Un gruppo di faraone (Numida meleagris) di razza Lavender in un allevamento semi-intensivo nel Ghana settentrionale, razzolano su terreno terroso vicino a un riparo tradizionale fatto di fango e paglia. Luce solare diretta del mezzogiorno che crea ombre nette. Fotografia naturalistica, obiettivo teleobiettivo zoom 100-400mm, scatto rapido per catturare il movimento naturale degli uccelli, alta definizione.

Faraone nel Cuore del Ghana: Tra Sfide Climatiche e Speranze Rurali

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio un po’ insolito, nel cuore rurale del Ghana settentrionale. Parleremo di un animale affascinante e fondamentale per la vita di molte comunità locali: la faraona (Numida meleagris). Magari l’avete vista qualche volta, con quel suo piumaggio punteggiato e l’aria un po’ altera. Beh, in Ghana non è solo un volatile particolare, ma una vera e propria ancora di salvezza economica e nutrizionale.

Recentemente mi sono imbattuto in uno studio interessante (trovate il link alla fine!) che ha cercato di capire meglio come funziona l’allevamento di faraone in tre città del nord del Ghana: Dungu, Kula e Golinga. Perché è importante? Perché queste zone sono tra le più povere del paese e l’agricoltura, inclusa la zootecnia, è la linfa vitale per la gente. Ma non solo: sono anche aree molto vulnerabili ai capricci del cambiamento climatico. Lo studio voleva proprio far luce su come se la cavano questi allevatori, quali sfide affrontano, come gestiscono la salute degli animali e come il clima che cambia sta influenzando tutto questo. E credetemi, quello che emerge è un quadro complesso, fatto di difficoltà ma anche di tanta resilienza.

Chi sono gli allevatori di faraone nel Nord del Ghana?

La prima cosa che salta all’occhio è che non c’è un “allevatore tipo”. L’età varia parecchio tra le diverse comunità: a Dungu sono più giovani (30-41 anni), a Golinga di mezza età (42-55) e a Kula ancora più giovani (18-29). La maggior parte, comunque, rientra in questa fascia attiva della vita. Quasi tutti sono sposati, un dato che riflette forse le dinamiche sociali di queste aree rurali.

Un altro aspetto interessante è l’istruzione: la stragrande maggioranza ha un’educazione non formale. Questo ci dice molto sulle opportunità disponibili in queste regioni. E qual è la loro occupazione principale? Sorpresa (o forse no): l’agricoltura, in particolare la coltivazione dei campi. L’allevamento di faraone è spesso un’attività secondaria ma cruciale.

Un dato che mi ha colpito: nessuno degli allevatori intervistati (ben 137!) ha ricevuto finanziamenti esterni, né dal governo né da ONG. Fanno tutto con le proprie forze, autofinanziandosi. Questo la dice lunga sulla necessità di supporto mirato. L’esperienza nell’allevamento varia molto, da 1 a oltre 35 anni, segno che è una pratica tramandata ma anche intrapresa da nuove generazioni.

Come allevano le faraone? Uno sguardo alle pratiche

Le faraone vengono allevate principalmente per due motivi: vendita e consumo domestico. Carne e uova rappresentano una fonte preziosa di proteine e un’entrata economica importante, specie per far fronte a spese impreviste. I prezzi? Variano significativamente: un adulto può costare più di 69 Cedi ghanesi (la valuta locale), i piccoli tra i 9 e i 30 Cedi, mentre le uova (sia fertili che da tavola) si aggirano sui 4-4.5 Cedi. Sembra che vendere le uova sia spesso più redditizio che vendere gli animali adulti, forse per l’alta richiesta e le difficoltà nella schiusa naturale.

Gli allevamenti non sono enormi, le dimensioni dei gruppi variano da 10 a 60 capi. La razza più diffusa è la Lavender, apprezzata per la produzione sia di carne che di uova. Il metodo di allevamento prevalente è quello semi-intensivo: gli animali razzolano all’aperto durante il giorno ma hanno dei ricoveri per la notte. Questi ripari sono quasi sempre strutture tradizionali, spesso semplici capanne di fango. Solo una piccolissima percentuale a Kula usa ripari migliorati o non ne fornisce affatto.

Scena rurale nel Ghana settentrionale, un piccolo gruppo di faraone di razza Lavender razzola liberamente su terreno terroso vicino a un semplice riparo tradizionale in fango sotto un albero spoglio. Luce naturale del tardo pomeriggio che crea lunghe ombre. Obiettivo grandangolare 24mm, messa a fuoco nitida sul gruppo di uccelli e sul riparo, stile documentaristico.

L’alimentazione è un altro tassello importante. Oltre a quello che trovano razzolando, gli allevatori forniscono mangime supplementare. Qui le cose si fanno interessanti: alcuni usano mangimi commerciali specifici per faraone, altri (soprattutto a Kula) usano mangimi per polli broiler o ovaiole, probabilmente per questioni di disponibilità e costo. Quasi tutti integrano la dieta con cereali locali come mais, miglio o sorgo, prodotti spesso dalle loro stesse coltivazioni. E l’acqua? Fondamentale, soprattutto con il clima caldo. Viene fornita, ma le fonti sono principalmente stagni o fiumi, le stesse usate spesso dalle comunità per il proprio fabbisogno, il che solleva questioni sulla qualità.

Le spine nel fianco: Malattie, mortalità e altre sfide

E qui arriviamo alle note dolenti. La sfida più grande, riportata quasi all’unisono, è l’altissima mortalità dei piccoli (i “keets”). Pensate che in tutte e tre le città, le perdite superano spesso il 50%! Un numero enorme che compromette seriamente la produttività e il reddito. Questo dato è tristemente confermato da studi precedenti nella stessa regione e in altre parti dell’Africa.

Quali sono i segnali di malattia più comuni? Le ali cadenti (wing drooping) sono un sintomo spesso osservato. Per prevenire, gli allevatori puntano sull’igiene e sulla vaccinazione, anche se la frequenza (spesso solo una volta l’anno) e le modalità (molti vaccinano da soli, usando un mix di trattamenti moderni e tradizionali) potrebbero non essere ottimali. L’accesso a veterinari qualificati è un altro grosso problema.

Ma non ci sono solo le malattie. Per gli adulti, altre grosse sfide sono la predazione (da parte di serpenti, cani, rapaci…) e la difficoltà nel “domare” le faraone, che mantengono un carattere selvatico. A Kula, anche i furti rappresentano un problema significativo. Insomma, allevare faraone non è una passeggiata.

Il cambiamento climatico bussa alla porta (e al pollaio)

Un aspetto cruciale indagato dallo studio è l’impatto del cambiamento climatico. La buona notizia è che tutti gli allevatori intervistati sono consapevoli del fenomeno. La maggior parte ha una conoscenza “buona” o “media” del problema. E cosa notano di più? I cambiamenti nelle temperature ambientali.

Ma l’effetto più profondo che percepiscono sulla loro attività è la rapida diffusione delle malattie. Sembra proprio che il clima che cambia stia creando condizioni più favorevoli per patogeni e vettori, rendendo gli animali più vulnerabili. Questo si traduce in maggiori perdite (la mortalità legata al clima varia tra il 20% e il 50%) e, di conseguenza, in un aumento dei costi per la prevenzione e la gestione sanitaria. È un circolo vizioso: il clima peggiora le condizioni sanitarie, il che aumenta i costi per gli allevatori che già faticano a far quadrare i conti.

Primo piano di una faraona adulta (Numida meleagris) che mostra segni di malessere, come piumaggio arruffato e ali leggermente cadenti, in un contesto rurale del Ghana. Luce naturale diffusa. Obiettivo macro 90mm, messa a fuoco precisa sull'occhio dell'animale, alta definizione dei dettagli del piumaggio, sfondo sfocato per isolare il soggetto.

Cosa ci dicono i dati più a fondo?

Lo studio ha usato anche un’analisi statistica chiamata Analisi delle Corrispondenze Multiple (MCA) per vedere come diverse caratteristiche (età, istruzione, tipo di mangime, ecc.) si relazionano tra loro. È emerso che Dungu e Golinga sono molto simili per quanto riguarda le pratiche di allevamento e le caratteristiche degli allevatori, forse per via di vincoli economici o ambientali comuni. Kula, invece, sembra essere un po’ diversa, più eterogenea. Fattori come il tipo di mangime usato e l’età dell’allevatore sono risultati particolarmente importanti per spiegare le differenze osservate. Questo suggerisce che interventi mirati potrebbero dover considerare queste specificità locali e generazionali.

Guardando al futuro: Cosa serve per sostenere questi allevatori?

Allora, cosa possiamo portarci a casa da questo spaccato sulla vita degli allevatori di faraone nel Ghana settentrionale? Prima di tutto, che nonostante sia spesso un’attività secondaria e con bassa produttività “ufficiale”, l’allevamento di faraone è fondamentale per il reddito e la nutrizione delle famiglie rurali. Merita attenzione e supporto.

Le sfide sono tante: la mancanza di supporto finanziario, le pratiche di gestione e alloggio spesso subottimali, l’altissima mortalità dei piccoli, le malattie, la predazione e, non ultimo, l’impatto crescente del cambiamento climatico.

Cosa si può fare? Lo studio suggerisce alcune piste importanti:

  • Migliorare l’accesso degli allevatori a conoscenze e risorse per gestire meglio le malattie e adattarsi al clima.
  • Promuovere la ricerca sulle razze locali di faraone per migliorarne la crescita, la resistenza alle malattie e il benessere generale.
  • Potenziare i servizi di divulgazione agricola.
  • Fornire formazione mirata su tecniche moderne, prevenzione delle malattie e strategie di adattamento climatico.

In sostanza, c’è bisogno di un approccio integrato che dia agli allevatori gli strumenti per rendere questa attività più sostenibile e resiliente. Perché sostenere l’allevamento di faraone significa sostenere la vita e il futuro di intere comunità in una delle regioni più fragili del Ghana. È una sfida complessa, ma necessaria per contribuire agli obiettivi più grandi di sconfiggere fame e povertà.

Fonte: Springer

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