Un operatore sanitario di comunità afghano, con mascherina, in un contesto rurale, intento a fornire assistenza o informazioni a membri della comunità, anch'essi con mascherine. L'immagine deve trasmettere dedizione e le sfide del contesto. Obiettivo da 35mm, luce naturale, colori leggermente desaturati per un effetto realistico e toccante, profondità di campo.

Afghanistan: Eroi Silenziosi della Sanità e le Battaglie Invisibili del COVID-19

Amici, mettetevi comodi perché oggi vi porto in un viaggio che tocca corde profonde, un viaggio nel cuore dell’Afghanistan durante uno dei periodi più bui della nostra storia recente: la pandemia di COVID-19. Ho letto uno studio illuminante, pubblicato su Springer, che ci apre gli occhi su una realtà spesso trascurata, quella degli Operatori Sanitari di Comunità (CHW) e delle sfide immani che hanno affrontato per garantire un briciolo di assistenza sanitaria essenziale. E ve lo racconto come se fossimo al bar, chiacchierando di cose importanti.

Chi Sono Questi Eroi Silenziosi? Gli Operatori Sanitari di Comunità (CHW)

Immaginatevi l’Afghanistan: un paese con un sistema sanitario già fragile, messo ulteriormente a dura prova da decenni di instabilità e risorse limitate. In questo contesto, i CHW sono figure cardine. Spesso volontari, per lo più uomini (l’80.9% secondo lo studio!) e radicati nelle aree rurali (87.2%), sono il primo, e a volte unico, contatto con il sistema sanitario per migliaia di persone. Pensate che in Afghanistan ci sono circa 27.547 CHW, e il loro compito è cruciale: promozione della salute, mobilitazione della comunità, servizi preventivi e clinici di base, soprattutto per malattie trasmissibili come malaria, diarrea, infezioni respiratorie, e per la salute materno-infantile. Sono il ponte tra la comunità e le strutture sanitarie più formali. Un lavoro improbo, considerando che molti sono analfabeti o hanno un’istruzione minima, ma la loro conoscenza del territorio e la fiducia che ispirano sono impagabili.

Cosa Hanno Scoperto i Ricercatori? Uno Sguardo da Vicino

Lo studio che mi ha tanto colpito ha coinvolto 107 cliniche di assistenza sanitaria di base in 9 province afghane, coprendo circa il 45% della popolazione totale del paese. I ricercatori hanno intervistato 110 CHW per capire, dalla loro prospettiva, quali fossero le barriere all’accesso e alla fornitura dei servizi sanitari essenziali, sia prima che durante la pandemia. E i risultati, amici, sono un pugno nello stomaco.

Le Barriere di Sempre: Accedere alla Salute in Afghanistan Prima del COVID

Anche prima che il mondo conoscesse il COVID-19, per un afghano ricevere cure non era una passeggiata. Secondo i CHW intervistati, le difficoltà maggiori erano:

  • Mancanza di informazioni sui servizi disponibili: ben il 66.3% ha segnalato questo problema. La gente semplicemente non sapeva quali servizi fossero disponibili o dove trovarli.
  • Mancanza di trasporti per raggiungere le strutture sanitarie: un ostacolo per il 47.2%.
  • Distanza eccessiva dalle strutture sanitarie: il 40.9% viveva troppo lontano.
  • Percezione di mancanza di medicinali nelle strutture: il 23.6% pensava che, anche arrivando in clinica, non avrebbe trovato le medicine necessarie.

Questi dati ci dipingono un quadro di difficoltà strutturali, dove la salute è un lusso per chi ha informazioni, mezzi di trasporto e vive vicino a un centro medico.

Un operatore sanitario di comunità afghano, uomo, sulla quarantina, con indosso abiti tradizionali e una mascherina chirurgica, mentre parla con una famiglia (madre con bambino piccolo) fuori da una modesta abitazione in un villaggio rurale afghano. Luce naturale del tardo pomeriggio, che crea ombre lunghe. Dettagli sull'ambiente circostante, come montagne sullo sfondo e terreno arido. Obiettivo da 35mm, profondità di campo per mettere a fuoco l'interazione. Tonalità seppia e blu duotone.

E Poi Arrivò il COVID: Nuove Paure, Nuovi Ostacoli

Con l’arrivo della pandemia, la situazione, se possibile, è peggiorata. Curiosamente, il 50.9% dei CHW ha riferito che non ci sono stati cambiamenti significativi nell’esperienza delle persone nell’accedere all’assistenza sanitaria. Questo potrebbe sembrare strano, ma forse indica che le barriere erano già talmente alte da non poter peggiorare più di tanto per alcuni aspetti, o che i CHW stessi hanno fatto miracoli per mantenere un minimo di continuità. Tuttavia, sono emerse nuove, pesanti barriere:

  • Paura di contrarre il COVID-19 nelle strutture sanitarie: il 32.7% della popolazione temeva di ammalarsi andando in clinica.
  • Paura di contrarre il COVID-19 uscendo di casa: il 30.9% aveva timore persino a mettere il naso fuori.
  • Interruzione dei trasporti pubblici: un problema per il 19%.
  • Calo del reddito familiare: il 18.1% ha sofferto le conseguenze economiche della pandemia, rendendo le cure ancora meno accessibili.
  • Tempi di attesa più lunghi nelle strutture: il 10% ha indicato questo come un deterrente.

Diciamocelo chiaramente: la paura, unita a difficoltà logistiche ed economiche, ha creato un mix micidiale che ha allontanato ulteriormente le persone dalle cure.

Dall’Altra Parte della Barricata: Le Sfide dei CHW

E i nostri CHW? Loro erano in prima linea, spesso senza le armi giuste. Nonostante più della metà avesse ricevuto una qualche formazione su come si diffonde il COVID-19 (67.2%), sul vaccino (65.4%) e sull’uso corretto delle mascherine (56.3%), le difficoltà non mancavano.
Un dato allarmante: il 27.2% ha dichiarato di non avere abbastanza mascherine a disposizione per lavorare in sicurezza. Immaginatevi dover affrontare una pandemia senza protezioni adeguate!
Le principali ragioni per cui rischiavano di contrarre il COVID-19 sul lavoro erano il contatto con molte persone (40.9%) e, appunto, la mancanza di dispositivi di protezione (27.2%).
Non solo: il 45.4% dei CHW ha riferito di sentirsi a volte stigmatizzato dalla comunità, che temeva potessero essere loro stessi veicolo di trasmissione del virus. Un paradosso crudele: essere lì per aiutare e venire visti come una minaccia.
Cosa chiedevano per poter svolgere al meglio il loro lavoro?

  • Supporto economico (37.2%)
  • Dispositivi di protezione individuale (37.2%)
  • Formazione o informazioni sul vaccino COVID-19 (36.3%)
  • Formazione o informazioni su come proteggersi dal COVID-19 durante il lavoro (33.6%)
  • Formazione o informazioni su come prevenire la trasmissione del COVID-19 nella comunità (33.6%)

È evidente che, nonostante la loro dedizione, questi operatori sono stati lasciati spesso soli a combattere una battaglia impari.

Cosa Possiamo Imparare? Soluzioni e Speranze

Questo studio non si limita a denunciare, ma offre anche spunti preziosi. La maggior parte delle barriere, secondo i CHW, potrebbe essere affrontata con interventi mirati:

  • Fornire informazioni chiare e accessibili sui servizi sanitari disponibili.
  • Organizzare trasporti per facilitare l’accesso alle cliniche.
  • Distribuire mascherine e altri DPI sia al personale sanitario che alla popolazione.

Ma c’è di più. I CHW potrebbero giocare un ruolo ancora più critico nella gestione delle emergenze e delle pandemie se i governi investissero seriamente sulle loro capacità e sulla loro motivazione. Questo significa:

  • Rivedere i programmi di formazione dei CHW per includere la gestione delle emergenze e delle pandemie a livello comunitario.
  • Aggiornare le loro mansioni (job description) di conseguenza.
  • Fornire incentivi economici, perché il volontariato ha un limite, soprattutto quando si rischia la vita.

Interessante notare il confronto con altri paesi. In India o Iran, i CHW sono prevalentemente donne, mentre in Afghanistan, come abbiamo visto, sono soprattutto uomini. Questo pone una sfida ulteriore, perché le donne afghane potrebbero sentirsi più a loro agio a discutere di questioni riproduttive e di gravidanza con altre donne. La politica nazionale prevede già coppie di CHW (un uomo e una donna) per ogni area, ma l’implementazione su tutto il territorio è ancora un miraggio.

Interno di una clinica sanitaria rurale di base in Afghanistan, poco illuminata. Un operatore sanitario di comunità (CHW), forse una donna per variare, con mascherina, guarda con espressione stanca ma determinata una scatola quasi vuota di mascherine su un semplice tavolo di legno. Alle sue spalle, scaffali con poche forniture mediche. Luce filtrata da una piccola finestra. Obiettivo macro da 60mm per focalizzarsi sulle mani del CHW e sulla scatola di mascherine, alta definizione dei dettagli. Atmosfera di scarsità e resilienza.

La paura di contrarre il COVID-19 nelle strutture sanitarie è un osso duro. Per contrastarla, i governi dovrebbero usare i media per fornire informazioni aggiornate e regolari, coinvolgendo figure di riferimento come leader religiosi o sportivi. Condividere storie di successo di persone guarite potrebbe anche aiutare.
E il problema dei costi? In Afghanistan, la spesa sanitaria è per il 77.2% a carico dei cittadini (out-of-pocket). Una cifra spaventosa! Servono soluzioni sistemiche: assicurazioni sanitarie per i dipendenti pubblici, acquisto strategico di servizi sanitari da parte di terzi, fondi di beneficenza.

Uno Sguardo Oltre i Confini e le Criticità dello Studio

Certo, ogni studio ha i suoi limiti. In questo caso, i ricercatori hanno intervistato i CHW e non direttamente i membri della comunità. Inoltre, non ci sono state domande aperte o focus group che avrebbero potuto fornire informazioni più sfumate. Gli stessi autori suggeriscono indagini future che coinvolgano direttamente la popolazione e figure comunitarie come i Mullah Imam.
Nonostante ciò, il messaggio arriva forte e chiaro: migliorare l’informazione, i trasporti e la disponibilità di protezioni può fare una differenza enorme.

Un Appello Finale: Sostenere Chi Sostiene le Comunità

Amici, la storia che emerge da questo studio è una storia di resilienza, di sfide enormi, ma anche di potenzialità incredibili. I CHW in Afghanistan, e in molti altri contesti difficili, sono la linfa vitale dei sistemi sanitari comunitari. Investire su di loro, sulla loro formazione, sulla loro protezione e sulla loro motivazione non è solo un atto di giustizia, ma una strategia lungimirante per costruire comunità più sane e resilienti, capaci di affrontare non solo le pandemie, ma tutte le sfide sanitarie quotidiane. Il Ministero della Sanità Pubblica afghano, l’OMS e l’UNICEF hanno ora dati concreti su cui lavorare per migliorare davvero le cose. E speriamo che lo facciano, perché questi eroi silenziosi meritano tutto il nostro supporto.

Fonte: Springer

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