sentirete parlare di impianti, ricordatevi che anche i “piccoli” dettagli, come l’altezza di un pilastro e il momento in cui viene messo, possono fare una grande, grandissima differenza per la salute e la longevità del vostro sorriso! È un campo in continua evoluzione, e io sono qui per tenervi aggiornati!

Fonte: Springer

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