Immagine fotorealistica, obiettivo macro 100mm, alto dettaglio, messa a fuoco precisa, illuminazione controllata, che mostra un singolo batterio Akkermansia muciniphila vicino a cellule gengivali umane, a simboleggiare il suo ruolo benefico nella salute parodontale.

Akkermansia Muciniphila: Il Batterio “Amico” che Combatte la Parodontite Sconfiggendo Porphyromonas Gingivalis

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di affascinante che sta emergendo dalla ricerca scientifica e che riguarda la nostra salute orale, in particolare la lotta contro quella fastidiosa e diffusa malattia che è la parodontite. Sapete, quella condizione infiammatoria cronica che, se trascurata, può portare alla perdita dei denti e che è persino collegata a problemi di salute più generali come malattie cardiovascolari, diabete e Alzheimer? Ebbene sì, colpisce una fetta enorme della popolazione mondiale (si parla del 45-50%!).

Il problema principale alla base della parodontite è uno squilibrio nel microbiota orale, cioè nell’insieme di batteri che popolano la nostra bocca. Quando questo equilibrio si rompe (disbiosi), alcuni batteri “cattivi” prendono il sopravvento e iniziano a fare danni. Tra questi, uno dei protagonisti indiscussi è il Porphyromonas gingivalis (che chiameremo Pg per comodità).

Il “Cattivo” della Storia: Porphyromonas gingivalis (Pg)

Questo Pg è un batterio anaerobico Gram-negativo, considerato un “patogeno chiave” della parodontite. È un vero osso duro perché ha sviluppato strategie subdole per sopravvivere e prosperare a nostre spese. Pensate che produce enzimi chiamati gingipaine che possono:

  • Degradare le nostre molecole di segnalazione immunitaria (citochine/chemochine), paralizzando di fatto le difese.
  • Rompere le giunzioni tra le cellule delle gengive, danneggiando la barriera protettiva.
  • Mascherarsi o addirittura distruggere i recettori sui nostri macrofagi (le cellule immunitarie “spazzine”) per evitare di essere “mangiato” (fagocitato).

Non solo, Pg è capace di sfruttare i nostri stessi sistemi di sorveglianza immunitaria (come i recettori Toll-like, TLR, e i recettori del complemento) per degradare una proteina protettiva fondamentale chiamata MyD88, mandando in tilt la nostra risposta immunitaria. Insomma, un vero sabotatore!

Le terapie attuali, come la pulizia profonda dal dentista (scaling e root planing), gli antibiotici o i collutori antimicrobici, hanno i loro limiti: possono causare sensibilità dentale, diffondere batteri nel sangue e portare a resistenze agli antibiotici. Ecco perché la ricerca sta esplorando nuove strade, magari sfruttando il nostro stesso sistema immunitario o cercando di ripristinare l’equilibrio del microbiota.

L’Eroe Inaspettato: Akkermansia muciniphila (Am)

Ed è qui che entra in gioco un altro batterio, un nome che forse non conoscete ma che sta facendo molto parlare di sé: Akkermansia muciniphila (Am). Si tratta di un batterio Gram-negativo, anch’esso anaerobico, che vive normalmente nel nostro intestino ed è considerato un “probiotico di nuova generazione”. La sua riduzione o assenza è stata collegata a diverse malattie, tra cui tumori, disturbi metabolici e malattie infiammatorie.

Recentemente, alcuni studi hanno iniziato a suggerire che Am, sia vivo che pastorizzato (cioè trattato termicamente), potrebbe avere effetti benefici anche contro la parodontite. Ma come? Qual è il meccanismo? È quello che si è cercato di capire in uno studio recente molto interessante. L’ipotesi era che Am potesse aiutare la nostra salute parodontale potenziando le difese immunitarie e modificando il microbiota orale.

Macro fotografia, obiettivo da 90 mm, dettagli elevati, messa a fuoco precisa, illuminazione controllata, che mostra il tessuto gengivale infiammato accanto a una radice di dente sana, illustrando gli effetti della parodontite.

Cosa Hanno Scoperto i Ricercatori? L’Esperimento sui Topi

Per verificare questa ipotesi, i ricercatori hanno utilizzato un modello animale, dei topolini. Ad alcuni di questi topolini è stato somministrato Pg per indurre la parodontite, ad altri è stato dato solo Am, ad altri ancora una miscela di Pg e Am, e un gruppo di controllo non ha ricevuto batteri. Hanno somministrato queste soluzioni per via orale per diverse settimane.

Ebbene, i risultati sono stati davvero incoraggianti! Nei topi che avevano ricevuto Pg, si è osservata una significativa perdita di osso alveolare (l’osso che sostiene i denti) e un aumento dell’infiammazione nelle gengive (misurata tramite marcatori come IL-1β, IL-6, MCP-1 e MPO). Ma nei topi che avevano ricevuto la miscela di Pg e Am, la perdita ossea era attenuata e l’infiammazione significativamente ridotta rispetto a quelli che avevano ricevuto solo Pg! Am da solo, invece, non causava infiammazione.

Non solo, analizzando i batteri presenti nelle tasche gengivali (tramite sequenziamento del 16S rRNA, una tecnica che permette di identificare le specie batteriche), si è visto che Am aveva ridotto la carica batterica totale e modificato la composizione del microbiota parodontale nei topi trattati con la miscela. Sembrava quasi che Am avesse “rimesso ordine” nell’ambiente orale scombussolato da Pg, favorendo batteri commensali (amici) e sfavorendo quelli potenzialmente dannosi.

Ma Come Fa Esattamente Am ad Aiutarci? Uno Sguardo più da Vicino (In Vitro)

Ok, Am aiuta, ma qual è il meccanismo molecolare? Per capirlo, i ricercatori si sono spostati su un modello in vitro, utilizzando cellule immunitarie umane chiamate macrofagi (derivate da una linea cellulare chiamata THP-1). I macrofagi sono fondamentali perché sono tra i primi a intervenire per “mangiare” e eliminare i batteri invasori.

Hanno esposto questi macrofagi a Pg, ad Am, o a entrambi, e hanno osservato cosa succedeva. Hanno scoperto che Am, sia vivo che pastorizzato, potenziava la capacità dei macrofagi di fagocitare Pg! In pratica, Am aiutava i nostri “spazzini” immunitari a fare meglio il loro lavoro contro il batterio cattivo.

Andando ancora più a fondo, hanno analizzato l’espressione di geni e proteine chiave coinvolti nella risposta immunitaria. Qui è emerso il cuore del meccanismo. Ricordate che Pg manipola la via di segnalazione TLR2-C5aR-MyD88 per sfuggire alle difese? Bene, Am sembra proprio interferire con questo sabotaggio!

I risultati hanno mostrato che Am:

  • Aumentava l’espressione di TLR2 e della proteina MyD88 nei macrofagi. MyD88 è cruciale per attivare la risposta immunitaria e la fagocitosi dopo il riconoscimento del batterio da parte di TLR2. Pg tende a degradare MyD88, ma Am sembrava contrastare questo effetto e ripristinarne i livelli.
  • Diminuiva l’espressione del recettore C5aR. Pg sfrutta l’interazione tra TLR2 e C5aR per degradare MyD88. Riducendo C5aR, Am sembra interrompere questa strategia di evasione di Pg.

Utilizzando un inibitore specifico di MyD88, hanno confermato che l’effetto pro-fagocitosi di Am dipendeva proprio da questa proteina. In sostanza, Am ripristina la capacità dei macrofagi di riconoscere ed eliminare Pg agendo sulla via TLR2-C5aR-MyD88.

Vista microscopica, dettagli elevati, stile di microfotografia elettronica a colori falsi, che mostra un macrofago (cellula più grande e irregolare) che inghiotte le cellule batteriche più piccole (come Porphyromonas gingivalis), che illustrano una fagocitosi potenziata probabilmente mediata da Akkermansia Muciniphila.

Un Modulatore Immunitario Intelligente?

È interessante notare che Am sembra agire come un vero e proprio “modulatore immunitario”. Da un lato, attiva la risposta infiammatoria quanto basta per richiamare le cellule immunitarie e combattere l’infezione (infatti, in vitro, Am stimolava la produzione di alcune citochine pro-infiammatorie e chemochine che attirano le cellule immunitarie). Dall’altro, però, sembra evitare una risposta eccessiva e dannosa, come dimostra la riduzione dell’infiammazione osservata nei topi.

Alcuni studi suggeriscono che Am possa attivare i TLR in modo “selettivo” o meno potente rispetto ad altri batteri, forse proprio per calibrare la risposta immunitaria. Altri meccanismi potrebbero essere coinvolti, come la produzione di molecole anti-infiammatorie (ad esempio IL-10) o l’induzione di cellule T regolatorie, aspetti che meriteranno ulteriori indagini.

Questa capacità di Am di innescare una risposta difensiva misurata, senza scatenare un’infiammazione incontrollata, è fondamentale. Potrebbe non solo renderlo sicuro per applicazioni cliniche, ma anche suggerire un suo potenziale ruolo nel migliorare la sorveglianza immunitaria e prevenire la disbiosi nelle fasi iniziali della gengivite o della parodontite.

Conclusioni e Prospettive Future

Quindi, cosa ci portiamo a casa da tutto questo? Che Akkermansia muciniphila emerge come un candidato davvero promettente per aiutarci a gestire la parodontite. Non agisce direttamente come un antibiotico, ma piuttosto come un modulatore del nostro sistema immunitario, aiutandolo a riattivare le sue capacità di eliminare un patogeno chiave come Porphyromonas gingivalis, che altrimenti riuscirebbe a disarmarle.

Ripristinando la capacità di “clearance” batterica e modificando in meglio il microbiota parodontale, Am potrebbe offrire un’arma in più, magari complementare alle terapie tradizionali, per combattere questa malattia così diffusa e impattante. Ovviamente, come sempre nella scienza, serviranno ulteriori studi, soprattutto per confermare questi meccanismi in vivo nell’uomo e per capire come utilizzare al meglio Am (vivo? pastorizzato? estratti specifici?) in un contesto terapeutico.

Ma le prospettive sono decisamente interessanti e ci mostrano ancora una volta quanto sia complesso e affascinante l’equilibrio tra noi e i miliardi di microbi che ci abitano!

Fonte: Springer

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