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Mangiare Sano Salva il Cuore? Le Abitudini (Sorprendenti) che Riducono il Rischio Cardiaco Precoce

Ragazzi, parliamoci chiaro: la salute del cuore è una cosa seria, e quando i problemi iniziano troppo presto, beh, è ancora più preoccupante. Parliamo della malattia coronarica precoce (PCAD), quella che colpisce uomini sotto i 60 anni e donne sotto i 70. Sappiamo che la genetica gioca un ruolo, ma quanto contano le nostre abitudini quotidiane, specialmente quelle a tavola? Non parlo solo di *cosa* mangiamo, ma di *come* lo facciamo.

Recentemente mi sono imbattuto in uno studio multi-centrico caso-controllo davvero interessante, condotto in Iran su un campione bello ampio (oltre 2000 pazienti con PCAD e più di 1000 controlli sani), che ha cercato di far luce proprio su questo: l’associazione tra un insieme di abitudini alimentari e il rischio di sviluppare PCAD. E devo dire che alcuni risultati mi hanno fatto riflettere parecchio!

Ma di che studio stiamo parlando?

In pratica, i ricercatori hanno definito la PCAD come una stenosi (un restringimento, per capirci) di almeno il 75% in un’arteria coronaria o del 50% nell’arteria coronaria sinistra principale. Hanno poi intervistato tutti i partecipanti sulle loro abitudini alimentari, assegnando un punteggio: più alto il punteggio (chiamato EHS – Eating Habits Score), più sane le abitudini. Le domande spaziavano dalla frequenza dei cibi fritti al consumo di sale, dall’acqua bevuta al numero di pasti, dalla colazione alla cena tardiva, dal mangiare in famiglia alla velocità con cui si mastica. Insomma, un quadro abbastanza completo delle nostre routine a tavola.

Il quadro generale: più buone abitudini, meno rischi

La prima scoperta, forse la meno sorprendente ma sempre importante da ribadire, è che chi aveva le abitudini alimentari complessivamente più sane (quelli nel quartile più alto del punteggio EHS) mostrava un rischio di PCAD inferiore del 22% rispetto a chi aveva le abitudini peggiori (quelli nel quartile più basso). Questo risultato è emerso anche dopo aver tenuto conto di un sacco di altri fattori confondenti come età, sesso, fumo, attività fisica, BMI, ipertensione, diabete, ecc. Quindi, messaggio numero uno: un pacchetto di buone abitudini a tavola sembra davvero fare la differenza per la salute del nostro cuore, anche in giovane età.

Abitudini Promosse: Meno Sale e Più Lentezza!

Andando a vedere le singole abitudini, emergono conferme e qualche sorpresa. Tra le abitudini associate a un minor rischio di PCAD troviamo:

  • Non aggiungere sale a tavola: Rischio ridotto del 20%. Un classico consiglio che trova qui un’ulteriore conferma scientifica.
  • Preferire cibi fatti in casa poco salati: Rischio ridotto del 25%. Cucinare con meno sale fa bene, punto.
  • Mangiare lentamente: Questa mi ha colpito! Chi mangiava lentamente aveva un rischio di PCAD addirittura inferiore del 58% (OR = 0.42). Forse perché mangiare piano aiuta la digestione, la sazietà e magari si associa a scelte alimentari più consapevoli? O magari riduce lo stress legato al pasto? Interessante, no?

Questi dati rafforzano l’idea che non è solo la qualità del cibo, ma anche il modo e il contesto in cui lo consumiamo ad avere un impatto. Ridurre il sale è fondamentale, ma anche prendersi il tempo per mangiare sembra essere un toccasana per le nostre arterie.

Primo piano macro di un piatto colorato e sano, stile mediterraneo, con verdure fresche, pesce alla griglia e un filo d'olio d'oliva. Luce naturale controllata, obiettivo macro 100mm, alta definizione dei dettagli del cibo.

Le Sorprese: Acqua e Pasti Frequenti, Davvero un Rischio?

E qui arrivano i risultati che, lo ammetto, mi hanno lasciato un po’ perplesso e che vanno presi con le pinze. Lo studio ha trovato che alcune abitudini, considerate spesso neutre o addirittura positive, erano associate a un maggior rischio di PCAD:

  • Bere più acqua (≥ 8 bicchieri al giorno): Rischio aumentato del 56%. Aspetta, come? Bere tanto non fa bene? I ricercatori ipotizzano che questo risultato, specifico per la popolazione studiata (Iran), potrebbe essere legato alla qualità dell’acqua (durezza o presenza di contaminanti come l’arsenico, che in alcuni studi iraniani è risultato superiore ai limiti OMS in molti campioni). Non è un invito a bere meno, ma un segnale che la qualità dell’acqua è cruciale.
  • Aumentata frequenza dei pasti (≥ 4 volte al giorno): Rischio aumentato dell’85%. Anche qui, la letteratura scientifica è discordante. Alcuni studi suggeriscono benefici nel frazionare i pasti, altri (compresi studi sul digiuno intermittente o sul mangiare una sola volta al giorno) mostrano potenziali vantaggi nel ridurre la frequenza. Questo studio si inserisce nel dibattito, suggerendo che, almeno in questo contesto, mangiare molto spesso potrebbe non essere protettivo per il cuore.

Questi risultati “controintuitivi” ci ricordano che la nutrizione è complessa e che ciò che funziona in una popolazione o contesto potrebbe non essere universale. Servono sicuramente più ricerche per capire meglio queste associazioni.

Cosa (Forse) Non Fa la Differenza

È interessante notare che altre abitudini, come il consumo di cibi fritti, cenare tardi (dopo le 20), la durata del pasto (se troppo breve o troppo lunga rispetto all’ottimale 20-30 min), o fare colazione regolarmente (anche se nel modello grezzo sembrava esserci un’associazione, è sparita dopo gli aggiustamenti), non sono risultate significativamente associate al rischio di PCAD in questo studio, una volta considerati tutti i fattori.

Occhio alle Trappole: I Limiti dello Studio

Come per ogni ricerca, dobbiamo essere onesti sui limiti. Questo era uno studio caso-controllo, il che significa che non può stabilire un rapporto di causa-effetto, ma solo un’associazione. È possibile che le persone con PCAD abbiano cambiato le loro abitudini *dopo* la diagnosi (anche se si cercava di indagare le abitudini precedenti). C’è sempre il rischio di bias nel ricordare le proprie abitudini (recall bias) e la possibilità che altri fattori non misurati abbiano influenzato i risultati. Inoltre, lo squilibrio tra numero di casi e controlli e le definizioni specifiche usate per le abitudini potrebbero influenzare i risultati. E, come detto, i risultati sull’acqua potrebbero essere molto specifici per l’area geografica.

Un bicchiere d'acqua versato da una brocca su un tavolo da pranzo, accanto a un orologio che segna un'ora tarda. Luce leggermente soffusa, profondità di campo che sfoca lo sfondo. Obiettivo 50mm, stile still life.

Quindi, Cosa Portiamo a Casa?

Nonostante i limiti, questo studio aggiunge un tassello importante alla nostra comprensione di come le abitudini alimentari influenzino la salute del cuore, specialmente in età più giovane. Il messaggio chiave è che un insieme di comportamenti alimentari sani, in particolare ridurre il sale e mangiare lentamente, sembra associato a un minor rischio di malattia coronarica precoce.

Le associazioni “sorprendenti” con il maggior consumo di acqua e la frequenza dei pasti ci invitano a non dare nulla per scontato e sottolineano l’importanza di considerare il contesto (come la qualità dell’acqua) e la necessità di ulteriori studi, magari prospettici (che seguono le persone nel tempo), per confermare questi legami.

Alla fine, la lezione sembra essere: non concentriamoci solo su *cosa* mettiamo nel piatto, ma anche su *come* lo facciamo. Un approccio consapevole e meno frettoloso all’alimentazione, insieme alla riduzione del sale, potrebbe essere un piccolo, grande passo per proteggere il nostro cuore.

Fonte: Springer

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