Terra Contesa: L’Odissea dei Contadini Latinx negli USA tra Sogni e Barriere Invisibili
Ehi gente! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio, un po’ scomodo forse, ma necessario. Parliamo di terra, di sogni, di sudore e, purtroppo, di muri invisibili. Mi sono imbattuto in uno studio illuminante sull’accesso alla terra per i lavoratori e gli agricoltori Latinx immigrati negli Stati Uniti, e quello che ho scoperto mi ha fatto riflettere parecchio. Ve lo racconto, perché credo sia una storia che merita di essere ascoltata.
Un’eredità pesante: la storia non dimentica
Partiamo da un presupposto: l’agricoltura americana ha radici profonde, e non tutte sono luminose. Per generazioni, l’accesso alla proprietà terriera è stato, diciamocelo chiaramente, un club abbastanza esclusivo, spesso precluso a chi non fosse “bianco”. Questo ha creato un solco, una disuguaglianza razzializzata che pesa ancora oggi. Immaginatevi arrivare in un nuovo paese, con un bagaglio di conoscenze agricole magari secolari, pronti a rimboccarvi le maniche, e scoprire che il sistema sembra remare contro di voi solo per le vostre origini. È una doccia fredda, no?
Mentre i contadini bianchi “nativi” iniziano ad andare in pensione in massa – e parliamo di numeri importanti, con un bel pezzo di terra agricola americana che sta per cambiare mano – ci si aspetterebbe un’apertura. E invece, cosa succede? Grandi aziende, investitori, speculatori edilizi… tutti pronti a fare incetta di terreni. Per i nuovi arrivati, soprattutto per la comunità Latinx, trovare e acquistare terra a prezzi abbordabili diventa un’impresa titanica. Eppure, sono proprio loro, spesso con un passato da braccianti, a portare nuova linfa, nuove tecniche (pensate alle pratiche di coltivazione alternative!) e una voglia matta di mettere radici, letteralmente.
Chi sono questi “nuovi contadini americani”?
Molti di questi agricoltori sono immigrati, arrivati negli States in cerca di lavoro proprio nel settore agricolo. Hanno una competenza e un’esperienza che farebbero invidia a tanti. Nonostante la maggioranza dei proprietari terrieri agricoli negli USA sia ancora bianca e nata negli Stati Uniti, c’è un movimento interessante: immigrati dal Messico, molti dei quali si identificano come Indigeni, stanno cercando di salire la “scala sociale agraria”, avviando le proprie aziende agricole. Lo fanno nonostante esclusioni strutturali e legali che affondano le radici in una lunga storia di espropriazione e sfruttamento agrario.
Pensateci: usano le conoscenze acquisite coltivando la propria terra nei paesi d’origine, unite all’esperienza recente come braccianti migranti negli USA, per passare a gestire le proprie piccole fattorie. Ma mentre questi contadini messicani passano da lavoratori nei campi altrui a proprietari e gestori delle proprie attività, si scontrano con una realtà fatta di crescente consolidamento dei terreni e pressioni di mercato fortissime. È una sfida nella sfida.
E il paradosso? Circa la metà di tutti gli operatori agricoli e proprietari di terreni agricoli negli Stati Uniti sta raggiungendo l’età della pensione. I figli? Spesso non sono interessati a prendere in mano la fattoria di famiglia: troppo lavoro, impatti crescenti dei disastri climatici, profitti bassi e instabili. Si stima che nei prossimi vent’anni, il 25% degli agricoltori andrà in pensione, portando allo scambio del 70% dei terreni agricoli. Questi agricoltori uscenti sono più propensi ad affittare la loro terra per avere un reddito pensionistico piuttosto che venderla, e tendono a preferire affittuari o acquirenti che già conoscono. Capite bene che per un “nuovo” agricoltore, inserirsi in questo meccanismo è complicatissimo. Devono dividere il già limitato reddito agricolo tra l’affitto e altre necessità, come la stabilità personale o il reinvestimento nell’azienda.
Le sfide per accedere alla terra sono particolarmente ardue nelle aree urbane e peri-urbane, dove magari ci sarebbe un accesso migliore ai mercati diretti al consumatore. E intanto, il numero di fattorie e la quantità di terra usata per la produzione agricola sono diminuiti, mentre la dimensione media delle fattorie è aumentata. Risultato? Le piccole e medie aziende agricole stanno scomparendo. Quando un agricoltore è pronto a vendere, è più probabile che la sua terra venga assorbita da un’azienda agricola esistente in espansione o acquistata da sviluppatori non agricoli. Le grandi aziende, essendo più produttive economicamente, hanno valori terrieri più alti, limitando ulteriormente la terra disponibile per chi ha redditi limitati. Un vero circolo vizioso, aggravato da disparità razziali generazionali nella proprietà terriera e da discriminazioni continue.
L’invisibilità nel sistema e le barriere linguistiche e culturali
Un altro aspetto che mi ha colpito è l’invisibilità di questi agricoltori. Il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) fa un censimento agricolo, ma indovinate un po’? Molti agricoltori Latinx immigrati, specialmente quelli non bianchi (Indigeni o Mestizo), sfuggono a queste statistiche. Perché?
- Il censimento è un questionario auto-dichiarato. Molti lo ignorano per mancanza di alfabetizzazione, scarsa conoscenza dell’inglese, o per timore di essere presi di mira dalle autorità immigratorie.
- Spesso coltivano terreni affittati con accordi informali, a volte senza nemmeno un contratto scritto. Raramente vivono nella fattoria.
- L’approccio “fuori dai radar” che molti adottano rende difficile per il personale del censimento identificarli e contarli.
L’autrice dello studio, che ha intervistato settanta di questi agricoltori per il suo libro “The New American Farmer”, conferma che quasi nessuno di loro aveva mai sentito parlare del censimento agricolo. Coltivavano su terreni marginali, lotti peri-urbani, terreni agricoli senza accesso a strade o acqua, a volte su appezzamenti non contigui, rendendo tutto più inefficiente. La mancanza di sicurezza del possesso della terra significava non sapere se l’anno successivo avrebbero potuto coltivare nello stesso posto.
Oltre alle tipiche sfide di un nuovo agricoltore (accesso alla terra, capitale iniziale, manodopera, mercati), gli immigrati devono fare i conti con il loro status di cittadinanza, la razza, l’etnia, e limitazioni linguistiche, di alfabetizzazione ed educative. Molti sono privi di documenti, e questo li esclude automaticamente dal supporto diretto dei programmi agricoli governativi. Ma non è solo la dimensione delle loro fattorie a limitare l’accesso alle risorse pubbliche. La scarsa istruzione formale, l’analfabetismo e la limitata conoscenza dell’inglese rendono la burocrazia per richiedere sovvenzioni, prestiti e assicurazioni un ostacolo insormontabile. Aggiungeteci una generale diffidenza verso le autorità governative, legata alle loro esperienze con l’immigrazione, e il quadro è completo.
C’è una percezione distorta: vengono visti come braccianti, non come agricoltori. L’autrice racconta che, contattando uffici locali dell’USDA o università per informarsi sugli agricoltori messicani/Latinx nelle loro comunità, si è sentita rispondere più volte: “In questo ufficio non supportiamo i braccianti”. Un’ammissione implicita che questi funzionari, destinati a supportare *tutti* gli agricoltori, semplicemente non “vedevano” gli agricoltori immigrati, identificandoli automaticamente come semplice manodopera.
Le loro conoscenze agricole, spesso trasmesse oralmente, non si adattano ai moduli standardizzati. I loro programmi di semina e i cicli di coltivazione non rientrano nei formati previsti. È una mancanza di traduzione, sia linguistica che culturale, che li tiene lontani dagli uffici e dagli spazi istituzionali. Le loro pratiche, non replicando forme di agricoltura mainstream o sanzionate dallo stato, possono essere interpretate come non scientifiche, “illeggibili” per lo stato, e quindi non meritevoli di riconoscimento o finanziamento.
Quali speranze di riforma? Tra politiche zoppicanti e alternative coraggiose
Nonostante tutto, i numeri dicono che gli agricoltori Latinx sono il gruppo di nuovi agricoltori in più rapida crescita, con un aumento del 15% nella proprietà terriera dal 2017 al 2022. Anche se rappresentano solo il 3% dei proprietari di aziende agricole del paese, i giovani e i nuovi agricoltori provengono più probabilmente da popolazioni Latinx e da altre minoranze razziali ed etniche. Ma come colmare quel “gap di accessibilità economica” tra il valore di mercato della proprietà agricola e ciò che la maggior parte dei nuovi agricoltori, specialmente immigrati e braccianti, può permettersi?
A livello federale, esistono programmi USDA come il “Beginning Farmer and Rancher Development Program” o l'”Increasing Land, Capital, and Market Access Program”. Molti di questi sono stati conquistati con lotte da parte di comunità rurali e associazioni. Tuttavia, spesso non riescono a identificare e supportare i gruppi più vulnerabili, come gli immigrati che cercano di passare da braccianti a proprietari. E la loro stessa esistenza dipende dal supporto politico, cosa non da poco in tempi di Farm Bill in bilico e amministrazioni ostili all’immigrazione.
Molti sostenitori dell’accesso alla terra si sono quindi concentrati su riforme a livello statale. Alcuni stati hanno crediti d’imposta per i nuovi agricoltori o prestiti specifici per chi accetta vincoli di destinazione agricola perpetua. Iniziative come il “Farmer Equity Act” della California del 2017 includono piani specifici per supportare gli agricoltori BIPOC (Black, Indigenous, and People of Color) nell’accesso alla terra. Belle iniziative, ma spesso isolate.
Un’altra via sono le servitù volontarie di conservazione del terreno, promosse da organizzazioni no-profit (land trusts) e programmi federali. I proprietari limitano l’uso del loro terreno all’agricoltura in cambio di benefici fiscali o compensazioni economiche. Sembra buono, ma la ricerca mostra che anche questi modelli spesso non servono le esigenze dei gruppi marginalizzati e possono persino rafforzare le disuguaglianze razziali esistenti.
E qui arriviamo alle critiche più radicali. Alcuni studiosi mettono in discussione l’intero modello di proprietà privata e di azienda agricola individuale in un sistema agrario capitalista. Sostengono che le attuali strutture di supporto per i nuovi agricoltori dipendono da un significativo livello di auto-sfruttamento e lavoro gratuito, insostenibile per molti. Definiscono “predatorie” le politiche che includono agricoltori di colore e altri gruppi vulnerabili in terreni marginali, con scarse possibilità di sopravvivenza economica. Si invoca una riforma agraria più ampia, per trasferire la proprietà della terra nelle mani dei lavoratori rurali e urbani senza terra. Un’idea forte, ma, ammettiamolo, poco digeribile per la maggior parte dei proprietari terrieri e dei politici statunitensi attuali.
Interessante notare che, in uno studio condotto da gruppi di difesa dei braccianti in California, è emerso un forte interesse per modelli di agricoltura cooperativa e possesso collettivo della terra, visti come un modo per superare le barriere di accesso. Esistono esempi di successo, come la Federation of Southern Cooperatives, Soul Fire Farm a New York, o Tierra y Libertad Farm nello stato di Washington. Tuttavia, alcuni professionisti dell’accesso alla terra mettono in guardia: questi modelli alternativi potrebbero comportare rischi e vulnerabilità economiche per agricoltori già fragili, a volte indebitandoli a lungo termine senza un’adeguata valutazione dei pericoli.
Un’identità agraria che attraversa i confini
C’è un altro fattore da considerare, molto umano e toccante. Molti agricoltori immigrati mantengono forti legami con i loro paesi d’origine. Mandano rimesse, sostengono famiglie e proprietà lì. Questo può influenzare la loro capacità e volontà di investire a lungo termine nell’agricoltura statunitense. Invece di investire per assicurarsi la terra più produttiva o sicura nel paese ospitante, alcuni preferiscono contemporaneamente stabilire e sostenere la proprietà terriera nei loro paesi d’origine. Per chi non ha uno status che permette di viaggiare avanti e indietro, questo significa continuare a coltivare negli USA su terreni insicuri, mentre investono in proprietà “a casa” che magari familiari coltivano per loro. La loro identità agraria è situata attraverso i confini, non in un’unica posizione geografica. Questo potrebbe rendere la proprietà terriera negli USA economicamente irraggiungibile ma anche culturalmente meno attraente, specialmente se i figli non sono interessati a continuare l’attività agricola.
Dalla mia ricerca, emerge che la maggior parte degli agricoltori immigrati Latinx era interessata a modelli di proprietà privata, ma non a espandere le proprie attività su larga scala, preferendo rimanere su piccola o media scala. L’agricoltura era vista come un’opportunità economica per uscire dal lavoro a basso salario, più che un mezzo per partecipare a movimenti sociali più ampi.
Guardando avanti: un futuro da coltivare (con giustizia)
Allora, che fare? Per raggiungere davvero le comunità di immigrati e braccianti, bisogna sviluppare nuove reti di contatto, diversificate e non limitate a un unico modello. Alcune organizzazioni lo stanno già facendo, mettendo al centro i braccianti e i gruppi di agricoltori immigrati, sia per iniziative di proprietà privata che collettiva. Questo supporto è essenziale se vogliamo mantenere comunità rurali sane e un’agricoltura incentrata sul cibo negli Stati Uniti.
Le traiettorie recenti ci dicono che i consolidamenti si intensificheranno senza interventi politici e movimenti sociali strategici. Ma, allo stesso tempo, l’attenzione sociale alle questioni di razza e disuguaglianza nell’agricoltura e nell’accesso alla terra continuerà a crescere, man mano che le disuguaglianze si approfondiscono. Lo vediamo nei fondi e nei programmi a livello statale che supportano le popolazioni agricole sottorappresentate, nonostante la contrazione federale di tali sforzi.
In un momento in cui l’amministrazione statunitense crea attivamente una cultura della paura tra le comunità immigrate, con la minaccia di deportazioni violente, la vulnerabilità aumenta. È presto per valutare l’impatto su vasta scala, ma non c’è dubbio che le nuove politiche, inclusi i tagli ai sostegni federali per l’agricoltura, lasceranno pochi fondi statali per i nuovi agricoltori, specialmente quelli destinati a gruppi storicamente sottorappresentati. Eppure, i contadini Latinx hanno prosperato nonostante la mancanza di sostegno statale e politiche migratorie volatili in passato. C’è un grande potenziale per questi agricoltori di superare tali barriere, come hanno fatto in passato, e di colmare lacune essenziali nell’agricoltura statunitense. Noi, ricercatori, studiosi e sostenitori, dobbiamo restare vigili, documentare i cambiamenti e continuare a promuovere il sostegno per questi lavoratori e agricoltori vulnerabili che, di fatto, stanno mantenendo il nostro sistema alimentare.
Fonte: Springer