Panoramica spettacolare di una catena montuosa innevata nell'ovest degli Stati Uniti al tramonto. In primo piano scorre un fiume limpido e serpeggiante, originato dallo scioglimento delle nevi visibili sulle cime. La luce calda del sole illumina le vette. Obiettivo grandangolare 10mm, paesaggio, messa a fuoco nitida, lunga esposizione per acqua liscia, colori vividi del tramonto.

Il Segreto Nascosto dei Fiumi del West USA: L’Acqua Sotterranea è la Vera Star dello Scioglimento delle Nevi!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi ha davvero affascinato e che cambia un po’ le carte in tavola su come pensiamo all’acqua che scorre nei nostri fiumi, specialmente in quelle zone montuose coperte di neve per una parte dell’anno, come l’ovest degli Stati Uniti. Siamo abituati a pensare che quando la neve si scioglie in primavera, quell’acqua fresca finisca dritta dritta nei fiumi, aumentandone la portata quasi subito. Logico, no? Beh, tenetevi forte, perché le cose sono un po’ più complesse e, se volete la mia opinione, molto più interessanti!

Una recente ricerca, basata su un metodo super affascinante chiamato datazione con il trizio (ne parliamo tra un attimo), ha rivelato una verità sorprendente: durante il periodo dello scioglimento delle nevi, gran parte dell’acqua che vediamo scorrere nei fiumi non è quella appena sciolta, ma acqua sotterranea, e nemmeno tanto giovane!

Ma come funziona questa storia dell’età dell’acqua?

Immaginate di poter mettere un’etichetta invisibile su ogni goccia di pioggia o fiocco di neve che cade. Il trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno presente naturalmente nell’acqua (tranquilli, in quantità minime e innocue!), agisce un po’ come questa etichetta. Poiché decade a un ritmo noto (la sua “emivita” è di circa 12,3 anni), misurandone la quantità nell’acqua di un fiume o di una sorgente, possiamo stimare da quanto tempo quell’acqua si trova nel sottosuolo, ovvero la sua “età media”.

Ebbene, analizzando campioni d’acqua prelevati in 42 bacini idrografici sparsi nell’ovest degli USA, abbiamo fatto scoperte notevoli. In pieno inverno, quando i fiumi sono alimentati principalmente dalle riserve sotterranee (il cosiddetto flusso di base), l’acqua ha un’età media di circa 10,4 anni. Già questo ci dice che l’acqua nel sottosuolo non è di passaggio, ma ci rimane per un bel po’.

Ma la vera sorpresa è arrivata analizzando l’acqua durante il picco dello scioglimento primaverile/estivo. Ci si aspetterebbe acqua molto “giovane”, giusto? Invece no! L’età media dell’acqua nei fiumi durante questo periodo è risultata essere di ben 5,7 anni! Facendo due conti con un modello di miscelazione, questo significa che, in media, circa il 58% dell’acqua che scorre nei fiumi durante lo scioglimento delle nevi proviene da riserve sotterranee più vecchie, non dalla neve appena sciolta. È come se la neve che si scioglie agisse più come una spinta, “spremendo” fuori l’acqua più vecchia già immagazzinata nel terreno.

Ampia veduta di un paesaggio montano nell'ovest degli Stati Uniti in primavera. Cime ancora innevate sullo sfondo, pendii verdi in primo piano e un fiume che scorre vigoroso, alimentato dallo scioglimento delle nevi. Obiettivo grandangolare 10-24mm, lunga esposizione per rendere l'acqua del fiume liscia e setosa, messa a fuoco nitida sull'intero paesaggio.

Non tutti i bacini sono uguali: la geologia fa la differenza

Un altro aspetto super interessante emerso è che non tutti i bacini idrografici si comportano allo stesso modo. La chiave sembra essere la geologia del sottosuolo. Abbiamo notato una differenza netta tra due tipi principali di bacini:

  • Bacini con rocce a bassa permeabilità: Come graniti o scisti (hard rock/shale). Qui l’acqua fa più fatica a infiltrarsi e a muoversi nel sottosuolo. Risultato? L’acqua sotterranea e quella del fiume durante lo scioglimento sono mediamente più “giovani” (circa 6,5 anni per il flusso di base e 3,6 anni per lo scioglimento). C’è meno stoccaggio d’acqua nel sottosuolo e il sistema risponde in modo più “efficiente”, nel senso che una maggior percentuale della precipitazione diventa rapidamente deflusso superficiale (maggiore “efficienza di deflusso”).
  • Bacini con rocce ad alta permeabilità: Come arenarie o rocce clastiche (sandstone/clastic). Qui l’acqua si infiltra e si muove più facilmente, creando riserve sotterranee più grandi e longeve. Infatti, l’acqua è significativamente più “vecchia” (circa 14 anni per il flusso di base e 8 anni per lo scioglimento). Questi bacini immagazzinano più acqua, ma hanno un’efficienza di deflusso minore, perché una parte maggiore dell’acqua immagazzinata viene probabilmente persa per evapotraspirazione (l’acqua usata dalle piante e quella che evapora dal suolo) nel corso del tempo.

Questa scoperta è fondamentale perché ci dice che il tipo di roccia sotto i nostri piedi determina quanto un bacino idrografico può immagazzinare acqua, per quanto tempo la trattiene e come risponderà ai cambiamenti climatici o a periodi di siccità.

Perché tutto questo è così importante? Cambiare prospettiva

Questi risultati mettono un po’ in discussione i modelli idrologici tradizionali che usiamo per prevedere la disponibilità d’acqua. Molti di questi modelli si basano sull’idea che l’acqua segua percorsi relativamente veloci – dalla neve al fiume passando per uno strato superficiale di suolo – e che il bilancio idrico si chiuda più o meno ogni anno, senza grandi “avanzi” o “debiti” d’acqua da un anno all’altro (assunzione di chiusura annuale del bilancio idrico).

I nostri dati, invece, suggeriscono un quadro diverso (vedi Figura 4b nell’articolo originale, che qui non posso mostrare ma immaginatevela!): sotto lo strato superficiale del suolo, c’è una capacità di immagazzinamento d’acqua molto più grande, nella roccia fratturata e alterata (saprolite e bedrock), che può contenere acqua per anni, persino decenni! Abbiamo calcolato che lo stoccaggio attivo di acqua in questi bacini potrebbe essere equivalente a diversi anni di precipitazioni medie (fino a 8 volte nei bacini più permeabili!).

Primo piano di rocce fratturate vicino a un corso d'acqua montano, con acqua che visibilmente filtra dalle fessure. Simboleggia l'infiltrazione e lo stoccaggio dell'acqua nel sottosuolo roccioso. Obiettivo macro 60-105mm, alta definizione dei dettagli della roccia e dell'acqua, illuminazione controllata per enfatizzare le texture.

Questo “serbatoio nascosto” spiega molte cose:

  • Perché la chimica dell’acqua dei fiumi assomiglia più a quella delle acque sotterranee che a quella della pioggia o neve fresca.
  • Come le foreste di montagna riescano a sopravvivere a più anni consecutivi di siccità, attingendo a queste riserve profonde.
  • Perché le risposte dei fiumi ai cambiamenti (climatici, incendi, ecc.) possono essere così variabili e difficili da prevedere senza considerare questo stoccaggio multi-annuale.

Implicazioni pratiche per il futuro

Capire che l’acqua dei fiumi durante lo scioglimento è vecchia di anni e dipende fortemente dallo stoccaggio sotterraneo ha implicazioni concrete immediate per la gestione delle risorse idriche, specialmente in un’epoca di cambiamenti climatici accelerati e siccità crescenti:

  1. Monitoraggio Migliore: Campionare il trizio regolarmente (inverno e durante lo scioglimento) potrebbe dare ai gestori idrici informazioni preziose sull’età e sul volume dell’acqua immagazzinata, aiutando a calibrare meglio i modelli previsionali.
  2. Tracciare la Ricarica Post-Siccità: Misurazioni invernali ripetute del trizio permetterebbero di monitorare come e quanto velocemente le riserve sotterranee si ricaricano dopo periodi di siccità.
  3. Previsioni Più Accurate: Sapere che lo stoccaggio sotterraneo influenza l’efficienza del deflusso permette di sviluppare strumenti previsionali migliori. Già ora, semplici misure del flusso di base invernale (un indicatore dello stoccaggio) stanno aiutando a ridurre l’incertezza nelle previsioni del deflusso primaverile in alcune aree.
  4. Anticipare le Risposte ai Disturbi: Conoscere la geologia di un bacino può aiutarci ad anticipare come risponderà a eventi come siccità o incendi. Ad esempio, la vegetazione in bacini con rocce poco permeabili (meno stoccaggio) potrebbe essere più vulnerabile alla siccità.

In sostanza, dobbiamo iniziare a pensare ai bacini idrografici montani non solo come “imbuti” che raccolgono la neve sciolta, ma come complesse “spugne” geologiche che immagazzinano acqua per anni, rilasciandola lentamente e mediando gli effetti del clima su scale temporali più lunghe di quanto pensassimo. È un cambio di paradigma fondamentale per gestire in modo più saggio e sostenibile una risorsa preziosa come l’acqua, oggi più che mai.

Vista aerea di un grande bacino idrico o lago artificiale incastonato tra montagne nell'ovest USA. Il livello dell'acqua potrebbe apparire non al massimo, suggerendo le sfide della gestione idrica. Obiettivo grandangolare 10-24mm, ripresa da un punto elevato o drone, messa a fuoco nitida, luce del tardo pomeriggio per enfatizzare le forme del paesaggio.

Fonte: Springer

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