Un'aula scolastica divisa a metà: da un lato, studenti isolati che usano tablet luminosi in un ambiente freddo e tecnologico (stile ITS); dall'altro lato, studenti che collaborano e discutono animatamente in un ambiente caldo e accogliente, con un insegnante presente. Obiettivo 50mm prime lens, profondità di campo media per mantenere entrambi i lati a fuoco, luce contrastata tra le due metà.

Intelligenza Artificiale a Scuola: Perché la Promessa di Democrazia è un’Illusione (Per Ora)

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento caldissimo: l’intelligenza artificiale (AI) e il suo presunto potere di “democratizzare” l’educazione. Se ne fa un gran parlare, vero? Aziende tech, media, persino alcune iniziative accademiche sbandierano l’AI come la chiave per un’istruzione più accessibile e di qualità per tutti. Sembra fantastico, ma… siamo sicuri che sia davvero così?

Dal mio punto di vista, che si ispira molto al pensiero del grande filosofo dell’educazione John Dewey, ho qualche serio dubbio. Anzi, temo che l’AI, almeno nella sua forma commerciale attuale, possa addirittura remare contro una vera educazione democratica. E vi spiego perché, adottando una prospettiva che definirei “pragmatista critica”.

Ma cosa intendiamo per “Educazione Democratica”? Non solo accesso!

Prima di tutto, mettiamo i puntini sulle “i”. Quando parliamo di democratizzare l’educazione, cosa significa veramente? Spesso, nel dibattito sull’AI, ci si ferma a un concetto un po’ superficiale: dare a più persone accesso a contenuti educativi di qualità. Certo, l’accesso è fondamentale, non fraintendetemi. Ma l’educazione democratica, secondo Dewey, è molto, molto di più.

Possiamo riassumerla in quattro pilastri fondamentali:

  • Preparare alla vita democratica: La scuola deve fornire non solo conoscenze, ma anche le competenze e le disposizioni (il carattere, l’atteggiamento) necessarie per essere cittadini attivi in una democrazia. Parliamo di pensiero critico, capacità di dialogo, collaborazione.
  • Incorporare pratiche democratiche: L’aula stessa deve essere un luogo dove si vive la democrazia. Significa sperimentare la comunicazione, la cooperazione, il dibattito, l’ascolto reciproco. Non basta sentir parlare di democrazia, bisogna farla.
  • Essere governata democraticamente: L’educazione non è calata dall’alto. Studenti, insegnanti, genitori, la comunità dovrebbero avere voce in capitolo su come la scuola funziona, sugli obiettivi, sui metodi.
  • Garantire pari opportunità di accesso: E qui torniamo al punto spesso citato. L’istruzione di qualità deve essere accessibile a tutti, indipendentemente da classe sociale, provenienza, o altre differenze.

Vedete? È un quadro ben più complesso. E quando le aziende tech parlano di “democratizzazione” tramite AI, si concentrano quasi esclusivamente sull’ultimo punto, dimenticando (o ignorando?) gli altri tre.

L’AI Educativa Oggi: Individualizzazione, Padronanza e Automazione

Ora, guardiamo in faccia l’AI che sta entrando nelle nostre scuole, in particolare i cosiddetti Sistemi di Tutoraggio Intelligente (ITS). Sono quei software che promettono un apprendimento personalizzato uno-a-uno, simulando un tutor umano. Piattaforme come Khanmigo o Socratic di Google ne sono esempi lampanti.

Quali sono le loro caratteristiche principali, quelle che ci interessano per la nostra analisi?

  • Individualizzazione spinta: L’idea di fondo è che l’apprendimento sia un fatto individuale. Ognuno al suo ritmo, con contenuti su misura. Il gruppo, la classe, diventano quasi un ostacolo, un compromesso necessario solo perché non ci sono abbastanza tutor umani per tutti.
  • Focus sulla “Mastery”: L’obiettivo primario è la padronanza dei contenuti del curriculum, misurata tramite test standardizzati. Imparare equivale ad assorbire informazioni e performare bene nei quiz. Tutto ciò che non è facilmente misurabile (come la formazione del carattere, la capacità di collaborare) passa in secondo piano.
  • Automazione delle attività didattiche: L’AI viene presentata come uno strumento per liberare gli insegnanti da compiti “noiosi” o “burocratici” (valutare compiti, preparare lezioni, fare l’appello…). L’idea è che così avranno più tempo per… beh, spesso si intende per spiegare meglio o seguire più da vicino gli studenti, ma vedremo che non è così semplice.

Un'aula scolastica futuristica ma realistica, con studenti che interagiscono individualmente con schermi olografici luminosi. L'atmosfera è un po' isolata, luce fredda. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo ridotta per mettere a fuoco uno studente e sfocare gli altri, bianco e nero.

Il Cortocircuito: Perché Questa AI Fa a Pugni con l’Educazione Democratica

E qui arriviamo al nocciolo della questione. Mettiamo insieme i pezzi: da una parte l’ideale deweyano di educazione democratica, dall’altra le caratteristiche dell’AI educativa commerciale. Vedrete che le cose non tornano.

1. Addio esperienza democratica, benvenuta passività: Se l’educazione democratica richiede di fare democrazia, di sperimentare il dialogo, il confronto, la collaborazione, come si può imparare tutto questo stando da soli davanti a uno schermo? L’ITS può insegnarti la storia della democrazia, certo. Ma non ti darà mai l’esperienza viva, a volte conflittuale, del discutere un problema comune con i tuoi compagni, del negoziare soluzioni, dell’imparare ad ascoltare punti di vista diversi dal tuo. L’enfasi sulla “mastery” passiva del curriculum uccide l’apprendimento esperienziale che è fondamentale per formare cittadini attivi. L’AI ti guida verso risposte predefinite, non ti permette di co-determinare il percorso, di sbagliare e imparare dall’errore in un contesto sociale.

2. L’individualismo contro la comunità: La democrazia è “vita associata”, diceva Dewey. Richiede comunicazione, capacità di mettersi nei panni degli altri, di affrontare e risolvere i conflitti che inevitabilmente sorgono quando si vive insieme. L’ITS, con la sua enfasi sull’individuo, riduce drasticamente le occasioni di interazione tra pari. Anzi, vede le differenze tra studenti (di ritmo, di capacità) come un problema da aggirare con la personalizzazione, invece che come una risorsa preziosa per imparare a conoscere e gestire la diversità, fondamentale nella vita democratica. E diciamocelo, un tutor AI sempre “carino”, paziente e accomodante non ti insegna a gestire i disaccordi reali, le frustrazioni, le negoziazioni necessarie nella vita vera.

3. L’automazione che svuota il ruolo dell’insegnante (e della scuola): L’idea che l’AI liberi tempo per gli insegnanti è allettante, ma rischiosa. Primo, non è detto che sia vero: controllare report generati dall’AI o personalizzare feedback automatici potrebbe richiedere altrettanto tempo. Secondo, e più importante, l’insegnante non è solo un trasmettitore di informazioni o un correttore di bozze. È un modello di cittadinanza, un facilitatore di relazioni, una persona che connette il sapere alla vita reale, che sa cogliere sfumature emotive e bisogni non espressi (pensate all’importanza di un semplice “come stai?” durante l’appello, cosa che un sistema di riconoscimento facciale non farà mai con la stessa empatia). Automatizzare troppo rischia di ridurre l’insegnante a un mero supervisore della macchina, impoverendo la relazione educativa e l’esempio di cittadinanza attiva.

4. Il controllo nelle mani di pochi (e non sono i cittadini): Chi sviluppa questi ITS? Principalmente grandi aziende tecnologiche (Google, Microsoft, Meta…) o realtà da esse finanziate. Questo significa che le decisioni su cosa, come e perché si impara rischiano di essere prese non dalla comunità educante o da organi democraticamente eletti, ma da entità private con logiche di profitto. La loro influenza è enorme, anche grazie alla raccolta massiccia di dati sugli studenti. Questo erode la governance democratica dell’educazione. Le scuole e gli insegnanti potrebbero trovarsi “bloccati” con certi sistemi (lock-in), con poca possibilità di influenzarne il funzionamento, data anche l’opacità degli algoritmi (“black box”). Vivere gran parte della propria formazione in un ambiente su cui non si ha controllo non è esattamente un buon allenamento alla cittadinanza attiva e responsabile.

Un gruppo eterogeneo di studenti adolescenti discute animatamente attorno a un tavolo in un'aula luminosa e accogliente. Un insegnante li osserva con attenzione, intervenendo minimamente. Sul tavolo, alcuni tablet mostrano dati, ma l'interazione è tra le persone. Obiettivo zoom 24-70mm a circa 35mm, luce naturale, focus nitido sul gruppo.

Ma allora, l’AI è da buttare? Non necessariamente, se cambiamo prospettiva

Attenzione, il mio non è un rifiuto totale della tecnologia. L’AI potrebbe avere un ruolo positivo, ma a patto di cambiare radicalmente approccio rispetto al modello dominante degli ITS commerciali. Come?

  • AI per l’esperienza, non per la sostituzione: Immaginate simulazioni AI (magari in VR/AR) che permettano agli studenti di sperimentare scenari complessi, come dibattiti parlamentari o gestione di risorse comunitarie. O giochi che facilitino la presa di decisioni collettive. Qui l’AI non sostituisce l’interazione umana, ma la arricchisce, fornendo contesti esperienziali.
  • AI per connettere, non per isolare: Invece di personalizzare all’estremo, l’AI potrebbe essere usata per creare connessioni significative. Pensate ad algoritmi che mettano in contatto studenti con background o idee diverse per favorire il confronto (learning network orchestrators), o che aiutino gli insegnanti a capire meglio le dinamiche di gruppo e le difficoltà individuali attraverso l’analisi dei dati (learning analytics), ma sempre a supporto dell’interazione umana.
  • AI per potenziare l’insegnante, non per automatizzarlo: L’AI potrebbe diventare uno strumento al servizio del docente, fornendo dati utili per capire meglio gli studenti, suggerendo risorse, aiutando a creare attività più coinvolgenti, ma lasciando all’insegnante il controllo pedagogico e la relazione umana. Si parla di “intelligenza ibrida”, dove uomo e macchina collaborano.
  • AI come infrastruttura pubblica: Se l’educazione è un bene pubblico, perché lo sviluppo dell’AI educativa dovrebbe essere lasciato quasi interamente ai privati? Servirebbero investimenti pubblici per creare strumenti AI allineati con valori democratici ed educativi ampi, sotto il controllo della collettività e con requisiti stringenti co-determinati con educatori e studenti.

In conclusione: Occhi aperti e spirito critico

Insomma, la narrazione dell’AI come bacchetta magica per la democratizzazione dell’educazione è, dal mio punto di vista, pericolosamente semplicistica e, allo stato attuale, largamente illusoria. L’enfasi sull’individualizzazione, sulla mera padronanza dei contenuti e sull’automazione, tipica degli strumenti commerciali oggi più diffusi, rischia seriamente di minare le fondamenta di un’educazione autenticamente democratica nel senso ricco e profondo inteso da Dewey.

Questo non significa demonizzare l’AI in toto, ma essere estremamente critici e consapevoli. Dobbiamo chiederci: quale tipo di apprendimento vogliamo promuovere? Quale tipo di cittadino vogliamo formare? L’AI può essere uno strumento, ma il suo valore dipende dagli obiettivi che ci poniamo e da come scegliamo di usarla.

Serve più dialogo, più sperimentazione guidata da principi pedagogici solidi (e democratici!), più controllo pubblico e meno affidamento cieco alle promesse del mercato. E, naturalmente, serve formare studenti (e cittadini) capaci di usare l’AI in modo critico e consapevole (AI literacy). Solo così potremo sperare di mettere davvero la tecnologia al servizio di un’educazione che sia motore di democrazia, e non il suo freno.

Fonte: Springer

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