AI in Cattedra: Amica o Nemica dei Futuri Prof di Matematica?
Ragazzi, parliamoci chiaro: l’Intelligenza Artificiale (AI) è ormai dappertutto, e il mondo dell’educazione non fa eccezione. Anzi, sembra promettere faville, specialmente per materie toste come la matematica. Immaginate strumenti AI che creano esercizi su misura, simulano scenari didattici, o addirittura danno una mano con la valutazione. Figo, no? Ma come in tutte le cose belle, c’è un “però”. Cosa succede quando noi, futuri insegnanti (in questo caso, di matematica), iniziamo a fidarci un po’ *troppo* di questi aiutanti digitali? Diventiamo più bravi o rischiamo di impigrirci e perdere pezzi per strada?
Questa è la domanda che mi (e a quanto pare, un bel po’ di ricercatori) frullava in testa. Così, abbiamo deciso di vederci più chiaro, esplorando proprio questo legame intricato tra quanto ne sappiamo di AI (la cosiddetta alfabetizzazione AI), quanto ci fidiamo (la fiducia nell’AI), quanto finiamo per appoggiarci ad essa (la dipendenza dall’AI) e come tutto ciò influenzi quelle che chiamano le competenze del 21° secolo. Parliamo di pensiero critico, creatività, problem solving, capacità di comunicare e collaborare, e persino la fiducia in noi stessi. Roba fondamentale per chiunque, ma vitale per un insegnante!
L’AI Generativa: Un Aiuto Potente, Ma da Maneggiare con Cura
Prima di tuffarci nei risultati, capiamoci su cosa intendiamo per AI in questo contesto. Parliamo soprattutto di AI Generativa (Gen-AI), quella capace di creare contenuti nuovi – pensate a ChatGPT o DeepSeek. Questi strumenti possono essere pazzeschi per l’insegnamento della matematica: generano problemi unici basati sul livello dello studente, aiutano a creare materiali didattici personalizzati, simulano dialoghi educativi, e persino danno feedback sul codice per chi insegna informatica applicata alla matematica. Un potenziale enorme per alleggerire il carico di lavoro e migliorare l’efficacia didattica.
Però, come dicevo, c’è il rovescio della medaglia. Mentre istituzioni e governi spingono (giustamente) per aumentare la nostra competenza e fiducia nell’AI, emerge la preoccupazione: non è che stiamo creando una generazione di insegnanti troppo “AI-dipendenti”? E questa dipendenza, che impatto ha sulle loro abilità fondamentali?
La Nostra Indagine: Cosa Abbiamo Scoperto?
Per rispondere a queste domande, abbiamo condotto uno studio coinvolgendo ben 469 futuri insegnanti di matematica. Abbiamo usato un questionario bello tosto e poi analizzato i dati con tecniche statistiche avanzate (il famoso Modello ad Equazioni Strutturali, o SEM, per i più tecnici). Volevamo capire se e come l’alfabetizzazione e la fiducia nell’AI portassero a una maggiore dipendenza, e se questa dipendenza avesse poi un effetto (positivo o negativo) sulle competenze chiave.
E i risultati? Beh, preparatevi, perché sono piuttosto netti e fanno riflettere.
- Alfabetizzazione e Fiducia portano a Dipendenza: Sì, è confermato. Più i futuri insegnanti si sentono competenti nell’usare l’AI (alfabetizzazione) e più si fidano della sua efficacia e affidabilità, più tendono ad appoggiarsi ad essa per compiti didattici e di problem-solving. E, attenzione, l’alfabetizzazione sembra avere un peso *maggiore* della fiducia nel creare questa dipendenza.
- La Dipendenza Intacca le Competenze Chiave: E qui arriva la nota dolente. La nostra analisi ha mostrato una relazione significativamente negativa tra la dipendenza dall’AI e tutte le competenze del 21° secolo che abbiamo misurato. In pratica: più ci si affida all’AI, più si rischia un calo nel pensiero critico, nella capacità di risolvere problemi in autonomia, nella creatività, nelle abilità comunicative e collaborative, e persino nella fiducia nelle proprie capacità. Ouch.

Il Paradosso dell’AI nell’Educazione
Questi risultati ci mettono di fronte a un paradosso interessante. Da un lato, abbiamo bisogno di formare insegnanti che sappiano usare l’AI, che ne comprendano il potenziale e si fidino (il giusto) di questi strumenti. Dall’altro, dobbiamo stare attenti a non creare una dipendenza che, invece di potenziare, finisca per indebolire le loro capacità fondamentali. È come dare a qualcuno un’auto potentissima: deve saperla guidare bene, ma non deve dimenticarsi come si cammina!
Pensateci: se l’AI fornisce sempre la soluzione pronta, quando alleniamo il nostro muscolo del problem solving o del pensiero critico? Se l’AI ci aiuta a creare materiali standardizzati, dove va a finire la nostra creatività nel trovare approcci didattici originali? Se comunichiamo tramite interfacce AI, come affiniamo le nostre abilità comunicative e di collaborazione con studenti e colleghi? E se deleghiamo decisioni importanti all’algoritmo, come costruiamo la nostra autostima professionale?
Cosa Significa Tutto Questo per Noi Futuri Insegnanti?
Il messaggio non è “No all’AI!”. Assolutamente no. L’AI è uno strumento potentissimo con benefici reali. Il punto è usarla con consapevolezza e spirito critico. Dobbiamo imparare a vederla come un assistente, non come un sostituto del nostro cervello.
Questo studio lancia un segnale importante a chi ci forma (università, istituzioni) e a noi stessi:
- Formazione Equilibrata: I programmi di formazione devono sì insegnarci a usare l’AI, ma devono anche, e forse soprattutto, continuare a potenziare le competenze umane fondamentali. Non basta la competenza tecnica, serve quella critica ed etica.
- Sviluppare il Pensiero Critico sull’AI: Dobbiamo imparare a valutare l’output dell’AI, a riconoscerne i limiti, i possibili bias, e a decidere quando è appropriato usarla e quando invece è meglio affidarsi alle nostre capacità.
- Monitorare la Dipendenza: Dobbiamo essere onesti con noi stessi e chiederci: sto usando l’AI per migliorare il mio lavoro o per evitarlo? Sto diventando più bravo o solo più dipendente?
Strategie Pratiche per un Uso Consapevole
Come possiamo, concretamente, integrare l’AI nella nostra formazione e futura professione senza cadere nella trappola della dipendenza? Ecco qualche idea basata sulle riflessioni emerse dallo studio:
- Usare l’AI per Sfidare, non per Semplificare: Invece di chiedere all’AI la soluzione, usiamola per generare problemi complessi e poi lavoriamo (da soli o in gruppo) per risolverli, magari confrontando poi il nostro processo con quello proposto dall’AI.
- Esercizi di “Critica all’AI”: Analizziamo casi in cui l’AI ha fallito o mostrato bias in contesti educativi. Questo ci aiuta a sviluppare un occhio critico.
- Workshop sull’Uso Bilanciato: Sessioni formative che mostrino come l’AI possa complementare, e non sostituire, i metodi didattici tradizionali e le interazioni umane.
- Linee Guida Etiche Chiare: Avere punti di riferimento su come usare l’AI in modo responsabile in classe.
- Valutazioni Integrate: Le verifiche della nostra preparazione dovrebbero includere non solo la capacità di usare l’AI, ma anche quella di valutarla criticamente e di dimostrare le competenze del 21° secolo indipendentemente da essa.

Guardando Avanti: Limiti e Prossimi Passi
Ogni ricerca ha i suoi limiti, e anche la nostra. Ci siamo basati su dati auto-riferiti (quello che i partecipanti dicevano di sé), abbiamo considerato solo futuri insegnanti di matematica in un contesto specifico (Cina), e il nostro è stato uno “scatto fotografico” (disegno cross-sezionale) che non mostra l’evoluzione nel tempo.
Per il futuro, sarebbe bello usare metodi diversi (magari osservazioni dirette o analisi dei progetti didattici), coinvolgere insegnanti di altre materie e in altri paesi, e seguire i partecipanti nel tempo per vedere come cambia il loro rapporto con l’AI una volta entrati in classe. Integrare anche approcci qualitativi, come interviste, potrebbe darci una comprensione ancora più profonda delle loro esperienze.
In conclusione, la strada per integrare l’AI nell’educazione è affascinante ma richiede cautela. Potenziare l’alfabetizzazione e la fiducia nell’AI è fondamentale, ma dobbiamo farlo in modo intelligente, assicurandoci che questi potenti strumenti rimangano al nostro servizio, senza mai sostituire le insostituibili capacità umane che fanno di un insegnante un *bravo* insegnante. La sfida è trovare il giusto equilibrio, e spero che studi come questo ci aiutino a farlo.
Fonte: Springer
