Il Potere Nascosto delle Parole: Come l’Agency Trasforma Lingua e Identità nei Paesi Baschi
Avete mai pensato a quanto sia complesso il rapporto tra conoscere una lingua e usarla davvero? Immaginate una comunità che ha lottato per decenni per rivitalizzare il proprio idioma, vedendo crescere esponenzialmente il numero di persone che lo capiscono e lo sanno parlare, soprattutto tra i giovani. Un successo, direte voi! E in parte lo è. Ma poi, ci si scontra con un muro un po’ frustrante: questa nuova competenza non si traduce automaticamente in un uso quotidiano e vibrante della lingua. È un po’ come avere una Ferrari in garage e usarla solo per andare a fare la spesa dietro l’angolo. Ecco, questa è, in soldoni, la sfida che stanno vivendo oggi nei Paesi Baschi con l’euskara, la lingua basca.
Io trovo questa situazione incredibilmente affascinante, perché tocca corde profonde che riguardano l’identità, la società e il potere, a volte invisibile, delle nostre scelte linguistiche. Oggi voglio parlarvi proprio di questo, prendendo spunto da uno studio illuminante sui processi di “muda” e sull’ “agency” degli studenti universitari baschi. Tranquilli, non vi annoierò con paroloni accademici, ma cercherò di trasmettervi la passione e le scoperte di questa ricerca.
Un Tesoro Linguistico da Riattivare: La Sfida Basca
Dagli anni ’60, i Paesi Baschi hanno intrapreso un percorso ambizioso: aumentare il numero di parlanti baschi e diffondere l’uso della lingua in nuovi ambiti della vita sociale. E i risultati, soprattutto nella Comunità Autonoma Basca (CAB), sono stati notevoli. Pensate che oggi, nella CAB, tre quarti dei giovani tra i 16 e i 24 anni parlano basco, e si prevede che entro il 2036 il 90% degli under 20 lo conoscerà! Un vero boom, alimentato soprattutto dall’istruzione in lingua basca. Questo ha portato alla crescita dei cosiddetti “nuovi parlanti”, persone che hanno imparato il basco a scuola o da adulti, piuttosto che in famiglia. Oggi, più della metà dei giovani parlanti baschi rientra in questa categoria.
Però, come dicevo, c’è un “ma”. L’aumento della conoscenza non ha portato a un proporzionale aumento dell’uso. Molti “nuovi parlanti”, pur conoscendo bene la lingua, non la integrano nella loro vita quotidiana. È un problema che non riguarda solo il basco, ma molte lingue minoritarie in Europa e nel mondo. Si parla tanto di “attivazione” dei parlanti, ovvero quel processo che trasforma chi ha imparato una lingua in un suo utente attivo e abituale. Ed è qui che entra in gioco un concetto chiave: la muda.
Cos’è la ‘Muda’ Linguistica? Un Cambiamento che Va Oltre le Parole
Il termine muda, coniato da Pujolar e González nel 2013, si riferisce a quei momenti specifici della biografia di una persona – come iniziare l’università, sposarsi, diventare genitori, cominciare un nuovo lavoro – in cui si verificano cambiamenti significativi nel proprio repertorio linguistico. Questi cambiamenti non sono solo “tecnici”, ma impattano profondamente sull’identità sociale dell’individuo. Immaginate di decidere, da un giorno all’altro, di iniziare a parlare basco con i vostri amici universitari con cui avete sempre parlato spagnolo. Non è una scelta da poco, vero? Richiede coraggio, determinazione e, soprattutto, agency.
Uno studio di Ricerca-Azione Partecipata (PAR) si è concentrato proprio su questi processi di muda tra gli studenti universitari baschi, cercando di capire come favorire il passaggio all’uso attivo dell’euskara. E quello che è emerso è potentissimo: per fare questo “salto”, non basta la competenza linguistica. Certo, serve, ma sono fondamentali anche fattori sociali, ideologici e contestuali. E, soprattutto, è cruciale sviluppare la propria agency.

L’Agency: Diventare Protagonisti della Propria Lingua
Ma cos’è esattamente l’agency? In parole semplici, è la capacità di agire, di influenzare il proprio contesto, di fare la differenza. Non si tratta solo di “volere” cambiare, ma di avere la capacità di mettere in moto quel cambiamento. Nel contesto della rivitalizzazione linguistica, sviluppare agency significa per i parlanti:
- Comprendere meglio la propria soggettività come parlanti (come mi sento io quando parlo basco? Quali insicurezze ho?).
- Svelare l’ordine sociolinguistico diseguale che li circonda (perché in certi contesti parlare basco è “strano” o addirittura malvisto?).
- Passare all’azione per realizzare i cambiamenti desiderati nelle proprie pratiche linguistiche.
Lo studio di cui vi parlo ha adottato un approccio etnografico, lavorando a stretto contatto con 22 studenti universitari volontari di Bilbao, una città tradizionalmente di lingua spagnola dove, nonostante il 29% della popolazione conosca il basco, l’uso effettivo per strada è solo del 3,5%. Un bel paradosso! Questi studenti, per la maggior parte “nuovi parlanti”, volevano aumentare l’uso del basco nella loro vita.
Un Progetto di Ricerca-Azione Partecipata: Imparare Facendo
Il progetto è stato concepito come una Ricerca-Azione Partecipata (PAR), un metodo fantastico perché non si limita a “studiare” un fenomeno, ma cerca di trasformarlo mentre lo si osserva. I ricercatori non erano figure distaccate, ma facilitatori, e gli studenti erano veri e propri “co-ricercatori”, protagonisti del loro stesso processo di cambiamento. Si è creata una sorta di “comunità epistemica”, un gruppo che costruisce conoscenza insieme.
Il percorso è durato quattro anni, con diverse fasi:
- Fase 1: Gli studenti hanno lavorato sulla loro biografia linguistica, osservato le pratiche linguistiche all’università e affrontato piccole “sfide” per aumentare l’uso del basco. Il tutto seguito da sessioni di gruppo per condividere esperienze e sentimenti. Qui hanno iniziato a prendere coscienza delle disuguaglianze linguistiche e delle proprie difficoltà.
- Fase 2: Hanno partecipato a Euskaraldia – 11 giorni in basco, un grande esercizio sociolinguistico a livello nazionale per cambiare le abitudini linguistiche. Diari e interviste li hanno aiutati a riflettere.
- Fase 3: Interviste a coppie per monitorare i progressi e capire cosa del progetto li avesse aiutati.
- Fase 4: Sessione finale per condividere i risultati, analizzarli insieme e trarre conclusioni.
La cosa affascinante è che la riflessione non era solo sulla situazione sociolinguistica esterna, ma anche un’introspezione profonda per capirsi meglio come parlanti di basco. Sviluppare strategie per superare emozioni negative, insicurezze e aumentare la fiducia in sé è stato fondamentale.
Le Molte Facce dell’Agency: Cosa Abbiamo Scoperto
E allora, come si è manifestata questa benedetta agency? Lo studio ha rivelato aspetti davvero interessanti, che ci fanno capire cosa significhi esercitarla in contesti di minorizzazione etnolinguistica.
1. Consapevolezza Critica: L’Inizio di Tutto
Un po’ come nella “coscientizzazione” di Paulo Freire, il primo passo è stato diventare consapevoli della realtà socioculturale. Tutti i partecipanti hanno acquisito maggiore consapevolezza dei fattori che influenzavano le loro pratiche linguistiche e la loro auto-percezione. Due dimensioni di disuguaglianza sono emerse chiaramente:
- Lo status minoritario e la bassa presenza sociale del basco rispetto allo spagnolo, con norme sociali che favoriscono lo spagnolo (e a volte “puniscono” l’uso del basco dove non è atteso).
- Diversi modelli di “basco-parlante”, con alcune varietà (come i dialetti) considerate più legittime o “cool” dello standard Batua imparato dai nuovi parlanti. Questo creava insicurezza in molti.
Prendiamo Maider, una partecipante. All’inizio si sentiva insicura, pensava che il suo basco standard non fosse “abbastanza buono” rispetto ai dialetti dei parlanti nativi. Grazie alla riflessione cooperativa, ha smantellato queste idee. Ha rivendicato per sé lo status di “nativa” pur avendo imparato il basco a scuola e ha affermato di non sentirsi più inferiore. Ha descritto questa trasformazione come una “liberazione”, che ha aperto la strada a un cambiamento nelle sue pratiche.
Alcuni, come Leire e Maider, sono andati oltre la riflessione individuale, arrivando a mettere in discussione l’ordine sociolinguistico. Hanno notato, ad esempio, che passare dal basco allo spagnolo in una conversazione sembra normale, mentre il contrario suona strano. La loro conclusione? “Perché il basco non è normalizzato nella nostra società, almeno non qui dove viviamo. Perché qui il basco è una lingua minoritaria.” Boom! Questa consapevolezza è il motore del cambiamento.

2. Azione Trasformatrice: Dai Pensieri ai Fatti
Non tutti i partecipanti hanno compiuto cambiamenti nella stessa misura. Alcuni hanno vissuto una trasformazione interiore, un riposizionamento come parlanti baschi, senza che questo avesse un impatto enorme sulle pratiche quotidiane. Altri, invece, hanno trasformato la loro realtà linguistica a vari livelli, e alcuni sono diventati veri e propri agenti di cambiamento per il loro contesto sociale. Leire, ad esempio, ha deciso di parlare basco con i suoi amici, nonostante la loro resistenza iniziale. “All’inizio è stato difficile,” racconta, “ma ho perseverato e ora va bene.” Ha sviluppato una notevole resilienza.
Alcuni sono diventati “simboli baschi” per i loro amici, spingendo gli altri a rivolgersi a loro in euskara. Altri ancora hanno deciso attivamente di accompagnare altre persone nel loro percorso di attivazione linguistica, diventando quasi degli attivisti. “Ora sarò un agente per altre persone, sarò il loro alleato,” ha detto una partecipante, mostrando la potenza di questi processi una volta messi in moto.
3. L’Agency è Situata: Non Esiste una Misura Unica
All’inizio, noi ricercatori (e mi ci metto anch’io idealmente in questo racconto) eravamo tentati di pensare: “più cambiamento = più agency“. Ma lavorando a stretto contatto con questi giovani, abbiamo imparato che non si può misurare l’agency in “quantità” di cambiamento. Bisogna guardarla dagli obiettivi e dalle circostanze di ogni singolo parlante. Alcuni hanno fatto scelte radicali, altri hanno concentrato i loro sforzi in ambiti specifici. Lur, futura insegnante, è diventata super proattiva nell’usare il basco durante il tirocinio scolastico, anche in contesti inaspettati come la lezione di spagnolo, ma non ha cambiato la lingua di comunicazione con il fidanzato o gli amici. Possiamo dire che Leire abbia più agency di Lur? No, perché non tutti volevano o potevano trasformare ogni aspetto della loro vita.
Il contesto sociale ha un impatto enorme. Chi si muoveva in ambienti ideologicamente più pro-basco o era coinvolto in altri movimenti sociali (femminismo, politica di sinistra) mostrava riflessioni più elaborate e cambiamenti più ampi. Altri, con contesti familiari o amicali lontani dalla cultura basca, hanno trovato più ostacoli. Larraitz, ad esempio, ha vissuto una muda interiore, ha capito che “il cambiamento era possibile”, ma ha faticato a coinvolgere chi le stava intorno. Eppure, il suo cambiamento di mentalità è stato significativo: “Forse due o tre anni fa non mi sarei nemmeno presa la briga di provarci… Non ci sono riuscita, ma ho abbandonato il mio vecchio modo di pensare e ci sto provando.” Questo ci insegna a non sottovalutare nessun passo, per quanto piccolo possa sembrare dall’esterno.
4. Agency dalla Vulnerabilità: La Forza Nascosta
Questo ci porta a un concetto affascinante: l’ “agency dalla vulnerabilità”. Tutti i partecipanti hanno iniziato sentendosi linguisticamente vulnerabili e insicuri. Osservare le loro traiettorie ci ha permesso di riconoscere forme alternative di agency che implicavano un riposizionamento e una trasformazione potenziante, anche senza una resistenza esplicita al sistema o un atteggiamento apertamente proattivo verso la società. Il caso di Larraitz ne è un esempio. La vulnerabilità, secondo alcuni studiosi, può essere la condizione che rende possibili altre forme di agency. È un campo ancora poco esplorato, ma promettente.

5. La Dimensione Collettiva: Insieme si è Più Forti
Inizialmente, l’attenzione era sugli itinerari individuali. Ma presto è emerso chiaramente quanto fosse cruciale la dimensione collettiva, “il gruppo”. L’accompagnamento tra pari è stato fondamentale non solo per produrre nuova conoscenza e sviluppare consapevolezza critica, ma anche per superare soggettività negative e raggiungere un maggiore empowerment. Condividere esperienze, paure, strategie in uno “spazio sicuro” è stato liberatorio. Maider lo descrive benissimo: “Quando ho iniziato mi sentivo piccolissima, mi vergognavo di parlare il Batua… Ma attraverso il progetto ho capito che quello è il mio basco. (…) Mi sono sentita protetta nel progetto.”
Questa dimensione sociale è esplosa durante Euskaraldia. Sentirsi parte di qualcosa di più grande, unire le forze, sentirsi “legittimati” a parlare basco ha dato una spinta enorme a molti. Una partecipante ha detto: “La coscienza collettiva e la motivazione sono più potenti di quelle individuali. (…) Come collettività rivendichiamo di più.” Questo ci ricorda che la rivitalizzazione linguistica, anche se perseguita individualmente, è intrinsecamente un progetto collettivo.
L’Agency è un Viaggio, Non una Meta
Un’altra lezione importante: l’agency non è uno stato che si raggiunge una volta per tutte. È un processo, un “diventare”, una costruzione continua attraverso l’azione, con alti e bassi. Nessuno dei partecipanti ha agito in modo “agentivo” costantemente. Anche chi ha fatto grandi cambiamenti ha ammesso di non riuscire sempre a parlare basco in tutte le situazioni possibili. Leire parla di “alti e bassi” nel suo impegno. L’agency stessa è vulnerabile, specialmente in un contesto come Bilbao dove optare per il basco significa andare controcorrente e negoziare ogni singola interazione. Può essere estenuante.
Questo si sposa bene con l’idea dell’agency come performatività situata, in cui identità e soggettività sono sempre in divenire, in tensione con i discorsi e le categorizzazioni esterne.
Riflessioni Finali: Il Potere di Agire Insieme
Questo viaggio nel mondo dell’agency e delle mudas linguistiche nei Paesi Baschi ci mostra quanto sia cruciale sviluppare consapevolezza critica e agency trasformativa e riflessiva per cambiare soggettività e pratiche linguistiche. E non solo a livello individuale: questa agency può contribuire a mettere in discussione e trasformare l’ordine sociolinguistico circostante.
Abbiamo imparato che la trasformazione va intesa nei termini dei parlanti stessi e che, in contesti difficili, anche solo “fare spazio” all’uso di una lingua minoritaria è una forma di agency attivista. Il progetto PAR si è rivelato incredibilmente efficace nel promuovere questi processi. La combinazione di accompagnamento, riflessione individuale e collettiva, e l’azione concreta delle “sfide” linguistiche sono stati elementi chiave.
Insomma, la storia di questi studenti baschi è una storia di coraggio, di scoperta di sé e del potere che ognuno di noi ha, se supportato e consapevole, di plasmare non solo il proprio modo di parlare, ma anche un pezzetto del mondo che ci circonda. E ci ricorda che ogni sforzo di rivitalizzazione linguistica, per quanto possa iniziare da un singolo individuo, è, nel profondo, un progetto sociale che ci riguarda tutti.
Fonte: Springer
