Riscaldamento Globale: E se Adattarsi Aiutasse? Il Feedback Energetico Inatteso
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi ha davvero fatto riflettere sul cambiamento climatico e su come noi esseri umani stiamo reagendo. Sappiamo tutti che dobbiamo adattarci a un clima che cambia, giusto? Fa più caldo, quindi usiamo più aria condizionata; fa meno freddo d’inverno (in media), quindi forse usiamo meno riscaldamento. Ma c’è un dubbio che tormenta scienziati e policy maker: tutte queste risposte comportano un uso di energia, spesso prodotta da fonti fossili. Non è che, nel tentativo di adattarci, finiamo per peggiorare la situazione, emettendo ancora più CO2 e accelerando il riscaldamento globale? È una domanda da un milione di dollari, o meglio, da trilioni!
Cos’è questo “Feedback Climatico da Adattamento”?
Gli scienziati chiamano questo potenziale circolo vizioso Climate Adaptation Feedback (CAF). In pratica, è l’effetto che le nostre azioni di adattamento (in questo caso, legate all’uso di energia) hanno sul clima stesso. L’idea che ha preoccupato molti è che l’aumento della domanda di raffreddamento, soprattutto nei paesi caldi e in via di sviluppo, potesse portare a un’impennata delle emissioni, creando un feedback positivo: più caldo -> più condizionatori -> più emissioni -> ancora più caldo. Un bel pasticcio, no?
Però, la faccenda è più complessa. Perché se è vero che useremo più energia per raffrescare, è anche vero che il riscaldamento globale significa inverni meno rigidi in molte parti del mondo. E questo cosa comporta? Meno bisogno di riscaldamento! Quindi abbiamo due forze opposte:
- Aumento del consumo energetico per il raffreddamento (soprattutto elettricità).
- Diminuzione del consumo energetico per il riscaldamento (spesso da “altri combustibili” come gas, gasolio, biomasse).
Il segno del CAF – positivo (peggiora il riscaldamento) o negativo (lo attenua) – dipende da quale di queste due forze prevale su scala globale e nel tempo. E non è scontato, perché l’intensità di CO2 (quante emissioni per unità di energia) varia tantissimo: pensate all’elettricità prodotta quasi tutta da carbone in un paese rispetto a quella prodotta da idroelettrico in un altro. O al riscaldamento a gas rispetto a quello a legna.
Un Approccio Basato sui Dati per Capirci Qualcosa
Per cercare di sbrogliare questa matassa, insieme ad altri ricercatori abbiamo sviluppato un approccio nuovo, basato su dati reali e proiezioni ad alta risoluzione. Invece di usare modelli economici complessi (i cosiddetti Integrated Assessment Models, IAMs) che fanno ipotesi su come i governi o le persone *dovrebbero* comportarsi in modo ottimale, abbiamo guardato a come la gente ha *effettivamente* reagito ai cambiamenti di temperatura in passato, usando dati dettagliatissimi sul consumo di energia (elettricità e altri combustibili) da quasi tutto il mondo (142 paesi!).
Abbiamo combinato queste stime su come cambia la domanda di energia al variare delle temperature giornaliere con:
- Proiezioni climatiche future (usando diversi modelli e scenari di emissioni, come i famosi RCP 4.5 e 8.5).
- Proiezioni socio-economiche (come cambieranno reddito e popolazione, secondo gli scenari SSP).
- Dati specifici per paese sull’intensità di CO2 dell’elettricità e degli altri combustibili.
Questo ci ha permesso di calcolare, anno per anno fino al 2099, quante emissioni di CO2 in più (o in meno!) saranno causate globalmente dal solo adattamento energetico. E da lì, abbiamo stimato l’impatto sulla temperatura media globale (GMST).
La Sorpresa: l’Adattamento Energetico Potrebbe Raffreddare (un po’) il Pianeta!
E qui arriva la sorpresa, quella che va un po’ controcorrente rispetto alle preoccupazioni iniziali. I nostri risultati indicano che il Climate Adaptation Feedback (CAF) dovuto all’energia è probabilmente negativo! Cosa significa? Che, al netto, la riduzione delle emissioni dovuta al minor bisogno di riscaldamento sembra superare l’aumento delle emissioni dovuto al maggior bisogno di raffreddamento.
Nello specifico, stimiamo che entro il 2099, questo effetto di adattamento energetico potrebbe abbassare la temperatura media globale di circa 0.07°C nello scenario di emissioni moderate (RCP4.5) e di 0.12°C nello scenario più pessimistico (RCP8.5), rispetto a quanto ci si aspetterebbe senza considerare questo feedback. Sembra poco? Beh, 0.12°C equivalgono a circa 6 anni di riscaldamento ai ritmi recenti! E in termini economici, questo “raffreddamento” eviterebbe danni climatici stimati tra 0.6 e 1.8 trilioni di dollari (USD 2019), a seconda dello scenario.
Da dove viene questo risultato? Scomponendo il CAF, vediamo che:
- L’aumento del consumo di elettricità (per raffreddare) da solo causerebbe un leggero riscaldamento aggiuntivo (+0.06°C nel 2099, scenario RCP8.5).
- Ma la diminuzione del consumo di altri combustibili (per riscaldare meno) causa un raffreddamento ben maggiore (-0.18°C), che più che compensa l’effetto dell’elettricità.
È fondamentale considerare entrambi gli aspetti e anche le enormi differenze tra paesi nell’intensità di CO2 delle loro fonti energetiche. Ignorare questa eterogeneità porterebbe a sottostimare l’effetto raffreddante del CAF di quasi il 40%!
Implicazioni Globali: Equità e Politiche Climatiche
Questo risultato ha implicazioni importanti. Prima di tutto, ridimensiona un po’ la preoccupazione che l’adattamento dei paesi più ricchi (che possono permettersi più condizionatori) finisca per danneggiare ulteriormente i paesi più poveri accelerando il riscaldamento. Sembra che, almeno per questo specifico meccanismo, non sia così probabile.
Ma c’è un altro lato della medaglia, forse più spinoso. Abbiamo scoperto che la stragrande maggioranza dei paesi (l’85%) vedrà una riduzione netta delle proprie emissioni dovuta a questo adattamento energetico “spontaneo”. E chi beneficia di più di questa “riduzione gratuita” (abatement)? Sorprendentemente, sono proprio i paesi con le maggiori emissioni storiche! Ad esempio, gli Stati Uniti potrebbero vedere una riduzione di oltre 10 miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2100 solo grazie a questo effetto, senza alcuna politica di mitigazione aggiuntiva. I paesi in via di sviluppo, con emissioni storiche basse, ne beneficiano molto meno.
Questo ci porta a riflettere sugli impegni di riduzione delle emissioni presi dai vari paesi (i famosi Nationally Determined Contributions, NDCs dell’Accordo di Parigi). Se una parte significativa della riduzione delle emissioni avviene “da sola” grazie all’adattamento, allora gli impegni presi potrebbero essere meno ambiziosi di quanto sembrino. In media, per i paesi con impegni a lungo termine che abbiamo analizzato, questo adattamento energetico potrebbe coprire circa il 20% della riduzione richiesta entro il 2050! Per alcuni paesi, addirittura più del 100%, significa che raggiungerebbero i loro target NDC senza fare quasi nulla in termini di politiche specifiche. Questo suggerisce che, per mantenere l’equità e l’ambizione climatica, i paesi storicamente più inquinanti dovrebbero forse rivedere al rialzo i loro obiettivi, tenendo conto di questo “sconto” inaspettato.
Limiti e Prospettive Future
Ovviamente, come ogni studio, anche il nostro ha dei limiti. Ci basiamo su proiezioni che assumono scenari socio-economici (SSP) e di emissioni (RCP) fissi, senza considerare appieno come questi potrebbero interagire dinamicamente con il feedback che abbiamo calcolato. Non abbiamo incluso l’adattamento nel settore dei trasporti (mancano dati globali affidabili) e non abbiamo potuto quantificare direttamente l’effetto sui gas serra diversi dalla CO2 (anche se il nostro metodo per stimare l’impatto sulla temperatura ne tiene conto indirettamente). Inoltre, le nostre stime si basano su come la gente ha reagito *in passato*; future politiche, tecnologie o cambiamenti nelle preferenze potrebbero alterare queste risposte.
È interessante notare che i nostri risultati sono in contrasto con altri studi recenti, alcuni dei quali stimavano un CAF positivo (cioè un riscaldamento aggiuntivo). Le differenze possono dipendere dai metodi usati (noi dati empirici vs. loro modelli IAM), dalla granularità dei dati sull’energia e dalle ipotesi fatte. Questo evidenzia quanto sia complesso il problema e quanto sia importante continuare la ricerca integrando diverse discipline e approcci.
Cosa ci portiamo a casa?
La scoperta principale è che l’adattamento energetico al cambiamento climatico, contrariamente a certe paure, probabilmente non accelererà il riscaldamento globale, ma potrebbe anzi attenuarlo leggermente. Questo è dovuto al fatto che la riduzione del bisogno di riscaldamento (spesso basato su combustibili più “sporchi” per unità di energia) sembra avere un impatto maggiore, in termini di emissioni evitate, rispetto all’aumento del bisogno di raffreddamento (spesso elettrico e potenzialmente più “pulito” in futuro).
Questa però non è una scusa per rilassarsi sulla mitigazione! Anzi, il fatto che questo feedback esista e sia negativo complica le cose, soprattutto per la definizione e la valutazione degli obiettivi climatici nazionali (NDCs). Evidenzia un legame intrinseco tra adattamento e mitigazione che spesso si è cercato di tenere separato. Le politiche di mitigazione dovranno tenere conto degli effetti “automatici” dell’adattamento, e l’adattamento stesso può essere visto, in parte, come un canale aggiuntivo (anche se non intenzionale) di mitigazione.
Insomma, la risposta umana al cambiamento climatico è complessa e piena di sorprese. Capire questi feedback comportamentali è cruciale per fare proiezioni climatiche più accurate e per disegnare politiche più efficaci ed eque. C’è ancora tanto lavoro da fare per integrare meglio le scienze climatiche, economiche e sociali!
Fonte: Springer