Adenocarcinoma Polmonare: Svelato un Nuovo Trucco del Tumore per Eludere le Terapie EGFR!
Amici, oggi voglio portarvi nel cuore pulsante della ricerca oncologica, un campo dove ogni giorno lottiamo per capire meglio i nostri avversari, i tumori, e per trovare nuove armi per sconfiggerli. In particolare, ci concentreremo sull’adenocarcinoma polmonare (LUAD) con mutazioni del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR). Queste mutazioni sono un bersaglio d’oro per terapie mirate, i cosiddetti inibitori della tirosin-chinasi dell’EGFR (EGFR-TKI), che inizialmente funzionano alla grande. Ma, ahimè, c’è un “ma” grande come una casa: la resistenza.
Il rompicapo della resistenza ai farmaci EGFR
Immaginate di avere una chiave perfetta per una serratura (il farmaco per il recettore EGFR mutato). All’inizio apre la porta senza problemi, bloccando la crescita del tumore. Però, con il tempo, la serratura cambia forma e la chiave non funziona più. Questo è ciò che accade con la resistenza agli EGFR-TKI. Spesso, questa resistenza è dovuta a nuove mutazioni genetiche nel gene EGFR stesso, come la famigerata T790M, o ad alterazioni in altre vie di segnalazione. Farmaci di terza generazione come l’Osimertinib sono stati sviluppati per superare alcune di queste resistenze, ma anche contro questi, il tumore, prima o poi, trova una scappatoia. E la cosa frustrante è che in quasi metà dei casi di tumori resistenti, anche analizzando l’intero genoma, non riusciamo a trovare lesioni genetiche che spieghino direttamente questa nuova capacità del tumore di fregarsene delle cure.
A volte, il tumore cambia completamente identità, trasformandosi istologicamente in un carcinoma a piccole cellule (SCLC) o in un carcinoma squamoso (SQ). Questo ci suggerisce che entrano in gioco meccanismi epigenetici, cioè modifiche che non alterano la sequenza del DNA ma cambiano come i geni vengono letti ed espressi. Ma anche queste trasformazioni non spiegano tutti i casi. C’era bisogno di scavare più a fondo.
La nostra arma segreta: gli organoidi polmonari
Per affrontare questo mistero, abbiamo deciso di creare qualcosa di veramente speciale: una biobanca vivente di organoidi tumorali polmonari. Cosa sono gli organoidi? Immaginateli come mini-tumori coltivati in laboratorio, direttamente dalle cellule dei pazienti. Questi “avatar” tumorali mantengono molte delle caratteristiche del tumore originale, inclusa la sua risposta (o non risposta) ai farmaci. La nostra collezione, che abbiamo chiamato ELCOL (EGFR-mutant Lung Cancer Organoid Library), è unica perché include 39 linee di organoidi derivati da pazienti con LUAD EGFR-mutato, molti dei quali avevano già sviluppato resistenza agli EGFR-TKI. Alcuni pazienti ci hanno persino fornito campioni in momenti diversi, prima e dopo la terapia, permettendoci di studiare l’evoluzione della resistenza “in diretta”.
Questi organoidi hanno mostrato una diversità incredibile: alcuni mantenevano l’aspetto dell’adenocarcinoma, altri si erano trasformati in carcinoma squamoso, neuroendocrino a grandi cellule (LCNEC) o a piccole cellule, proprio come accade nei pazienti. Questa biobanca è diventata una risorsa preziosissima.

Analizzando il genoma di questi organoidi (con una tecnica chiamata Whole Exome Sequencing, WES), abbiamo confermato le mutazioni EGFR attese e, nei campioni post-trattamento, le mutazioni di resistenza note come T790M e C797S. Abbiamo anche notato una prevalenza maggiore della mutazione RB1, spesso legata alla trasformazione in SCLC. Curiosamente, una linea con mutazione RB1 proveniva da un paziente con LUAD mai trattato, che poi ha sviluppato SCLC dopo la terapia EGFR-TKI, suggerendo che alcune mutazioni potrebbero predisporre a future trasformazioni. Ma, come dicevo, in molti organoidi resistenti, specialmente all’Osimertinib, non c’erano “pistole fumanti” genetiche.
La scoperta del “Basal-Shift”: un tumore camaleontico
Qui entra in gioco l’analisi del trascrittoma, cioè l’insieme di tutti gli RNA messaggeri, che ci dice quali geni sono attivi in un dato momento. Confrontando gli organoidi LUAD “naïve” (mai trattati), quelli resistenti con mutazioni note, e quelli resistenti senza mutazioni note, insieme a organoidi di carcinoma squamoso (SQ) e a piccole cellule (SCLC) primari, abbiamo fatto una scoperta affascinante. Alcuni organoidi LUAD resistenti, quelli senza chiare lesioni genetiche di resistenza, si posizionavano in un’area intermedia tra i LUAD classici e i carcinomi squamosi. Sembrava avessero acquisito caratteristiche di entrambi!
Abbiamo chiamato questo fenomeno “basal-shift”. Questi organoidi mostravano una parziale sovraregolazione di marcatori tipici del carcinoma squamoso (come KRT5, KRT14, TP63) pur mantenendo, in una certa misura, l’espressione di geni tipici dell’adenocarcinoma (come AQP5, un marcatore alveolare). Era come se il tumore, per sopravvivere all’attacco farmacologico, avesse iniziato a “travestirsi”, adottando un’identità ibrida. L’analisi dell’epigenoma (ATAC-seq), che studia le regioni accessibili del DNA, ha confermato che in questi organoidi “basal-shift” si attivavano regioni del genoma tipiche delle cellule squamose.
Per capire se questo fenotipo ibrido fosse dovuto a un miscuglio di cellule diverse (alcune LUAD, alcune SQ) o a cellule che esprimevano contemporaneamente entrambi i programmi, siamo passati all’analisi a singola cellula (scRNA-seq). I risultati hanno indicato che le cellule tumorali “basal-shift” sono davvero intermedie, co-esprimendo, seppur a livelli variabili, geni di entrambe le linee cellulari. L’immunoistochimica su organoidi derivati da singole cellule ha poi visualizzato questa eterogeneità, con cellule che esprimevano AQP5 (marcatore LUAD) e altre TP63 (marcatore squamoso/basale), e raramente entrambe nella stessa cellula, ma all’interno dello stesso organoide. Questo suggerisce che i tumori LUAD possono adottare questa strategia “basal-shift” per tollerare il trattamento con EGFR-TKI.

NKX2-1: l’interruttore che scatena la trasformazione
Ma come avviene questo “cambio di pelle”? Ci siamo chiesti quale fosse l’interruttore molecolare. Analizzando le alterazioni genetiche, abbiamo notato che gli organoidi “basal-shift” avevano più frequentemente una perdita del gene CDKN2A/B. Tuttavia, la perdita di CDKN2A/B da sola non sembrava sufficiente a indurre la trasformazione e la resistenza. Serviva qualcos’altro.
L’analisi dell’accessibilità della cromatina (ATAC-seq) ci ha dato un indizio cruciale: negli organoidi “basal-shift” c’era una ridotta attività di NKX2-1. NKX2-1 è un fattore di trascrizione fondamentale per mantenere l’identità delle cellule alveolari polmonari, da cui spesso originano gli adenocarcinomi. E infatti, sia a livello di RNA che di proteina, NKX2-1 era meno espresso in questi tumori trasformati. Bingo!
Per testare direttamente il ruolo di NKX2-1, abbiamo usato la “chirurgia genetica” (CRISPR-Cas9) per “spegnere” NKX2-1 in organoidi LUAD sensibili all’Osimertinib. Ebbene, dopo un mese di trattamento con Osimertinib, gli organoidi senza NKX2-1 hanno iniziato a esprimere TP63 (il marcatore squamoso/basale) e sono diventati resistenti al farmaco! Questo ci dice che la perdita di NKX2-1 non solo media la trasformazione “basal-shift” ma è anche essenziale per la resistenza agli EGFR-TKI. In pratica, perdendo NKX2-1, le cellule sembrano regredire a uno stato più “basale”, meno dipendente dalla via di EGFR per la loro sopravvivenza e crescita.
Una nuova speranza: gli inibitori di CDK4/6
La buona notizia è che questa trasformazione “basal-shift”, spesso associata alla perdita del gene CDKN2A/B (un soppressore tumorale che regola il ciclo cellulare attraverso CDK4/6), apre una nuova porta terapeutica. Abbiamo testato una batteria di 54 farmaci sui nostri organoidi e abbiamo scoperto che quelli “basal-shift”, specialmente se con perdita di CDKN2A/B, erano particolarmente sensibili agli inibitori di CDK4/6 (come Palbociclib e Abemaciclib). Questi farmaci bloccano la proliferazione cellulare.
Questa sensibilità è stata confermata su un set più ampio di organoidi: quelli con mutazione EGFR e perdita di CDKN2A/B rispondevano bene agli inibitori di CDK4/6, indipendentemente dal fatto che fossero “basal-shift” o meno. È interessante notare che gli adenocarcinomi con mutazione KRAS e perdita di CDKN2A/B erano invece relativamente resistenti, suggerendo che il contesto genetico è importante.

Ovviamente, non ci siamo fermati ai dati in vitro. Abbiamo testato il Palbociclib su modelli animali (topi) in cui avevamo impiantato gli organoidi “basal-shift” con perdita di CDKN2A/B. Il trattamento con Palbociclib ha soppresso significativamente la crescita di questi tumori, mentre non ha avuto effetto su quelli “non-basal-shift” senza perdita di CDKN2A/B. Questo ci fornisce una solida base preclinica per pensare di utilizzare gli inibitori di CDK4/6 per trattare i pazienti con LUAD EGFR-mutato resistente che hanno sviluppato questo fenotipo “basal-shift” e presentano la perdita di CDKN2A/B.
Implicazioni e prospettive future
Quindi, cosa significa tutto questo? Beh, per prima cosa, abbiamo identificato un nuovo, importante meccanismo di resistenza agli EGFR-TKI, la trasformazione “basal-shift”, che potrebbe riguardare circa un quarto dei casi di resistenza secondaria. Abbiamo anche svelato il ruolo cruciale della perdita di NKX2-1 in questo processo e, cosa più importante, abbiamo trovato una potenziale vulnerabilità terapeutica: gli inibitori di CDK4/6 per i tumori “basal-shift” con perdita di CDKN2A/B.
La nostra biobanca di organoidi ELCOL si è dimostrata uno strumento potentissimo, non solo per testare farmaci ma anche per svelare i meccanismi biologici alla base della resistenza. Questo studio sottolinea l’importanza di utilizzare modelli clinicamente rilevanti per comprendere a fondo come i tumori evolvono sotto la pressione delle terapie e per sviluppare strategie innovative per superare il fallimento terapeutico. La strada è ancora lunga, ma ogni scoperta come questa ci avvicina un po’ di più all’obiettivo di rendere il cancro al polmone una malattia sempre più curabile. E noi, ve lo assicuro, non molliamo!
Fonte: Springer
