Campo di mais rigoglioso nel Telangana meridionale, India, coltivato con tecniche di agricoltura conservativa a semina diretta con residui colturali (paglia e stocchi) ben visibili che coprono il terreno tra le file. Luce calda del tardo pomeriggio che illumina le piante verdi e il suolo coperto. Obiettivo grandangolare 24mm per mostrare l'estensione del campo, messa a fuoco nitida, colori saturi ma naturali.

Agricoltura Conservativa: Il Segreto Indiano per Salvare il Suolo e Aumentare i Raccolti nel Telangana

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta davvero a cuore e che potrebbe essere una chiave fondamentale per il futuro del nostro pianeta e della nostra tavola: l’agricoltura conservativa. Immaginate un modo di coltivare che non solo ci dà cibo, ma che *cura* la terra, la rende più ricca e combatte persino il cambiamento climatico. Sembra troppo bello per essere vero? Beh, tenetevi forte, perché uno studio recente condotto nella zona meridionale del Telangana, in India, ci mostra che è assolutamente possibile.

Viviamo in un’epoca complessa. Da un lato, la popolazione mondiale cresce e avremo bisogno di produrre sempre più cibo. Dall’altro, le pratiche agricole intensive, quelle che puntano tutto sulla massima resa immediata, stanno mettendo a dura prova i nostri suoli. Li impoveriscono, li rendono vulnerabili all’erosione e liberano carbonio nell’atmosfera. Una vera minaccia, soprattutto in zone come il Telangana meridionale, dove l’agricoltura è vitale ma le risorse sono fragili.

L’India, come molti altri paesi firmatari dell’Accordo di Parigi, si è impegnata a combattere il cambiamento climatico e a ripristinare milioni di ettari di terreno degradato. L’obiettivo? Raggiungere la “Neutralità del Degrado del Suolo” entro il 2030. E come si fa? Beh, uno dei modi è proprio cambiare il modo in cui coltiviamo.

L’Esperimento: Mettere alla Prova l’Agricoltura Conservativa

Ed è qui che entra in gioco il nostro studio. Per tre anni, i ricercatori hanno messo a confronto diversi metodi di coltivazione in un sistema che alternava cotone, mais e una leguminosa chiamata Sesbania rostrata (usata come concime verde). Hanno confrontato tre approcci principali alla lavorazione del terreno:

  • T1 (Pratica Tradizionale): Aratura convenzionale per tutte le colture, lasciando il campo incolto (a riposo) dopo il mais, senza Sesbania. Praticamente, come fanno molti agricoltori locali.
  • T2 (Un Mix): Aratura convenzionale per il cotone, ma poi nessuna lavorazione (semina diretta o “zero tillage”) per il mais e la Sesbania.
  • T3 (Agricoltura Conservativa Pura): Nessuna lavorazione del terreno per nessuna coltura (zero tillage). I residui della coltura precedente (gambi, foglie) venivano lasciati sul campo come copertura (pacciamatura). Quindi, dopo il cotone, i suoi residui restavano per il mais; dopo il mais, i suoi residui restavano per la Sesbania; e dopo la Sesbania, i suoi residui restavano per il cotone successivo. Un ciclo virtuoso!

Oltre alla lavorazione, hanno testato diverse strategie per gestire le erbacce infestanti, dal controllo chimico a quello integrato (un mix di metodi) fino al diserbo manuale. L’idea era capire quale combinazione funzionasse meglio per il suolo e per il raccolto di mais.

I Risultati: Il Suolo Ringrazia (e Sequestra Carbonio!)

E i risultati? Direi entusiasmanti! Dopo tre anni, i terreni gestiti con l’agricoltura conservativa pura (T3 – zero tillage con residui) erano nettamente più sani.

Innanzitutto, il carbonio organico del suolo (SOC), che è un po’ come l’elisir di lunga vita per la terra: era significativamente più alto nei primi 15 cm di profondità (+15,3% rispetto alla pratica tradizionale T1). E non solo! Anche l’azoto (N) e il fosforo (P) disponibili per le piante erano aumentati (+15,1% e +19,6% rispettivamente).

Un altro dato interessante è il rapporto di stratificazione (SR). In parole semplici, misura quanto le “cose buone” (come il carbonio e i nutrienti) si concentrano negli strati superficiali del suolo, quelli più importanti per le radici. Bene, con la pratica T3, questo rapporto per il carbonio organico era di 1.20, significativamente migliore rispetto alla lavorazione tradizionale. Un suolo “stratificato” in questo modo è generalmente considerato di migliore qualità.

Ma la vera magia avviene con il sequestro del carbonio. Ricordate l’impegno per il clima? L’agricoltura conservativa (T3) ha mostrato una capacità di sequestrare carbonio (CSR) e un’efficienza nel trattenerlo (CRE) superiori di quasi il 60% rispetto alla pratica tradizionale! In pratica, questi campi non solo producevano cibo, ma toglievano CO2 dall’atmosfera e la immagazzinavano nel suolo a lungo termine. Hanno anche calcolato l’indice di gestione del carbonio (CMI), un indicatore della salute del suolo legata al carbonio: anche questo era decisamente migliore con T3, specialmente nello strato più profondo (15-30 cm).

Primo piano di un terreno agricolo sano nel Telangana, India, coltivato con agricoltura conservativa. Si vedono chiaramente i residui colturali (paglia) che coprono il suolo tra le giovani piante di mais emergenti. Obiettivo macro 100mm, alta definizione, luce naturale controllata che evidenzia la texture del suolo e dei residui.

Abbiamo anche analizzato i diversi tipi di carbonio nel suolo. C’è quello “labile”, che si decompone facilmente e nutre i microbi e le piante, e quello “passivo” o recalcitrante, che rimane lì per molto tempo. È emerso che la maggior parte del carbonio accumulato era nella forma passiva, il che è ottimo per il sequestro a lungo termine. Tuttavia, le pratiche conservative (T3) aumentavano anche le frazioni più labili, essenziali per la fertilità immediata.

Non Solo Suolo Sano, Ma Anche Più Raccolto!

“Ok,” potreste dire, “il suolo sta meglio, ma la produzione? Gli agricoltori devono pur vivere!” Giusta osservazione. E qui arriva un’altra bella notizia.

La resa in granella di mais (Kernel Yield – KY) è stata significativamente più alta (+11,6%) nei campi gestiti con agricoltura conservativa pura (T3) rispetto a quelli tradizionali (T1). Questo sfata un po’ il mito che per produrre tanto bisogna per forza arare e rivoltare la terra. Anzi!

La lavorazione zero, combinata con la copertura dei residui, probabilmente ha aiutato a conservare meglio l’umidità del suolo (fondamentale in climi semi-aridi come quello del Telangana, specialmente durante i periodi caldi) e ha creato un ambiente più favorevole per le radici, permettendo alle piante di accedere meglio ai nutrienti accumulati.

Ovviamente, anche la gestione delle infestanti ha avuto un ruolo cruciale. I metodi chimici (W1), la rotazione degli erbicidi (W2) e la gestione integrata (IWM – W3) hanno dato rese dal 23% al 43% superiori rispetto al solo diserbo manuale (W4). Questo dimostra che un controllo efficace delle infestanti è essenziale, ma lo studio suggerisce che la gestione integrata (che combina diverse tecniche, magari riducendo l’uso di soli prodotti chimici) è un’ottima via, specialmente se abbinata all’agricoltura conservativa.

Cosa Ci Portiamo a Casa?

Questa ricerca nel Telangana meridionale è una testimonianza potente. Ci dice che passare a un sistema di agricoltura conservativa basato su lavorazione zero (semina diretta) e mantenimento dei residui colturali in superficie non è solo una strategia per migliorare la salute del suolo e sequestrare carbonio, ma può anche portare a raccolti migliori.

Abbinare queste pratiche a una gestione intelligente delle infestanti, come l’approccio integrato (IWM), sembra essere la combinazione vincente per questa regione. È una soluzione che guarda al futuro, un modo per produrre cibo in modo sostenibile, proteggendo quella risorsa preziosissima che è il suolo e dando una mano concreta nella lotta al cambiamento climatico.

Certo, ogni zona ha le sue specificità (clima, tipo di suolo, colture) e sono necessari studi a lungo termine per confermare questi benefici e capire cosa succede ancora più in profondità nel terreno. Ma i segnali sono incredibilmente positivi. L’agricoltura conservativa non è solo una tecnica, è quasi una filosofia: lavorare *con* la natura, non contro di essa, per nutrire il pianeta e noi stessi. E i risultati, come abbiamo visto, possono essere davvero sorprendenti.

Fonte: Springer

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