Immagine concettuale di batteri Acinetobacter baumannii con geni di resistenza (blaNDM-1) evidenziati in rosso brillante, fluttuanti all'interno di una stilizzazione dell'intestino umano, con un effetto di profondità di campo, obiettivo 35mm, duotone blu scuro e rosso per enfatizzare la minaccia nascosta.

Acinetobacter ST164 NDM-1: Cronaca di un Superbatterio dall’Intestino Cinese

Ciao a tutti, appassionati di scienza e curiosi! Oggi voglio parlarvi di una storia che sembra uscita da un film di fantascienza, ma che purtroppo è realtà e riguarda la nostra salute. Immaginate un nemico invisibile, un batterio così furbo da resistere a quasi tutti i nostri antibiotici più potenti. Sto parlando dell’Acinetobacter baumannii, e in particolare di un ceppo che sta dando parecchio filo da torcere: l’ST164 positivo al gene blaNDM-1.

Questo batterio, specialmente nella sua versione resistente ai carbapenemi (i cosiddetti CRAB), è una vera e propria minaccia globale, soprattutto nelle unità di terapia intensiva (UTI). E se vi dicessi che abbiamo scovato un suo nascondiglio un po’ insolito? Proprio di questo tratta uno studio recente che mi ha particolarmente colpito.

Un Ospite Indesiderato nell’Intestino: Il Caso di Hangzhou

La nostra storia inizia in Cina, più precisamente a Hangzhou. Qui, i ricercatori hanno isolato due ceppi di questo superbatterio, chiamati L4773hy e L4796hy, non da una ferita infetta o dai polmoni, come ci si potrebbe aspettare, ma… dall’intestino di un paziente in terapia intensiva! Sì, avete capito bene. Questi batteri stavano colonizzando l’intestino, un ambiente che sempre più si sta rivelando un serbatoio nascosto per patogeni multi-resistenti.

Il paziente in questione era ricoverato per una polmonite grave con complicazioni e aveva ricevuto terapie antibiotiche. Questo, purtroppo, è un copione abbastanza comune: gli antibiotici, pur salvavita, possono alterare la flora intestinale e creare spazio per questi “cattivi ragazzi”.

Sotto la Lente: Cosa ci Dice il DNA del Batterio?

Grazie al sequenziamento dell’intero genoma (una specie di carta d’identità super dettagliata del batterio), abbiamo scoperto cose affascinanti. Entrambi i ceppi appartengono al tipo ST164 (una sorta di “famiglia” specifica di A. baumannii) e, cosa cruciale, portano il gene blaNDM-1. Questo gene è una specie di ‘scudo’ potentissimo che rende il batterio resistente ai carbapenemi, antibiotici che consideriamo tra le nostre ultime linee di difesa. Non solo, erano resistenti anche a cefalosporine e fluorochinoloni, insomma, un vero osso duro!

Ma la vera sorpresa è stata scoprire dove si trova questo gene. Non su un pezzetto di DNA mobile chiamato plasmide, come spesso accade e che facilita il trasferimento tra batteri, ma direttamente integrato nel cromosoma del batterio, all’interno di una sequenza ben precisa: ISAba14-ISAba14-aphA-ISAba125-blaNDM-1-bleMBL. Sembra un codice segreto, vero? Questa struttura conservata suggerisce che il batterio ha ‘rubato’ questo gene da qualche altra parte (forse da un plasmide di un altro Acinetobacter) e se l’è tenuto stretto, integrandolo nel suo DNA principale. Questo è interessante perché il solito “veicolo” per blaNDM-1, il trasposone Tn125, qui non c’era nella sua forma classica. Un meccanismo di integrazione un po’ diverso dal solito, mediato probabilmente da queste sequenze di inserzione come ISAba14.

Immagine macro ad alta definizione di colonie di Acinetobacter baumannii su una piastra di agar sangue in un laboratorio di microbiologia, illuminazione controllata per evidenziare la morfologia delle colonie, obiettivo macro 100mm, messa a fuoco precisa.

Questa scoperta è importante perché la localizzazione cromosomica potrebbe significare una maggiore stabilità del gene di resistenza, anche se forse una minore facilità di trasferimento orizzontale rispetto ai plasmidi super mobili.

Un Nemico che si Diffonde: La Clonazione del Pericolo

Analizzando il DNA di molti ceppi ST164 di A. baumannii disponibili pubblicamente (ben 353 genomi!), è emerso un quadro preoccupante. In Cina, questo ceppo è particolarmente diffuso, e una grossa fetta (il 61,75%) degli isolati ST164 porta proprio il gene blaNDM-1. Sembra che ci sia una vera e propria diffusione clonale, come se una ‘famiglia’ di questi batteri super resistenti si stesse espandendo, soprattutto nell’area di Hangzhou. Pensate che ben il 95,37% dei ceppi ST164 blaNDM-1 positivi in Cina analizzati proviene da lì!

La maggior parte di questi ceppi cinesi ST164 NDM-1 positivi erano geneticamente molto simili, con differenze minime nel loro DNA (≤ 8 SNP, che è un indicatore di clonalità). Questo suggerisce che non si tratta di eventi di acquisizione indipendenti, ma di un vero e proprio clone (o un paio di cloni principali) che si sta diffondendo con successo, probabilmente favorito dalla pressione selettiva degli antibiotici negli ospedali.

Resistente Sì, Ma Più Cattivo? Non Proprio…

Ora, uno si aspetterebbe che un batterio così corazzato sia anche super virulento, cioè capace di causare malattie più gravi. Ebbene, i test ci hanno riservato un’altra sorpresa. Questi ceppi ST164 NDM-1 positivi sono bravissimi a sopravvivere quando messi sotto pressione dal nostro sistema immunitario (hanno mostrato alta resistenza al siero umano, mantenendo la vitalità dopo 180 minuti di incubazione). Questo è un vantaggio non da poco per persistere nell’ospite.

Però, quando testati in un modello di infezione (usando le larve di Galleria mellonella, una specie di tarma della cera molto usata per questi studi), non si sono dimostrati più ‘cattivi’ o letali di un ceppo standard di A. baumannii (ATCC 17978). Questo significa che, pur essendo difficilissimi da eradicare con gli antibiotici e capaci di eludere le difese immunitarie, potrebbero non causare infezioni intrinsecamente più aggressive. La loro pericolosità risiede principalmente nella loro resistenza e capacità di persistenza, che li rende difficili da trattare e facili da trasmettere in ambiente ospedaliero.

L’Intestino: Un Nascondiglio Sottovalutato

Il fatto che questi superbatteri siano stati trovati a colonizzare l’intestino è un campanello d’allarme enorme. L’intestino può agire come un serbatoio nascosto, da cui i batteri possono diffondersi ad altri pazienti, specialmente in ambienti critici come le terapie intensive. Un paziente colonizzato, anche se non manifesta sintomi di infezione attiva, può diventare un ‘untore’ involontario, contribuendo alla diffusione nosocomiale.

Fotografia di un ricercatore in un laboratorio di genomica che analizza sequenze di DNA su un computer, con grafici di alberi filogenetici visibili sullo schermo, profondità di campo, obiettivo 35mm, toni freddi blu e grigi.

Questo studio sottolinea l’importanza di non sottovalutare la colonizzazione intestinale come fattore chiave nell’epidemiologia dei CRAB. Pensateci: un batterio che vive tranquillo nel nostro intestino, pronto a colpire se le difese si abbassano o a passare a qualcun altro.

Cosa Significa Tutto Questo per Noi?

Questa scoperta è fondamentale. Ci dice che dobbiamo:

  • Potenziare la sorveglianza: Non basta cercare questi batteri solo nelle infezioni conclamate (sangue, polmoni), ma anche nei portatori, specialmente monitorando la colonizzazione intestinale in pazienti a rischio nelle UTI.
  • Migliorare le misure di controllo delle infezioni: L’igiene delle mani, la disinfezione ambientale rigorosa e, se necessario, l’isolamento da contatto dei pazienti colonizzati o infetti sono più cruciali che mai.
  • Usare gli antibiotici con saggezza (antimicrobial stewardship): L’uso eccessivo e inappropriato di antibiotici è il motore principale che seleziona e fa prosperare questi superbatteri. Ogni prescrizione deve essere ponderata.

La città di Hangzhou, con le sue grandi strutture mediche e l’alta mobilità dei pazienti, sembra essere diventata un hotspot per questi ceppi. Questo ci ricorda come i centri urbani densamente popolati possano facilitare la diffusione di patogeni resistenti.

Limiti e Prospettive Future

Certo, ogni studio ha i suoi limiti. Ad esempio, il meccanismo esatto con cui questa struttura genetica contenente blaNDM-1 si è integrata nel cromosoma e come si trasmette necessita di ulteriori indagini. Inoltre, i modelli animali come la Galleria mellonella, pur utili, non replicano perfettamente la complessità dell’infezione umana. Studi futuri, magari con modelli murini, potrebbero darci ancora più dettagli sulla reale ‘cattiveria’ e sulla patogenesi di questi ceppi nell’uomo.

In conclusione, l’Acinetobacter baumannii ST164 portatore di blaNDM-1 è un avversario temibile, reso ancora più insidioso dalla sua capacità di nascondersi nell’intestino e dalla sua diffusione clonale. La ricerca continua, ma una cosa è chiara: non possiamo abbassare la guardia. La comprensione di questi meccanismi, dei serbatoi e delle vie di diffusione è il primo, indispensabile passo per difenderci meglio. Alla prossima!

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *