Accesso alle cure HIV in Africa: un viaggio troppo lungo che svela amare disuguaglianze
Amici, oggi voglio parlarvi di una questione che mi sta molto a cuore e che, sono sicuro, toccherà anche le vostre corde. Si tratta di un tema cruciale per la salute globale: l’accesso alle terapie antiretrovirali (ART) per le persone con HIV (PWH) nell’Africa subsahariana. Sembra un argomento lontano, forse, ma le storie che emergono da studi recenti, come quello che ho analizzato, ci raccontano di sfide quotidiane, di resilienza e, purtroppo, di profonde ingiustizie.
L’obiettivo di UNAIDS e l’importanza del tempo di viaggio
Sapete, UNAIDS, il programma delle Nazioni Unite per l’HIV/AIDS, ha lanciato una strategia ambiziosa: “Porre fine alle disuguaglianze. Porre fine all’AIDS”. L’obiettivo è sconfiggere l’HIV garantendo un’alta copertura terapeutica in modo equo. Bello, vero? Ma c’è un “ma” grande come una casa, o meglio, come la distanza che molte persone devono percorrere per curarsi. Per accedere alle terapie antiretrovirali (ART), le persone con HIV devono raggiungere le strutture sanitarie. E qui casca l’asino: quanto tempo impiegano? E ci sono differenze in questo “tempo di viaggio”?
Vi assicuro che il tempo necessario per raggiungere un centro di cura non è un dettaglio. Studi condotti nell’Africa subsahariana hanno dimostrato che distanze e tempi di percorrenza eccessivi hanno un impatto terribilmente negativo sull’aderenza ai servizi HIV, sulla regolarità dei test, sull’aderenza stessa alle terapie ART e alla profilassi pre-esposizione (PrEP). Non solo, possono anche peggiorare problemi di salute mentale. Pensate che uno studio su persone che avevano interrotto i programmi di trattamento HIV in sei paesi dell’Africa subsahariana ha rilevato che i tassi di mortalità erano più alti tra coloro che riportavano lunghi tempi di viaggio per raggiungere le strutture sanitarie. Fa riflettere, no?
Le disparità tra aree urbane e rurali: un divario profondo
La situazione, poi, si complica ulteriormente se guardiamo alla differenza tra città e campagna. Le aree rurali sono spesso desolatamente svantaggiate sotto tutti gli aspetti dell’assistenza sanitaria, incluso l’accesso a servizi specializzati e test di laboratorio avanzati. Immaginatevi vivere in una piccola comunità rurale: la privacy per questioni mediche è un lusso, e la carenza di personale sanitario è all’ordine del giorno. Non bastasse, le comunità rurali sono anche più esposte alla povertà, rendendo i lunghi viaggi verso i centri di cura particolarmente insostenibili. È un circolo vizioso: la residenza rurale è associata a meno test HIV, minore aderenza all’ART e tassi più bassi di soppressione virale. Addirittura, una revisione sistematica di 30 studi ha evidenziato che le persone con HIV nelle aree rurali avevano una probabilità doppia di interrompere i programmi di trattamento.
E c’è di più. Il divario sanitario urbano-rurale può essere complicato dallo squilibrio di genere nella distribuzione della popolazione. Gli uomini tendono a concentrarsi nelle città per opportunità di lavoro, mentre le donne spesso affrontano maggiori vincoli. Sebbene gli uomini possano avere una maggiore capacità economica per accedere all’assistenza sanitaria, continuano a registrare una mortalità più elevata a causa dell’HIV, anche quando sono in terapia. Molti studi, infatti, mostrano che gli uomini arrivano più spesso a una diagnosi tardiva di HIV, principalmente per una minore propensione a fare il test.
Cosa ci dicono i dati da Eswatini, Malawi e Zambia?
Per capirci qualcosa di più, ho analizzato i dati provenienti da indagini nazionali chiamate PHIA (Population-Based HIV Impact Assessment) condotte in Eswatini, Malawi e Zambia. Queste indagini sono fondamentali perché raccolgono dati biometrici e tramite questionari per valutare lo stato dell’epidemia e l’efficacia dei programmi nazionali. E cosa è emerso? Preparatevi, perché i numeri parlano chiaro.
Innanzitutto, la maggioranza delle persone con HIV in terapia ART sono donne: il 69,4% in Eswatini, il 64,8% in Malawi e il 63,0% in Zambia. Questo non sorprende troppo, dato che la prevalenza dell’HIV è generalmente più alta nelle donne. Ma guardate qui la distribuzione geografica: in Malawi (74,6%) ed Eswatini (71,0%), la maggioranza delle persone in terapia vive in aree rurali. In Zambia, invece, la situazione si ribalta, con il 61,9% che risiede in aree urbane. Questo riflette la natura dell’epidemia nei diversi paesi: Eswatini e Malawi hanno epidemie prevalentemente rurali, mentre lo Zambia ha un’epidemia più urbana.
Eswatini, tra i tre, ha l’epidemia di HIV più severa (prevalenza del 27,9%), mentre Malawi (10,5%) e Zambia (12,0%) hanno tassi simili. La copertura terapeutica? Eswatini è al top con il 76,6%, seguito da Malawi (70,0%) e Zambia (62,6%). Interessante notare che in Eswatini e Malawi, la copertura è significativamente più alta nelle donne rispetto agli uomini, mentre in Zambia non c’è una differenza significativa.
Mappe che parlano: la geografia dell’epidemia e dell’accesso
Per visualizzare meglio la situazione, sono state create delle mappe chiamate ESP (Epidemic Surface Prevalence) che mostrano la prevalenza dell’HIV a livello geografico. Queste mappe rivelano che ci sono ampi pattern geospaziali nella prevalenza dell’HIV che attraversano i confini amministrativi, con una notevole variazione geografica. Ad esempio, in Eswatini la prevalenza varia dal 14,4% al 53,2%! Le mappe specifiche per sesso mostrano anche che i pattern geospaziali differiscono tra uomini e donne, con una prevalenza generalmente più alta nelle donne.
Sono state create anche mappe DoI (Density of Infection), che combinano la prevalenza dell’HIV con i dati sulla densità di popolazione. Queste mappe mostrano il numero di persone con HIV per chilometro quadrato. Indovinate un po’ dove si trova la massima densità di infezione in ogni paese? Nelle città, ovviamente! Questo riflette sia l’alta densità di popolazione urbana sia il fatto che, in generale, la prevalenza dell’HIV è maggiore nelle aree urbane. Tuttavia, è importante sottolineare che in tutti e tre i paesi ci sono aree dove è improbabile trovare persone con HIV. Questo significa che i programmi ART stavano raggiungendo persone anche in zone a bassissima densità di infezione.
Le amare verità sui tempi di percorrenza
Ed eccoci al nodo cruciale: i tempi di viaggio per accedere all’ART. I risultati sono, francamente, sconfortanti.
- In media, le persone con HIV in Eswatini riportano i tempi di viaggio più brevi.
- I tempi di viaggio in Malawi sono leggermente più lunghi rispetto allo Zambia.
Ma il dato che fa più impressione è questo: una percentuale altissima di persone in tutti e tre i paesi ha dichiarato di impiegare un’ora o più per raggiungere il centro di cura. Nello specifico:
- Malawi: 56,4%
- Zambia: 50,5%
- Eswatini: 37,4%
E non è finita. Molti, troppi, viaggiano per più di due ore (solo andata!): il 20,6% in Zambia, il 19,0% in Malawi e il 10,5% in Eswatini. Immaginate cosa significhi perdere così tanto tempo, magari dovendo rinunciare al lavoro o alla cura della famiglia, solo per ottenere farmaci salvavita.
Le disuguaglianze più evidenti emergono quando confrontiamo le aree urbane e rurali. In tutti e tre i paesi, le probabilità di viaggiare per un’ora o più sono significativamente più alte nelle aree rurali.
- In Eswatini e Malawi, i residenti rurali hanno una probabilità più che doppia rispetto ai residenti urbani.
- In Zambia, questa probabilità è addirittura più che tripla!
E c’è un’altra disparità che mi ha colpito: in Eswatini e Zambia, le donne hanno probabilità significativamente più alte rispetto agli uomini di viaggiare per un’ora o più. Questo non è emerso in Malawi, dove donne e uomini non mostrano differenze significative in tal senso. È paradossale: le donne usano di più l’ART, ma in due di questi paesi impiegano più tempo per accedervi.
Perché queste differenze? Fattori in gioco
Ma perché queste enormi differenze nei tempi di viaggio, sia tra paesi che all’interno degli stessi? I fattori sono molteplici e complessi. Parliamo di:
- Fattori epidemiologici: la gravità dell’epidemia, la variazione geografica della prevalenza.
- Fattori geografici: la topografia, la copertura del suolo.
- Fattori demografici: la distribuzione e la densità della popolazione.
- Sistema sanitario: la distribuzione geografica delle strutture sanitarie, il loro numero e la qualità.
- Trasporti: la disponibilità e la struttura della rete di trasporti.
- Fattori socio-comportamentali: ad esempio, lo stigma.
- Copertura terapeutica: il livello generale e la sua variazione geografica.
Non a caso, Eswatini, con la più alta copertura terapeutica, ha anche il tempo medio di viaggio più breve. All’interno dei paesi, le differenze urbano-rurali sono comprensibili: le aree urbane hanno una maggiore densità di infezione e una maggiore concentrazione di strutture sanitarie. Ma perché le donne in Eswatini e Zambia viaggiano di più? Le ragioni non sono ovvie. Forse ci sono più donne con HIV e in ART nelle aree rurali, o forse le donne tendono a “saltare” la struttura più vicina per vari motivi (il cosiddetto “bypass behavior”), o ancora, le funzioni di decadimento della distanza (la probabilità di accedere a un servizio diminuisce con la distanza) potrebbero essere diverse per sesso.
È importante notare che questi dati si basano sui tempi di viaggio auto-riferiti. Altri studi che hanno modellato i tempi di viaggio hanno spesso trovato che i tempi di viaggio “rivelati” (simili a quelli auto-riferiti) sono generalmente più lunghi di quelli modellati. Questo perché i modelli spesso assumono che le persone prendano il percorso più diretto e usino la struttura sanitaria più vicina, il che non sempre accade nella realtà.
Limiti dello studio e prospettive future
Come ogni ricerca, anche questa ha i suoi limiti. I dati sui tempi di viaggio erano un po’ grezzi (solo tre categorie) e non sappiamo il tempo massimo per chi viaggiava più di due ore. Inoltre, i dati sono solo per le persone con HIV già diagnosticate e in trattamento. Cosa succederebbe se includessimo coloro che non sono ancora in terapia, magari perché vivono in aree remote? Aumentare la copertura terapeutica potrebbe, paradossalmente, esacerbare le attuali disuguaglianze nei tempi di viaggio se non si interviene. C’è anche da considerare che i tassi di risposta ai questionari erano più alti nelle donne, il che potrebbe introdurre qualche distorsione se gli uomini non partecipanti avessero caratteristiche diverse.
Verso un futuro più equo: cosa possiamo fare?
Questi risultati, amici miei, hanno implicazioni enormi per le politiche sanitarie dell’UNAIDS. Mostrano chiaramente che per raggiungere l’obiettivo di porre fine all’AIDS, è assolutamente necessario eliminare le disuguaglianze nei tempi di viaggio per l’ART, sia tra i paesi che al loro interno. Le disuguaglianze che abbiamo visto esistevano quando i livelli di copertura ART erano già moderati o abbastanza alti. Con l’aumento della copertura, è cruciale monitorare se queste ingiustizie siano aumentate o diminuite, identificarne le cause e progettare strategie per minimizzarle.
Cosa si può fare concretamente? Diverse strade sono percorribili:
- Costruire nuove strutture sanitarie, specialmente nelle aree rurali (come pianifica di fare il governo del Malawi).
- Aumentare la disponibilità di trasporti (molte persone con HIV devono camminare per ore).
- Utilizzare strategie di distribuzione dell’ART non basate sulle strutture sanitarie (ad esempio, modelli di erogazione del servizio differenziati e centrati sul paziente).
Abbiamo esaminato la situazione in tre paesi dell’Africa subsahariana, e tutti mostrano queste inaccettabili disuguaglianze. È fondamentale capire se esistono anche in altri paesi colpiti dall’HIV. Solo così potremo indirizzare in modo efficace ed equo le risorse, che sono sempre limitate. La lotta contro l’HIV è anche una lotta per l’equità nell’accesso alle cure. E ogni ora di viaggio risparmiata è un passo avanti verso la salute e la dignità.
Fonte: Springer